NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 30 giugno 2022

Il mito seconda parte. Freud e la religione monoteistica. Il mito recuperato dalla pubblicità.

 


 

Alcune riflessioni sul culto del sole e sul monoteismo.

Freud afferma che la religione monoteistica fu portata agli Ebrei da Mosé, un Egiziano seguace della religione voluta da Amenofi IV, che era “salito al trono intorno al 1375 a. C.”[1] e adorava “il sole (Atòn) non come oggetto materiale ma come simbolo di un essere divino la cui energia si manifestava appunto nei raggi”[2] della sua luce.

 Il faraone eretico si cambiò il nome in Ekhanatòn cancellando la presenza del dio Amòn dalla propria persona e da tutte le iscrizioni.

“Si trattava di un rigoroso monoteismo, il primo tentativo del genere nella storia mondiale, per quanto ne possiamo sapere; e con la fede in un unico dio nacque inevitabilmente l’intolleranza religiosa, sconosciuta all’antichità prima di allora e per molto tempo dopo. Ma il regno di Amenofi durò solo diciassette anni; subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1358, la nuova religione fu spazzata via, e la memoria del re eretico proscritta (…) Vorrei adesso arrischiare una conclusione: se Mosè fu Egizio e se egli trasmise agli Ebrei la propria religione, questa fu la religione di Ekhanatòn, la religione di Atòn”[3].

Freud cerca di avallare questa tesi con vari indizi: entrambe le religioni “sono forme di rigido monoteismo”; inoltre “l’assenza nella religione ebraica di una dottrina concernente l’aldilà e la vita ultraterrena, che pure, sarebbe stata compatibile col più rigoroso monoteismo” corrisponde al rifiuto di tale presenza anche nella religione di Ekhnatòn che “aveva bisogno di combattere la religione popolare nella quale il dio dei morti Osiride aveva forse una parte maggiore di quella di ogni altro dio del mondo superiore”.

Terzo indizio: Mosè introdusse presso gli Ebrei “la consuetudine della circoncisione”. Ebbene: “Erodoto, il “padre della storia”, ci informa che la consuetudine della circoncisione era da lungo tempo familiare in Egitto”[4]. Dunque Mosè “non era ebreo ma egizio, e allora la religione mosaica fu probabilmente una religione egizia” [5].

 

 Leopardi nello Zibaldone (3833-3834) afferma che il culto del sole rende più umano e più civile chi lo pratica: "Quando gli Europei scoprirono il Perù e i suoi contorni, dovunque trovarono alcuna parte o segno di civilizzazione e dirozzamento, quivi trovarono il culto del sole; dovunque il culto del sole, quivi i costumi men fieri e men duri che altrove; dovunque non trovarono il culto del sole, quivi (ed erano pur provincie, valli, ed anche borgate, confinanti non di rado o vicinissime alle sopraddette) una vasta, intiera ed orrenda e spietatissima barbarie ed immanità e fierezza di costumi e di vita. E generalmente i templii del sole erano come il segno della civiltà, e i confini del culto del sole, i confini di essa (5 Nov. 1823)”.

 

Nel trattato Della tirannide (del 1777) Vittorio Alfieri distingue la religione cristiana dalla pagana, rilevando l’incompatibilità della prima con la libertà: “La religion pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli dèi, e col fare del cielo quasi una repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato[6], e ad altri usi e privilegi della corte celeste, dovea essere, e fu infatti, assai favorevole al vivere libero (…) La cristiana religione, che è quella di quasi tutta la Europa, non è per se stessa favorevole al viver libero: ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero (…) Ed in fatti, nella pagana antichità, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti comandavano ai diversi popoli e l’amor della patria e la libertà. Ma la religion cristiana, nata in popolo non libero, non guerriero, non illuminato e già intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza; non nomina né pure mai la libertà; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia egli) interamente assimila a Dio” (I, 8).

 

Anche nell’Idiota di Dostoevskij si legge una stroncatura del cattolicesimo. Sentiamo il protagonista lanciato in un’invettiva: “Anzitutto, non è una fede cristiana!( …) Il cattolicesimo romano crede che, senza una potenza imperiale, la fede cristiana non possa sussistere nel mondo, e grida al tempo stesso: Non possumus! Secondo me, il cattolicesimo romano non è nemmeno una religione, ma è la continuazione dell’impero romano, e tutto in esso è sottoposto a questa idea, cominciando dalla fede. Il papa vi ha conquistato il trono terrestre ed ha alzato la spada. Da quei tempi, ogni cosa prosegue in tal modo, solo che alle spade hanno aggiunto la menzogna, la furberia, l’infingimento, il fanatismo, la superstizione, la scelleratezza, trastullandosi coi più sacri, più sinceri, più ardenti sentimenti, i migliori sentimenti del popolo. Ogni cosa è stata venduta da Roma per denaro, per il vile potere temporale”[7].

 

Torniamo al mito e ai suoi significati.

 Sentiamo alcune parole del testo inglese di Conte: "For poets, myth is like a word contained in a dictionary: when it leaves the dictionary and enters their text, it retains only one of its possible meanings[8], per i poeti il mito è come una parola contenuta in un dizionario: quando essa lascia il dizionario ed entra nel testo, mantiene soltanto uno dei suoi possibili significati.

 

 Il Mito allora può essere modificato per conformarsi al significato globale del discorso: la sua funzione è determinata dal contesto.

Il mito è interpretabile come una "immagine concentrata del mondo"[9] che cerca le origini, e chi non le conosce non è cosciente della realtà.

“I miti restano strutture profonde dell’immaginario, figure antropologiche che danno volto continuamente nuovo ai problemi che si susseguono”[10].

Inoltre: "La nostra origine è nei miti: tutti i miti sono di origine"[11].

Può trattarsi dell’origine di un’usanza, di un nome, di un culto, di una città, come spesso nella poesia ellenistica, ma può riguardare anche la nostra genesi di persone.

Nel mito si trovano gli archetipi.

Perfino la pubblicità ha il suo archetipo in un mito: quello di Aconzio e Cidippe raccontato da Callimaco, poi da Ovidio.

Bettini afferma che "anche i pubblicitari sono degli Aconzi"[12].

Il giovane Aconzio obbligò Cidippe, sul punto di maritarsi con un altro, a sposare lui scrivendo delle parole: "La scrittura di Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per sottrarsi alla sua trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?"[13].

Nella festa di Apollo a Delo  Aconzio di Ceo si innamora di Cidippe di Nasso e la vincola a sé gettandole un pomo su cui aveva scritto: “Lo giuro per Artemide: io sposerò Aconzio”.

Questa storia si trova negli Aitia di Callimaco[14] (fr. 75 Pfeiffer)

 

Il mito è narrato anche da Ovidio nelle Heroides.

Aconzio scrive a Cidippe e le ricorda la “volubile malum-verba ferens doctis insidiosa notis” (XX, 211-212), la mela che rotolava portando parole insidiose in formule dotte. Queste furono lette nella sacra presenza di Diana e la fides di Cidippe ne rimase vincta.

 Cidippe risponde ad Aconzio che sta morendo,si sente sballottata come una nave, ipsa velut navis iactor (XXI, v. 43), veneficiis tuis (54) per le tue parole avvelenate. Ricorda che navigava verso Delo impaziente di arrivare. Aconzio ne vide la semplicità e gli sembrò che potesse essere facile preda: “visaque simplicitas est mea posse capi” (v. 106). Le viene gettata davanti ai piedi una mela con quei versi che Cidippe non vuole ripetere “mittitur ante pedes malum cum carmine tali ” (v. 109). La nutrice raccolse l’ingannevole frutto e lo fece leggere alla ragazza: “insidias legi, magne poeta, tuas” (112). Aconzio non deve essere fiero di avere preso con ‘inganno una puella parum prudens : “ sumque parum prudens capta puella dolis” (v. 124). E’ stata ingannata come Atalanta da Ippòmene. Aconzio avrebbe dovuto convincerla more bonis solito (v. 129), come fanno i galantuomini, non ingannarla costringendola a proferire sine pectore vocem (143), una voce senza anima. Ora invece della fiaccola di nozze “et face pro thalami fax mihi mortis adest” (v. 174).  mirabar quare tibi nomen Acontius esset” (v. 211), mi domandavo con stupore perché ti chiamassi Aconzio (ajkovntion significa dardo), ora lo so: “quod faciat longe vulnus, acumen habes” (v. 212), hai una punta che provoca ferite anche da lontano. La ragazza ferita sta morendo: “concidimus macie, color est sine sanguine, qualem/in pomo refero mente fuisse tuo” (vv. 217-218), sono estenuata dalla magrezza, il colore è senza sangue, quale, come ricordo, era il tuo pomo

La pubblicità in effetti recupera e utilizza tutto:  non solo il metodo di Aconzio ma anche le parole di Pindaro[15]: c’è una réclame di magliette che traduce in francese la somma del pensiero educativo del vate tebano: gevnoio oi|o~ ejssiv" (Pitica II  v. 72), diventa quello che sei.

 

Bologna 30 giugno 2022 ore 17, 29

 

giovanni ghiselli

p. s

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[1]        S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, , secondo saggio (del 1937) p. 349. Il terzo saggio è del 1938. È l’ultimo libro di Freud, insieme con il Compendio di psicoanalisi, anche questo uscito nel 1938, del resto incompiuto.

[2]        S. Freud, Op. cit., p. 350.

[3]        S. Freud, Op. cit., secondo saggio, p. 353.

[4]        Nelle Storie leggiamo che “Colchi, Egiziani e Etiopi si circoncidono dal tempo più antico” (II, 104, 2). Ndr.

[5]        S. Freud, Op. cit., p. 355

[6]        Il predominio del fato non risparmia nessuno: il Prometeo di Eschilo afferma, consolandosi del suo martirio, che nemmeno Zeus "potrebbe in alcun modo sfuggire alla parte che gli ha dato il destino (th; n peprwmevnhn)"(Prometeo incatenato, v. 518). Ndr.

[7]        L’Idiota, p. 687.

[8]       Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again, in Poets And Critics Read Vergil, , p. 52.

[9]        Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 23

[10]      Da un’intervista a Claudio Magris compresa in Madri, a cura del Centro Studi La permanenza del Classico, pp. 222

[11]      J. Hillman, Il piacere di pensare, p. 52.

[12]Con i libri , p. 9.

[13]M. Bettini, op. cit., p. 10.

[14] 305 ca-240 ca a. C

[15] 518-438 a. C.

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