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martedì 23 maggio 2023

Filosofi lungo l’Oglio. La mia lectio: Osare l’inattuale. VIII. Osare il rifiuto delle leggi scritte

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Antigone non vuole obbedire al decreto di Creonte che vieta di rendere onori funebri a Polinice e non cede alle obiezione dettate dal buon senso di Ismene, anzi replica
:" io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nella bellezza" (w{ste mh; ouj kalw'" qanei'n, Sofocle, Antigone, vv. 96-97).
 
Antigone osa contrapporsi non solo al tiranno Creonte: ella nega la validità di ogni legge scritta dagli uomini.
 
Infatti le uniche leggi valide secondo lei sono quelle della propria coscienza religiosa, le norme non scritte che provengono dagli dèi.
Quando Creonte le domanda:"E allora osavi trasgredire queste leggi?" (v. 449), la ragazza risponde: “:"Sì, infatti secondo me non è stato per niente Zeus il banditore di questo editto/né Giustizia che convive con gli dei di sotterra/determinò tali leggi tra gli uomini,/né pensavo che i tuoi bandi avessero tanta/forza che tu, essendo mortale, potessi oltrepassare/i diritti degli dei, non scritti e non vacillanti. Infatti non solo oggi né ieri, ma sempre/ sono vivi questi, e nessuno sa da quando apparvero" (vv. 450-457),
Questo osa dire Antigone pur sapendo che le costerà la vita:" Io non potevo, per paura della volontà di qualsiasi uomo/pagare il fio della trasgressione di questi diritti davanti agli dei;/che devo morire infatti lo sapevo bene, come no?/anche se tu non avessi promulgato il tuo bando. E se morrò/prima del tempo , questo lo chiamo un guadagno" (vv. vv. 458-462).
 
Un confronto con versi analoghi presenti nell’Edipo re, cantati per giunta dal Coro che è spesso portavoce dell’Autore, ci dicono che Sofocle rifiuta tutte le leggi scritte: nel secondo Stasimo dell'Edipo re  i vecchi Tebani cantano"Oh, mi accompagni sempre la sorte di portare/ la sacra purezza delle parole/e delle opere tutte, davanti alle quali sono stabilite leggi/sublimi, procreate/attraverso l'etere celeste di cui Olimpo è padre da solo né le/generava natura mortale di uomini/né mai dimenticanza/potrà addormentarle:/grande c'è un dio in loro e non invecchia" (vv. 863-872).
 
Ebbene con queste parole dell’Edipo re contro ogni legge scritta Sofocle ha osato contrapporsi a un aspetto della democrazia. Può essere un indizio della datazione bassa di questa tragedia composta secondo Carlo Diano durante il disastro della spedizione in Sicilia (415-413)  finita con il massacro dell’Assinaro, quando era nell’aria il colpo di Stato oligarchico del 411 preparato dai dieci probuli uno dei quali era Sofocle.
Già nell’Antigone del 442 c’è un annuncio di questo rifiuto delle leggi.
In seguito al successo di questa tragedia comunque l’autore fu eletto stratego.
 
  Difesa delle leggi scritte
Euripide afferma il contrario nelle Supplici del 422 dove Teseo esalta  il sistema democratico.
Il re democratico degli Ateniesi replica alle accuse dell'araldo del   despota tebano Creonte, mettendo in rilievo questo aspetto distintivo della democrazia: mentre nella città governata da un tiranno ogni decisione  sta nel suo arbitrio , in un regime democratico (Eur. Suppl. 433-437) dove le leggi sono scritte (gegrammevnwn tw'n novmwn), la giustizia è uguale per il debole e per il ricco.
 Teseo dunque propugna la democrazia e dice all’araldo di Creonte  che quando c’è un tiranno non esistono più leggi comuni (novmoi- koinoiv, vv. 430-431). E procede: “gegrammevnwn de; tw'n novmwn o{ t  jajsqenh;~-oJ plouvsiov~ te th;n divkhn i[shn ecei ” (vv. 433-434), quando ci sono le leggi scritte il debole e il ricco hanno gli stessi diritti.
 
E’ quanto dice il Pericle di Tucidide nel logos epitafios sui caduti nel primo anno di guerra (431): “
In effetti ci avvaliamo di una costituzione che non cerca di emulare le leggi dei vicini, ma siamo noi di esempio a qualcuno piuttosto che imitare gli altri. E di nome, per il fatto di essere amministrata non per pochi ma per la maggioranza, essa è chiamata democrazia, e secondo le leggi, riguardo alle controversie private, c’è una condizione di uguaglianza per tutti, mentre secondo la reputazione, per come ciascuno  viene stimato in qualche campo, non per il partito di provenienza più che per il suo valore, viene preferito alle cariche pubbliche, né, d’altra parte secondo il criterio della povertà, se uno può fare qualche cosa di buono per la città, non ne è mai stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale (Tucidide, II, 37, 1)
 
La nostra cultura politica e anche la nostra Costituzione vengono chiarite e rese più comprensibili dalla lettura di quanto ha detto Pericle in questo secondo discorso  riferito da Tucidide nelle sue Storie  (II, 35-46).
Vediamo  in particolare l’Articolo 3,  della Costituzione della Repubblica Italiana
 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di condizioni personali e sociali
 E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
 
Eppure la nostra democrazia non ha rimosso tanti ostacoli e quella Ateniese di Pericle e di Cleone, se garantiva la parresia ai cittadini e limitava le disuguaglianze, trattava gli alleati e i confederati come sudditi.
Per quanto riguarda questa prepotenza ateniese, Pericle, nell’ultimo discorso che Tucidide gli attribuisce, aveva detto ai suoi concittadini: “turannivda ga;r h[dh e[cete aujth;n, h}n labei'n me;n a[dikon dokei' ei\nai, ajfei'nai ejpikivndunon” (II, 63, 2) avete un potere che è oramai una tirannide che può sembrare ingiusto prendere ma pericoloso abbandonare.
Morto Pericle, il nuovo beniamino del popolo, Cleone, dice all’assemblea popolare: "turannivda e[cete th;n ajrchvn", (Tucidide III 37, 2), avete un impero che è una tirannide la quale per reggersi deve usare la forza e bandire la compassione.
 
 
Derisione delle leggi scritte: lo scita Anacarsi nella Vita di Solone scritta da Plutarco.
 
Il legislatore e conciliatore che avviò Atene sul cammino dell’isonomia è stato Solone già nella prima parte del VI secolo.
Diceva: " la tirannide è una bella fortezza ma non ha via d'uscita"  (Plutarco, Vita, 14, 8).
Nel 594  fu nominato arconte (a[rcwn) con l'incarico di pacificatore e legislatore (diallakthv" kai; nomoqevth").
L'idea guida della costituzione e della poesia soloniana è quella della giusta misura, della via di mezzo e della moderazione.
I ricchi  lo accettarono come benestante, i poveri, come galantuomo (Plutarco, Vita, 14, 3).
Eppure un suo ospite a amico, lo scita Anacarsi osò deridere l’opera di Solone  che pensava di frenare le iniquità e la voglia dei cittadini di avere di più con parole scritte  le quali, diceva Anacarsi, non differiscono affatto dalle ragnatele (mhde;n tw`n ajracnivwn diafevrein, Plutarco, Vita,  5, 4), ma come quelle trattengono le prede deboli e piccole, mentre verranno spezzate dai potenti e dai ricchi (uJpo; de; dunatw`n kai; plousivwn diarraghvsesqai).
Le cose poi andarono secondo le previsioni dello Scita il quale disse anche, dopo avere assistito all’assemblea degli Ateniesi, di essere stupito del fatto che presso i Greci parlassero i sapienti ma decidessero gli ignoranti (o{ti levgousi me;n oiJ sofoi; par j    { Ellhsi, krivnousi d j oiJ ajmaqei`~ (5, 6). 
  
Anche Nietzsche nega valore alle parole scritte nei codici: “Le leggi contro i ladri e gli assassini sono fatte a favore delle persone colte e ricche”[1].
 
Nel Critone platonico Socrate viceversa afferma che alle leggi della propria città bisogna obbedire sempre.
 
Nel Critone troviamo esposta da Socrate nella celebre prosopopea “ la più alta idea che il Greco si sia formata delle leggi laiche quasi divinizzate…il testo platonico serba un altissimo interesse perché c’insegna a qual genere di rispetto uno spirito elevato si sentisse obbligato anche verso leggi giudicate cattive. Chi viola la legge distrugge, per quanto sta in suo potere, la Città. Lo Stato non può sussistere, se le sentenze in esso pronunciate restano senza efficacia, e anzi da privati cittadini sono fatte vane e distrutte. Bisogna osservarle, anche se ingiuste: ché il cittadino è tenuto a obbedire alle leggi in virtù di un patto inviolabile. Esso è debitore della sua nascita e della sua educazione allo Stato e alle leggi[2].
 
Nel dialogo platonico le leggi personificate parlano al vecchio educatore condannato a morte e lo esortano a dare retta a loro che sono le sue nutrici:"peiqovmeno" hJmi'n toi'" soi'" trofeu'si", 54b., e  non lo hanno offeso. (hjdikhmevno~ a[peioujc uJf j  hJmw`n tw`n novmwn ajlla; uJp j ajnqrwvpwnCritone, 54c). Te ne vai offeso non da noi leggi ma dagli uomini . Se evadi, come ti suggerisce Critone, reagisci a un’ ingiustizia con un’altra ingiustizia, offendendo te stesso, la tua famiglia, il tuo paese e noi. Sicché noi ti saremmo ostili finché vivi e anche le nostre sorelle dell’Ade non ti accoglieranno benevolmente oiJ hJmevteroi ajdelfoi; oiJ ejn    [Adou oujk eujmenw`~ se uJpodevxontai, sapendo che hai alzato le mani su di noi per ucciderci (54d).
Socrate dice di sentire questa voce come i coribanti che credono di sentire i flauti.
 Critone gli aveva detto swvqhti (44b) salvati. Per gli  amici la morte di Socrate sarebbe stata ouj miva sumforav, non una sola disgrazia. Al dolore si sarebbe aggiunto sarà il biasimo della gente. Ma Socrate ribatte che l’opinione dei più non deve preoccuparlo, poiché oiJ polloiv non sono capaci di fare né il male né il bene ma agiscono a casaccio (poiou`si de; tou`to o[ti a}n tuvcwsi (44d). Critone risponde che farlo evadere è un rischio, ma lui e gli altri amici ritengono giusto osare e rischiare.


 Bologna 23 maggio  2023 ore 10, 36. 
giovanni ghiselli


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[1] Frammenti postumi, 1876, 14 
 [2] G. Glotz, La città greca, p. 124.

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