Quando, nel 328 a. C., Alessandro Magno si apprestava a fondare Alessandria jEscavth, l’ultima, sul fiume Tanai, gli Sciti d’Asia al di là del fiume lanciavano insolenze barbariche “barbarikw`~ ejqrasuvnanto”[1] contro il comandante macedone per offenderlo, gridando che non avrebbe osato attaccarli. Quindi Alessandro ordinò dei sacrifici che però non venivano bene; li fece ripetere, e l’indovino Aristandro spiegò che essi indicavano un pericolo per lui. Il condottiero macedone allora disse che era meglio affrontare l’estremo pericolo (krei'sson e[fh ej" e[scaton kinduvnon ejlqei'n) piuttosto che, dopo avere sottomesso quasi tutta l’Asia, gevlwta ei\nai Skuvqai~ (4, 4, 3), essere oggetto di riso per gli Sciti, come era stato una volta Dario I, il padre di Serse[2]. Questi re persiani sono dei contromodelli per Alessandro
Il maestro che spinge alle imprese pericolose è Pindaro la cui casa venne risparmiata da Alessandro Magno quando (335 a. C.) distrusse Tebe che si era ribellata.
Pindaro sostiene che indegna di essere vissuta è l'esistenza ingloriosa e insignificante dei deboli e vili ignari di aretà (virtù, valore) : "il pericolo grande non prende l'uomo imbelle (oJ mevga~ de; kin-duno~ a[nalkin ouj fw'ta lambavnei). Per coloro ai quali è necessario morire, come uno potrebbe smaltire una vecchiaia anonima seduto nell'ombra invano?"
(I Olimpica vv.81-84).
Nell’Olimpica VI si legge :“ ajkivndunoi d j ajretaiv-ou[te par j ajndravsin ou[t j ejn nausi; koivlai"-tivmiai” ( vv. 9-11), virtù senza pericolo non hanno onore tra gli uomini, né sulle concave navi.
Osare l’annientamento dei sentimenti più forti per salvare la disciplina
Un fanatico della disciplina è Creonte di Sofocle che spinge al suicidio la nipote e il figlio in nome della peiqarciva che dovrebbe salvare le vite.
Alla fine del dramma comprende di avere sbagliato.
Nell’Antigone il re di Tebe dice: “Non c'è male più grande dell'anarchia./Essa manda in rovina le città, questa ribalta/le famiglie, questa nella battaglia spezza/ le schiere dell'esercito in fuga; invece le molte vite/di quelli che vincono, le salva la disciplina” (tw`n d j ojrqoumevnwn- sw/zei ta; polla; swvmaq j hJ peiqarciva) vv. 672-675).
Il console Tito Manlio Torquato durante la guerra contro i Latini (340-338 a. C.) condannò a morte il figlio che aveva osato combattere contro il suo ordine, di capo e di padre.
Le parole dell’accusa sono queste:"tu, T. Manli, neque imperium consulare neque maiestatem patriam veritus, adversus edictum nostrum extra ordinem in hostem pugnasti, et, quantum in te fuit, disciplinam militarem, qua stetit ad hanc diem Romana res, solvisti " (VIII, 7) tu, Tito Manlio, senza riguardo per il comando dei consoli e per l'autorità paterna, hai combattuto il nemico contro le nostre disposizioni, fuori dallo schieramento, e, per quanto è dipeso da te, hai dissolto la disciplina militare, sulla quale sino ad ora si è fondata la potenza romana.
A proposito della disciplina che tiene in piedi la potenza romana, ricordo anche il discorso che il genero di Vespasiano Ceriale tenne nel 70 d. C. ai Trèviri e ai Lìngoni riuniti ad ascoltarlo.
C’è la tesi politica della giusta dominazione dell’Urbe signora del mondo.
“Octingentorum annorum fortunā disciplināque compages haec coaluit: quae convelli sine exitio convellentium non potest” (Tacito, Hist. IV, 74). questa mole consolidata con la fortuna e la disciplina di ottocento anni non può essere abbattuta senza rovina di chi la abbatte.
Bologna 23 maggio 2023 ore 18, 20
giovanni ghiselli
[1] Arriano, Anabasi di Alessandro, 4, 4, 2.
[2] Erodoto nel IV libro racconta che gli Sciti schierati davanti ai Persiani si misero a inseguire una lepre. Allora Dario capì che quegli uomini lo disprezzavano e comprese il significato del dono simbolico che aveva ricevuto : un uccello, un topo, una rana e cinque frecce. Era giusta l’interpretazione di Gobria: se diventati uccelli non volerete in cielo, o topi non andrete sotto terra, o rane non salterete nelle paludi, sarete trafitti da queste frecce(4, 132). Gobria, sentito della lepre, disse che vedeva che quegli uomini si prendevano gioco dei Persiani: “oJrw'n ejmpaivzonta" hJmi'n” (4, 134, 3).
[1] Arriano, Anabasi di Alessandro, 4, 4, 2.
[2] Erodoto nel IV libro racconta che gli Sciti schierati davanti ai Persiani si misero a inseguire una lepre. Allora Dario capì che quegli uomini lo disprezzavano e comprese il significato del dono simbolico che aveva ricevuto : un uccello, un topo, una rana e cinque frecce. Era giusta l’interpretazione di Gobria: se diventati uccelli non volerete in cielo, o topi non andrete sotto terra, o rane non salterete nelle paludi, sarete trafitti da queste frecce(4, 132). Gobria, sentito della lepre, disse che vedeva che quegli uomini si prendevano gioco dei Persiani: “oJrw'n ejmpaivzonta" hJmi'n” (4, 134, 3).
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