mercoledì 31 maggio 2023

La morte di Alcibiade, seduttore e uomo straordinario

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Alcibiade (450 circa- 404)  sedusse donne, uomini e l’intero popolo ateniese per alcuni anni. Suscitò ammirazione e pure paura:  aveva passioni più grandi di quanto consentissero le sue ricchezze, sia per l'allevamento dei cavalli, sia per le altre spese. I più temevano la grandezza dell'eccentricità, dell’anomalia della sua persona - Fobhqevnt~ aujtou` oiJ polloi; to; mevgeqo~ th`~ te kata; to; eJautou` sw`ma paranomiva~ - ci racconta Tucidide[1].
D'Annunzio ricorda questa descrizione di antimediocrità quando in Maia  gli pone la domanda:"E qual gioia/ti parve più fiera?", quindi gli attribuisce la risposta:"La gioia/d'abbattere il limite alzato".
 
Vediamo la morte di questo uomo straordinario
Alcibiade dopo la battaglia di Nozio (406) persa dal suo timoniere Antioco, venne esautorato dagli Ateniesi e andò nell’Ellesponto; dopo Egospotami (404) si ritirò in Frigia. I Trenta tiranni saliti lo temevano ancora e ne chiesero la testa agli Spartani  che avevano vinto la guerra contro la democrazia e favorito il loro insediamento.
Il navarco Lisandro mandò un messaggio a Farnabazo satrapo della Frigia. Questo incaricò dell’uccisione alcuni parenti suoi. Alcibiade ebbe dei sogni premonitori, ma, lo abbiamo imparato da Tacito e ancor più dall'esperienza personale, " quae fato manent , quamvis significata, non vitantur "[2], ciò che spetta al destino, sebbene rivelato non si evita.
Le versioni della sua morte sono due: in ogni caso egli morì con una donna e per fuggire alle fiamme che possono evocare  la sua vita tumultuosa. Chi fosse questa donna, non ha importanza. Fu certo l'ultima di una serie molto lunga comprendente etere, schiave prigioniere di guerra, ragazze di buona famiglia e regine, come la moglie del re spartano Agide, sedotte tutte dalla "genialità della sensualità", dalla "potenza demoniaca della sua sensualità"[3] si può dire di lui come fa Kierkegaard di Don Giovanni, l'erotico che mangia l'esca senza farsi prendere all'amo.
Questa volta però Alcibiade si lasciò prendere; forse perché egli tendeva non solo al piacere  ma anche al potere, e se il primo scopo,con qualche sforzo, poteva ancora raggiungerlo, il secondo oramai gli era sfuggito per sempre.
 
La due brame di potere e di donne erano associate in lui.
 Si vede dall'episodio della moglie del re spartanoAgide, Timea che Alcibiade sedusse mentre il marito era assente per una spedizione militare. Ella rimase in cinta e non lo negò (" Timaivan ga;r th;n  [Agido" gunai'ka tou' basilevw" strateuomevnou kai; ajpodhmou'nto" ou{tw dievfqeiren, wJvste kai; kuvein ejx jAlkibiavdou kai; mh; ajrnei'sqai"), anzi in privato il seduttore chiamava "Alcibiade" il figlio il cui nome ufficiale era Leotichide. Alcibiade soleva dire che lo aveva fatto, non per offendere Agide nè perché vinto dal piacere, ma perché i suoi discendenti regnassero su Sparta:"o{pw" Lakedaimonivwn basileuvswsin oiJ ejx aujtou' gegonovte""(Plutarco, Vita di Alcibiade, 23) Si vede dunque da questo episodio che la "passion predominante" del nostro personaggio era comandare e che il sedurre era strumentale al fine di dominare. Insomma "luxuriosus, dissolutus, libidinosus "(Cornelio Nepote, Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium , 1) ma  prima di tutto ambizioso. Di lui in effetti Tucidide scrive, tra l'altro:"kai; mavlista strathgh'saiv te ejpiqumw'n" , VI, 15, e bramando al di sopra di tutto comandare. Il che non toglie che fosse un seduttore di razza.
  
Alcibiade aveva sempre cercato il potere e la bellezza la quale è associata all’arte e al sesso. Arte del potere in questo casio.
Plutarco dunque racconta che, secondo alcuni, i sicari diedero fuoco alla casa dove egli abitava con l'etera Timandra. Alcibiade si lanciò fuori e gli assassini, non osando avvicinarsi, lo colpirono vilmente da lontano, finché la vittima designata cadde.
 Timandra, nei limiti delle sue possibilità, gli diede onorevole sepoltura. In questa versione c'è una donna, una cortigiana che si occupa delle esequie del seduttore.
Nell'altro racconto scritto dal biografo di Cheronea sulla fine di Alcibiade, la seduzione di una ragazza è la causa della morte di questo don Giovanni antico. "Sua passion predominante", si ricorderà il libretto di Da Ponte, "è la giovin principiante" (Don Giovanni, I, 5.9)
 
 Un collegamento con il Don Giovanni , e con Le nozze di Figaro , ugualmente di Mozart-Da Ponte, viene fatto anche per Andrea Sperelli:"Egli aveva in sé qualche cosa di Don Giovanni e di Cherubino: sapeva essere l'uomo di una notte erculea e l'amante timido, candido, quasi verginale.( Il piacere , p. 19)
 
Assurdo è il matrimonio per ogni uomo che ama molto le donne; ancora peggiore e meno che assurdo, ridicolo, è il fidanzamento: amanti tante, moglie nessuna, promessa sposa tanto meno è il loro motto.  
Sentiamo Kierkegaard: “Di tutte le cose ridicole è dunque un fidanzamento la più ridicola. Il matrimonio può avere un senso che comunque al seduttore risulta fastidioso. Il fidanzamento non è cane né pesce e sta all’amore come l’uniforme del bidello sta alla cattedra professorale” ( Diario del seduttore, 3 agosto)
Ebbene il figlio di Clinia avrebbe sedotto una ragazza di buona famiglia e i fratelli di lei, non sopportando l'offesa, diedero fuoco alla casa e lo uccisero mentre ne saltava fuori attraverso il fuoco ("dia; tou' puro;" ejxallovmenon", Plutarco, Vita di Alcibiade ,  39, 9).
Queste fiamme mi danno l'occasione per un'ultima citazione di Baudelaire:"il carattere della bellezza del dandy consiste soprattutto in quell'aria fredda che gli viene dalla ferma risoluzione di non commuoversi; si direbbe un fuoco latente che si lascia indovinare, che potrebbe ma non vuole divampare"[4].
Alla fine della Vita di Alcibiade però divampa.
Il  don Giovanni del melodramma, nell’esodo dell'opera, scompare nel fuoco:"Da quel tremore insolito.../Sento...assalir...gli spiriti.../Donde escono que' vortici/ di foco pien d'orror!...Cresce il fuoco, compariscono diverse furie, s'impossessano di Don Giovanni, e seco lui sprofondano"[5]. Quella exacerbatio cerebri  di cui parla S. Kierkegaard nel Diario del seduttore [6], o piuttosto quel fuoco interno, prima di spegnersi, fuoriesce, divampa e uccide l'uomo.
Cornelio Nepote ci informa che allora egli aveva circa quarant'anni ("Alcibiades circiter quadraginta natus diem obiit supremum "[7]), ma nel 404 doveva averne qualcuno di più. Stava comunque declinando quella sua giovinezza e follia che sembrava essere oltre i limiti naturali"(hJ ejmh; neovth" kai; a[noia para; fuvsin dokou'sa ei\nai"[8] ) vantata da lui stesso di fronte al popolo prima della spedizione in Sicilia. Alcibiade aveva fatto "della giovinezza il proprio cavallo di battaglia"[9].  Viene da pensare che un personaggio come questo, il giovane  leone[10] allevato in casa dell'altro leone[11] che aveva fatto di Atene la scuola dell'Ellade[12], non potesse sopravvivere né alla potenza di Atene né alla propria giovinezza.
 
Lord Henry avrebbe potuto rivolgere anche a lui, nei momenti d'oro ricordati da Tucidide, le parole dette a Dorian Gray nel romanzo di Oscar Wilde:"Sì, gli dèi furono benigni con voi, Gray. Ma gli dèi, dopo breve tempo rivogliono i loro doni. Avete soltanto pochi anni da vivere veramente. Quando la vostra gioventù se ne sarà andata, avrete perduto anche la vostra bellezza, e vi renderete conto d'un tratto che non ci sono più vittorie per voi, o che dovete accontentarvi di quelle banali vittorie che la memoria del vostro passato renderà più amare delle sconfitte. Ogni mese che passa vi avvicina a qualche cosa di orrendo. Il tempo è geloso di voi, e si accanisce sui vostri colori di giglio e di rosa. Le vostre tinte appassiranno, le guance si faranno cave, si appannerà il vostro sguardo. Soffrirete tremendamente...Godete della vostra giovinezza finché la possedete! Non sprecate il tesoro dei vostri giorni ascoltando la gente noiosa, cercando di consolare i predestinati all'insuccesso, donando la vostra vita agli incolti, ai mediocri, ai volgari...Vivete! Vivete la meravigliosa vita che è in voi! Nulla deve andar perduto per voi. Cercate continuamente nuove sensazioni. Non abbiate paura di nulla...Un nuovo edonismo! Di questo ha bisogno il nostro secolo. Potreste esserne il simbolo visibile. Nulla è vietato alla vostra persona. Il mondo è vostro, per una stagione...Perché la vostra gioventù durerà un tempo così breve-così breve! Gli umili fiori di prato avvizziscono, ma rifioriranno ancora. Quest'altro giugno l'acacia sarà d'oro, come è ora...Ma noi non torniamo mai alla nostra giovinezza. L'onda di gioia che pulsa in noi a vent'anni, si fa tarda. Le membra non ci ubbidiscono più, i sensi si consumano. Diventiamo ripugnanti fantocci, perseguitati dal ricordo delle passioni di cui abbiamo avuto timore e delle squisite tentazioni alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Gioventù! Gioventù! Non c'è nulla al mondo che valga la giovinezza!"[13].
 Probabilmente fu per non sopravvivere agli ultimi bagliori della sua giovinezza, per non arrivare all'età del Casanova di Arthur Schnitzler il quale "a cinquantatre anni, quando "il fulgore interiore ed esteriore andava lentamente spegnendosi" era "spinto a vagare per il mondo non più dal giovanile piacere dell'avventura, ma dall'inquietudine dell'avanzante vecchiaia"[14] che Alcibiade volle morire  in quell'ultimo fuoco, lanciato per l'ultima volta dall' Eros fulminatore[15] che si era fatto incidere sullo scudo invece degli stemmi gentilizi.

 
Bologna 31 maggio 2023 ore 10, 58 
giovanni ghiselli


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[1]VI, 15, 4.
[2]Historiae , I, 18.
[3]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Primo, , trad. it. Adelphi, Milano, 1976, p. 172.
[4]Baudelaire, op. cit., p. 1152.
[5]Don Giovanni  di Mozart-Da Ponte, II, 19.
[6] Trad. it., Rizzoli, Milano, 1974, p. 22.
[7]Alcibiades , 10, 6.
[8]Tucidide, VI, 17.
[9] J. de Romilly, Alcibiade , p. 23.
[10]Cfr. Aristofane, Rane , 1423.
[11]Pericle, di cui Plutarco (Vita di Pericle , 3) racconta che la madre Agariste, prossima a partorirlo, sognò di generare un leone.
[12]Tucidide, II, 41.
[13]O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray , in Wilde Opere , trad. it. Mondadori, Milano, 1982, p. 32.
[14]Arthur Schnitzer, Il ritorno di Casanova , trad. it., Bompiani, Milano, 1982, pp. 1-2.
[15] Plutarco,  Vita di Alcibiade , 16.

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