Nietzsche 112 Ecce homo. La nascita della tragedia
“Ero il primo a vedere il vero contrasto: da una parte l’istinto degenerante che si rivolta contro la vita con rancore sotterraneo-il cristianesimo, la filosofia di Schopenhauer, in un certo senso già la filosofia di Platone, tutto l’idealismo ne sono forme tipiche- e dall’altra una formula della affermazione suprema, nata dalla pienezza, dalla sovrabbondanza, un dire sì senza riserve, al dolore stesso, alla colpa stessa, a tutto ciò che l’esistenza ha di problematico e di ignoto”.
In effetti la tragedia greca ci insegna a vedere la donna, l’uomo, il matrimonio, il mettere al mondo dei figli, tutta la vita insomma come problema.
Una volta un collega mi fece: che cosa significa come problema? Diedi una risposta soltanto tecnica: provblhma è una parola greca che significa “qualcosa che ci viene gettata davanti, da probavllw”.
E’ una delle tue fantasie replicò lui. Era un “chiarissimo” professore di greco. Un problema da affrontare oggi, tra i primi, è quello della selezione degli insegnanti in base alla loro preparazione.
Ma domando con Giovenale: quis custodiet ipsos/ custodes? " (VI, 347-348).
“Quest’ultimo, gioiosissimo, straripante-arrogantissimo sì alla vita non solo è la visione suprema , ma anche la più profonda, confermata e sostenuta col massimo rigore della verità e della scienza (…) Per capire questo ci vuole coraggio e, come sua condizione, un eccesso di forza: perché, nella misura della propria forza , ci si avvicina alla verità solo di quanto il coraggio può avventurarsi avanti. La conoscenza, il dire sì alla realtà, è una necessità per il forte, così come lo è per il debole, per ispirazione della debolezza, la viltà e la fuga dalla realtà: l’ideale” (Nietzsche, Op. cit).
Per pensare la verità ci vuole intelligenza, per dirla ci vuole il coraggio di osare l’inattuale poiché oggi è invece attuale la menzogna.
Tuttavia non a ogni realtà bisogna dire sì e farlo non è sempre un atto di coraggio: dire sì al crimine che fa parte della realtà, alla guerra che è lo scelus maximum, alla menzogna ovunque diffusa, è complicità con il male.
C’è una bella immagine in una Lettera di Seneca che può spiegare perché osiamo.
Il filosofo usa l’immagine della supinata testudo, la tartaruga resupina: “Nullum tormentum sentit spinata testudo, inquieta est tamen desiderio naturalis status, nec ante desinit niti, quaterne se, quan in pedes cosistit” Ep. 121, 8, la tartaruga resupina, rovesciata sul dorso, non sente alcun dolore, tuttavia è inquieta per la mancanza della sua posizione naturale e non smette di fare sforzi , di agitarsi prima di essersi rimessa in piedi.
Quando ci troviamo così fuori posto ci agitiamo e osiamo anche correre dei rischi pur di uscire da un disagio che si accresce di ora in ora.
Sentiamo Ulrich: “E’ proprio così. Siamo malcontenti della nostra posizione, pensiamo senza posa a cambiarla e facciamo un proposito dopo l’altro senza mai attuarlo; finalmente ci rinunziamo: e a un tratto ecco che ci siamo voltati. In verità siamo stati voltati” (Musil, L’uomo senza qualità, II volume, capitolo 10, p. 713)
Bologna 24 maggio 2023 ore 10, 31
giovanni ghiselli
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