Altro punto di partenza saranno i miti: questi fanno vedere le origini e mostrano la psicologia del profondo.
Strumenti utili possono essere anche i film derivati dai miti o tratti da opere letterarie come l'Edipo re e la Medea di Pasolini. Leggendo la versione sofoclea del mito nel quale il figlio uccide il padre e sposa la madre, o quella euripidea della maga barbara che, abbandonata dal marito, ammazza i propri figli, si può ricordarne, tra le molte altre, l'interpretazione cinematografica.
La lettura pasoliniana del dramma di Euripide[1] risulta oltre tutto molto attuale in un'epoca di conflitto tra culture diverse.
In un'intervista Pasolini dichiarò di aver voluto mettere in evidenza
il contrasto tra la cultura pragmatica di Giasone e quella arcaica e ieratica di Medea:" Ho riprodotto in Medea tutti i temi dei film precedenti...Quanto alla pièce di Euripide, mi sono semplicemente limitato a qualche citazione...Medea è il confronto dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico. Giasone è l'eroe attuale (la mens momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma neppure si pone ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico[2], la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo (...) Confrontato all'altra civiltà, alla razza dello "spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture", sull'irrudicibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe essere benissimo la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[3]". Agli studenti si devono delle spiegazioni. Una si può ricavare da un altro lavoro di Pasolini, gli Scritti corsari :" L'interpretazione puramente pragmatica (senza Carità) delle azione umane deriva dunque in conclusione da questa assenza di cultura: o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica"[4].
Qui l'autore parla del vuoto di Carità dell'Italia della metà degli anni Settanta. Ma riferiamolo alla Medea di Euripide. Il pragmatismo di Giasone si manifesta chiaramente quando il seduttore dichiara a Medea di avere voluto cambiare donna, prendendo la principessa di Corinto non perché odiasse la madre dei suoi figli, o perché ne volesse altri, ma per la cosa più importante: vivere bene, lui con la famiglia, o le famiglie, e senza restrizioni (wJ" , to; men; mevgiston, oijkoi''men kalw'"-kai; mh; spanizoivmeqa) sapendo con certezza che il povero tutti lo sfuggono (vv. 559-560). Pensate quanto è attuale questo oggi nel 2023.
Egli insomma "dra'/ ta; sumforwvtata " (v. 876) fa quello che è più utile, come riconosce Medea, quando finge di sottomettersi a Giasone beffeggiandolo. Bisogna pure chiarire che la Medea di Euripide impiega, strumentalmente, questa cultura dell'utile che la rende infelice, quando blandisce Creonte per ottenere un giorno di permanenza a Corinto onde compiere la sua terribile vendetta: credi che avrei blandito costui, chiede alla corifea, se non per guadagnarci qualcosa o per tramare? (vv. 368-369).
Si può chiamare in causa e inserire in questa categoria dell'utile anche la Poppea Sabina di Tacito: unde utilitas ostenderetur, illuc libidinem transferebat (Annales, XIII, 45), dove si presentasse l'utile, là volgeva la libidine. Si pensi a tante tra le persone che appaiono nelle trasmissioni televisive.
Per contrasto si può indicare un'altra Medea, una donna innocente e calunniata dalla spietatezza del potere, quella di Christa Wolf, una Medea che non ha ammazzato il fratello, non ha ucciso i figli[5], e non sa mentire:"Purtroppo sono sola e disperata. Perché tutto è così evidente, così facilmente divinabile. Perché non gliene importa nulla. Perché riescono a guardarmi negli occhi con faccia di bronzo mentre mentono, mentono, mentono. Non riuscire a mentire è un grave impedimento. Mi viene in mente il nostro gioco infantile, fratello, volevamo imparare a mentire. Chi di noi riusciva ad ammannire alla madre o al padre una determinata bugia in modo talmente schietto che essi ci credessero, aveva vinto. Il più delle volte venivamo mandati via tra le risate, nessuno dei due era particolarmente versato in quel gioco. Questi invece, Apsirto, sono maestri nel mentire, anche nel mentirsi. Fin dal principio mi sono meravigliata per l'ispessimento dei loro corpi. Perché non sentivo nulla, quando mettevo loro la mano sulla nuca, sul braccio, sul ventre, nessun fluire, nessuno scorrere. Nient'altro che durezza. Quanto tempo mi ci è voluto per sciogliere quella durezza, com'erano riluttanti, come si difendevano. Come si difendevano dalla compassione"[6].
La cultura ieratica e arcaica della Medea di Euripide si vede nel fatto che nonostante il tradimento di Giasone, ella continua a credere nei giuramenti e
negli déi: fa giurare Egeo sulla Terra e sul Sole, il padre di suo padre (vv. 746
747) e invoca: " w\ Zeu' Divkh te Zhno;;;" JHlivou te fw'" "(v. 764), oh Zeus e Giustizia di Zeus e luce del Sole.
E' una delle poche battute del dramma di Euripide utilizzata, e più volte, da Pasolini nel suo film.
A proposito della diversità delle culture si può ricordare che già Franz Grillparzer nella sua Medea[7] mette in rilievo "la storia di una terribile difficoltà o impossibilità di intendersi fra civiltà diverse, un monito tragicamente attuale su come sia difficile, per uno straniero, cessare veramente di esserlo per gli altri"[8].
Federico Fellini che ha tratto un film dal Satyricon di Petronio verso la fine degli anni Sessanta indica in un suo scritto la motivazione che può avere avuto per questo lavoro, e fornisce un'indicazione utile per l'insegnante che deve motivare lo studente:"Potrei dire che la Roma della decadenza rassomiglia molto al nostro mondo d'oggi, con questa smania buia di godere la vita, la stessa violenza, la stessa vacanza di principi, la stessa disperazione, la stessa fatuità. Potrei dire che gli eroi del Satyricon, Encolpio e Ascilto, rassomigliano molto agli hippies, come loro ubbidiscono unicamente al proprio corpo, cercano una nuova dimensione nella droga, rifiutano i problemi. Potrei dirlo, e magari rischierei di avere ragione. Ma tutte queste spiegazioni più o meno convincenti, in fondo contano poco. L'importante è che nel fare questo film mi riscopro dentro un piacere, un fervore gioioso che temevo perduti. Mi pare di sentire che la mia voglia di fare cinema non si è esaurita"[9].
A proposito di questa connessione romanzo-cinema sentiamo ancora E. Morin:"anche il romanzo così come il cinema ci offrono ciò che è invisibile alle scienze umane. Esse occultano o dissolvono i caratteri esistenziali, soggettivi, affettivi, dell'essere umano, che vive le sue passioni, i suoi amori, i suoi odii, i suoi coinvolgimenti, i suoi deliri, le sue gioie, le sue infelicità, con fortuna, sfortuna, imbrogli, tradimenti, casi, destino, fatalità. Sono il romanzo e il cinema a farci vedere la relazione dell'essere umano con gli altri, con la società, con il mondo(…) E il miracolo di un grande romanzo, come di un grande film, è che immergendosi nella singolarità dei destini, localizzati nel tempo e nello spazio, rivela l'universalità della condizione umana. Così, il ritratto di un uomo di mondo, nel ristretto perimetro del quartiere Saint-Germain, diviene, nel romanzo À la recherche du temps perdu, un microcosmo della profondità della condizione umana (…) La complessità delle relazioni del soggetto con gli altri, le instabilità dell' "io" sono state mostrate con forza da Dostoevskij"[10].
Attraverso questi autori, sui quali torneremo più volte, l'adolescente acquista strumenti per scandagliare le profondità della sua anima:"Scuola della scoperta di sé, in cui l'adolescente può riconoscere la sua vita soggettiva attraverso quella dei personaggi di romanzi o di film (…) E' spesso caratteristico di queste opere (…) ciò che con parole straordinarie Eraclito dice della Pizia di Delfi:"Non afferma, non nasconde, ma suggerisce". Com'è bello favorire tali scoperte!"[11].
Se si fa questa citazione, anche in un ginnasio, è possibile ed è meglio usare direttamente il testo greco:"oJ a[nax, ou| to; mantei'ovn ejsti to; ejn Delfoi'" , ou[te levgei ou[te kruvptei ajlla; shmaivnei", il signore di cui c'è l'oracolo a Delfi, non dice e non nasconde ma significa. Con questo frammento si possono indicare parole chiave, un concetto chiave e si può parlare dell'ombelico del mondo. Partendo da questo shmaivnei eracliteo si può aprire un discorso sulla "dimensione infinita della significazione"[12] con riguardo agli innumerevoli echi e ai rinvii che un testo può suscitare. Del resto, per quanto riguarda la scoperta di sé, c'è un altro frammento di Eraclito più calzante:" ejdizhsavmhn ejmewutovn" (126 D.), ho indagato me stesso.
Anche noi insegnanti dobbiamo scegliere testi che ci sono piaciuti e suggerire agli studenti in quale modo l'autore antico parli di loro, li riguardi, per motivarli a studiarlo volentieri.
Il docente deve tradurre e commentare l'autore con i suoi strumenti, e agli allievi può assegnarre la lettura delle pagine del manuale come luogo della prima informazione e come punto di partenza per le domande da fare e da ricevere.
L'insegnante dovrà conoscere e indicare le fondamentali opere utilizzabili per una visione critica. Posso abbozzarne un elenco.
Ne segnalo qui alcune tra quelle che abitualmente uso per i miei lavori: l'Estetica di Hegel; Aut Aut di Kierkegaard; Parerga e Paralipomena di Schopenhauer; lo Zibaldone di Leopardi; La nascita della tragedia di Nietzsche e tutta l'opera del filosofo tedesco; Paideia di Jaeger; La cultura greca e le origini del pensiero europeo , Poesia e società , Eschilo e l'azione drammatica di Snell; La tragedia greca e La Stoà di Pohlenz; Introduzione alla metafisica di Heidegger; I Greci e l'irrazionale di Dodds; Sofocle e Pericle di Ehrenberg; Sofocle di K. Reinhardt; Euripide e i suoi tempi di Murray; Storia sociale dell'arte di Hauser; Sofocle e I tragici Greci di Perrotta; Storia dei Romani e Storia dei Greci di G. De Sanctis; Mimesis Il realismo nella letteratura occidentale di Auerbach; Il pensiero storico classico e L'impero romano di Santo Mazzarino; Sofocle di Vincenzo Di Benedetto; Euripide teatro e società del medesimo autore ; Il tiranno e il suo pubblico di Diego Lanza; Introduzione a Omero di Fausto Codino; Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee di Benveniste; La civiltà greca di Bonnard; Lezioni americane e Perché leggere i classici di Calvino; Letteratura europea e Medio Evo latino di Curtius; Religiosità greca di Nilsson; Che cos'è un classico e La terra desolata di Eliot; Ulisse di Joyce; Lettera al padre di Kafka; Il ramo d'oro di Frazer; Totem e tabù , L'interpretazione dei sogni, L’uomo Mosè e la religione monoteistica di Freud; Il linguaggio dimenticato di Fromm; Gli dèi e gli eroi della Grecia , Miti e misteri di Kerényi; L'eroe sofocleo e Atene di B. Knox; Mangiare Dio di Kott; Storia della religiosità greca di Nestle; L'anello di Clarisse di Magris; Il mestiere di vivere di C. Pavese ; Sofocle e Atene di G. Ugolini; Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia di M. Detienne-J. P. Vernant; Mito e tragedia nell'antica Grecia di J. P. Vernant e P. Vidal-Naquet; e, degli stessi autori, Mito e tragedia due ; quindi, del solo J. P. Vernant , Mito e pensiero presso i Greci ; La morte negli occhi ; Le origini del pensiero greco ; Tra mito e politica ; L'individuo, la morte, l'amore .
Sul mito è chiarificatore anche James Hillman di cui segnalo Variazioni sul mito, scritto con Karl Kerényi, e Il piacere di pensare . Per i miti consiglio pure i testi base di Apollodoro e Igino, nonché un testo recente di D. Puliga e S. Panichi: In Grecia. Racconti dal mito, dall'arte e dalla memoria. Ottimo per la tragedia greca è anche L'arcipelago di M. Cacciari.
Raccolte di saggi utili sono Lo spazio letterario di Roma antica e Lo spazio letterario della Grecia antica della Salerno editrice. Per quanto riguarda lo studio comparativa delle letterature europee suggerisco Gerorge Steiner: Morte della tragedia, Le Antigoni, Tolstoj o Dostoevskij, Dopo Babele, Nel castello di Barbablù Note per la riedifinizione della cultura. Per la "letteratura carnevalizzata" consiglio Michail Bachtin: Dostoevskij, Estetica e romanzo.
Per quanto riguarda lo studio della lingua segnalo Lexis, Lessico per radici della lingua greca di G. Ugolini. Questo lavoro è utilissimo poiché l'autore risale alle radici indoeuropee ricostruite, quindi passa per quelle greche e latine, e arriva alla loro presenza nelle moderne lingue europee. Lavori sulla didattica che mi risulta particolarmente congeniale sono La testa ben fatta di Edgar Morin e La lingua le pratiche la teoria di Fabrizio Frasnedi. Ottima Storia e Antologia della letteratura greca è quella che Luciano Canfora ha fatto per la Laterza. Buona è pure quelle di Dario Del Corno (Principato).
Una letteratura latina assai ben fatta e gradevole è quella curata da Maurizio Bettini per La Nuova Italia; ottima antologia di autori latini è quella modulare coordinata e diretta da Gian Biagio Conte: Scriptorium classicum (Le Monnier).
Mi sembra buona cosa che gli allievi di una classe possano utilizzare commenti diversi di uno stesso testo per procedere a confronti tra differenti interpretazioni.
La conoscenza di vari strumenti metterà il giovane nella condizione del kritikov" , ossia del lettore capace di dare un giudizio (krivsi") autonomo, cioè di giudicare (krivnein) con un criterio suo, eppure non arbitrario, l'opera in questione. Su ciascun autore infatti non è mai stata detta l'ultima parola e lo studioso non deve essere solo il ripetitore pedissequo di teorie altrui. "La scuola, i luoghi della formazione, della Bildung , hanno continuamente malgrado tutto a essere centri di critica, di discussione, di confronto tra tendenze diverse, di interrogazione"[13]. La critica dei ragazzi deve poter colpire anche i docenti: all'allievo va lasciata piena libertà di parola. Sentiamo ancora Cacciari:" Paideia è ab origine connessa a parresia . Se viene meno la parola libera-e la parola può cessare di essere libera soltanto per 'autocensura'-, la parola che intende discutere ogni presupposto e ogni 'stato', non vi è più scuola, ma, per dirla con Nietzsche, "produzione di impiegati", se va bene di "impiegati intelligenti"[14].
Parrhsiva, libertà di parola, potrebbe essere scelta come parola chiave e vista a partire dallo Ione di Euripide (del 410 a. C.) dove il protagonista chiede a Xuto di poter ereditare da una madre ateniese questo privilegio recandosi ad Atene poiché lo straniero che piomba in quella città, anche se a parole diventa cittadino, rimane schiavo nella bocca se non possiede la parresia (vv. 671-675).
Tanto meglio se la critica da alcuni viene guardata con sospetto siccome "è diventato l'atteggiamento eretico quando la Chiesa poteva bruciare i dissenzienti. Ed è diventato atteggiamento da guardare con sospetto quando si assume un atteggiamento critico nei confronti di quello che è l'assestamento del sapere e della verità"[15]. Senza la capacità critica il pensiero si impoverisce:"perché pensare non significa trasmettere velocemente dei dati ma significa elaborare dei dati"[16].
"La prima finalità dell'insegnamento è stata formulata da Montaigne: è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena (…) una testa ben fatta è una testa atta a organizzare le conoscenze così da evitare la loro sterile accumulazione"[17].
Viceversa quella che non sa connettere nulla con nulla (I can connect/Nothing with nothing[18]) è una testa intronata tra spazi ventosi:"A dull head among windy spaces"[19].
Morin cita Pascal a proposito del connettere:"Pascal aveva già formulato l'imperativo dell'interconnessione che si tratta oggi d'introdurre in tutto il nostro insegnamento, a cominciare dalle scuole elementari:"Dunque, poiché tutte le cose sono causate e causanti, aiutate e adiuvanti, mediate e immediate, e tutte sono legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lontane e le più disparate, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere le parti"[20].
Molto prima di Pascal (1623-1662) Platone aveva detto che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", Menone, 81d) e Dostoevskij farà dire allo stariez Zossima che "il mondo è come l'Oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore""[21].
Secondo questo principio e per quello della responsabilità collettiva di chi comanda, nel prologo dell'Edipo re di Sofocle viene descritta la sterilità della terra tebana sconciata e resa malata dai delitti di Edipo; nell'Oedipus di Seneca il protagonista si accusa dicendo "fecimus coelum nocens ( v.36), abbiamo reso colpevole il cielo, e nel Macbeth un nobile scozzese, Ross, fuori dal castello del delitto fa notare a un vecchio che il cielo, quasi sconvolto dal misfatto umano (as troubled with man's act) minaccia la sua scena sanguinosa, e il giorno è buio come la notte. Infatti risponde l'old man:" 'Tis unnatural, even like the deed that ' s done" (II, 4), è innaturale, proprio come l'azione che è stata perpetrata.
Questo tovpo" si trova anche nella Medea reinterpretata da Christa Wolf quale capro espiatorio dell' u{bri" di un popolo dominato e manipolato da assassini:"Lissa si rendeva conto come me che una specie di malattia cronica aveva colpito Corinto e che quasi nessuno aveva l'intenzione di andare a fondo di quella malattia (…) La risposta per lei era evidente. Nella vostra presunzione, disse. Vi sollevate sopra tutto e tutti, ciò altera il vostro giudizio sul reale, e anche su come siete realmente (…) Ma insieme al peso impostomi dal destino di Medea, provai pietà per i Corinzi, popolo di miseri traviati che sapevano liberarsi dalla paura della peste e della minaccia dei moti celesti e della fame e dei soprusi del palazzo solo scaricando ogni responsabilità su quella donna"[22]. Un intero capitolo del percorso che segue è dedicato a Medea e in esso ne studieremo varie interpretazioni
Il ragazzo, per giungere all'originalità, deve conoscere diverse teorie. Posso "autorizzare" questa mia convinzione con una riflessione di Leopardi il quale dichiara di "aver contratta, a forza di moltiplicare i modelli, le riflessioni ec. quella specie di maniera o di facoltà, che si chiama originalità. (Originalità quella che si contrae? e che infatti non si possiede mai se non s'è acquistata? Anche Mad. di Staël dice che bisogna leggere più che si possa per divenire originale"[23].
Qualche cosa di simile nel saggio già citato[24] di Eliot:"Se noi ci accostassimo a un poeta senza alcun pregiudizio, spesso ci accorgeremmo che le parti non solo migliori ma anche le più personali della sua opera sono forse quelle in cui i poeti scomparsi, i suoi antenati, dimostrano con maggior vigore la loro immortale maturità".
Adesso è di moda la traduzione contrastiva; ebbene io credo che anche la critica contrastiva abbia la funzione di sviluppare l'intelligenza dei giovani.
Per fare un solo esempio, e almeno di un esempio ha bisogno chi vuole imparare, verso la fine di questo percorso vedremo la biblioteca di Des Esseintes in A Rebours di Huysmans il quale sui classici presentati qua dentro dà giudizi dissacratori, molto lontani da quelli canonici che il giovane può così vedere criticati, magari trovando autorizzata la sua antipatia per questo o quell'altro autore consacrato.
Buona norma oltretutto è commentare i poeti con i poeti: il testo di un autore innanzitutto con altri testi dello stesso autore, secondo il criterio del filologo Aristarco di Samotracia (215-144 ca.) per il quale bisogna spiegare Omero con Omero : " JvOmhron ejx JOmhvrou safhnivzein"[25]; poi vanno considerati i commenti fatti dagli autori successivi a quelli precedenti. Li prenderemo in considerazione spesso, utilizzando, per esempio, Quintiliano e Leopardi come critici.
Le critiche anomale possono suscitare lo stupore dei giovani, un effetto che favorisce l'apprendimento, in quanto tiene desta l'attenzione, ossia "la pietà naturale dell'anima"[26].
Interessante a questo proposito è un elogio dello stupore di H. Hesse:"Per stupirci siamo qui!" dice un verso di Goethe. Tutto inizia con questa stupefazione e con essa termina, tuttavia non è un cammino vano. Sia che io ammiri un musco, un cristallo, un fiore, un maggiolino d'oro, sia che guardi un cielo solcato dalle nuvole, un mare con il pacato gigantesco respiro della sua risacca, l'ala di una farfalla con la trama ordinata delle sue costole vitree (…) in quello stesso istante io ho abbandonato e dimentico il mondo avido e cieco dell'umana necessità e, anziché pensare a comandare, acquistare, sfruttare, combattere o organizzare, non faccio altro, per quell'istante, che provare la "stupefazione" goethiana e, contemporaneamente, non divengo solo fratello di Goethe e di tutti i poeti e saggi, ma sono anche fratello del cosmo vivente che contemplo e sperimento: della farfalla, del coleottero, della nuvola, del fiume e del monte. Percorrendo la via dello stupore, sono infatti sfuggito per un attimo al mondo delle differenziazioni e sono entrato in quello dell'unità, dove ogni cosa o creatura dice all'altro: Tat twam asi ("Sei Tu")...non vogliamo lamentarci che nelle nostre università non si insegni a percorrere le strade più semplici per conseguire la saggezza e che, al posto dello stupore, si insegni l'esatto contrario: a contare e a misurare invece che perdersi nell'estasi, l'oggettività invece della malia, il rigido attenersi alle differenziazioni anziché subire l'attrazione del Tutto e Uno. Le università non sono scuole di saggezza, sono scuole di sapere, ma tacitamente postulano come conosciuto ciò che esse non possono insegnare: la capacità di osservare, la stupefazione goethiana, e i loro spiriti migliori non conoscono altra finalità più nobile che costituire un altro gradino perché Goethe e altri nuovi saggi si manifestino di nuovo"[27].
Lo stupirsi dunque si confà all'attenzione e all'apprendimento, e dal meravigliarsi nasce la filosofia: "Principio di ogni filosofia è il meravigliarsi", dice Platone e deduce dal fatto che il giovane Teeteto si meraviglia la sua attitudine al filosofare"[28].
Aristotele poi afferma che gli uomini hanno cominciato a fare filosofia, ora e in origine, a causa della meraviglia: "dia; ga;r to; qaumavzein oiJ a[nqrwpoi kai; nu'n kai; to; prw'ton h[rxanto filosofei'n"[29].
Sono degni di attenzione anche alcuni scritti nei quali Tolstoj elabora i principi pedagogici che cercava di mettere in atto nella sua scuola alternativa, istituita nella tenuta di Jasnaja Poljana per educare e istruire i figli dei contadini :" Quello strano stato psicologico che io chiamo stato scolastico dell'anima, che tutti noi purtroppo conosciamo così bene, consiste nel fatto che tutte le facoltà più elevate-immaginazione, creatività, comprensione-lasciano il posto ad altre facoltà semi-animalesche: il pronunciare i suoni indipendentemente dall'immaginazione, il contare i numeri in fila, 1, 2, 3, 4, 5…, il percepire le parole senza permettere alla fantasia di arricchirle con immagini; in una parola, la facoltà di reprimere in sé tutte le facoltà più elevate per sviluppare solo quelle che coincidono con l'ordine scolastico, il terrore, lo sforzo della memoria e l'attenzione"[30]. Anche con l'Università il maestro di Jasnaja Poljana non è tenero:"L'università non prepara uomini utili all'umanità, prepara solo uomini utili ad una società corrotta"[31].
La cultura fa bene, fa crescere, stimola la creatività, suggerisce il maestro russo nella pars construens :" Gli scolari e gli studenti devono essere lasciati liberi di essere allegri poiché la contentezza si addice all'apprendimento:"Un bambino ed un uomo sono ricettivi solo quando sono in uno stato di eccitazione, perciò è un errore madornale considerare lo spirito allegro di una scuola come un nemico, come un ostacolo, ed è un errore che facciamo troppo spesso"[32].
La raccomandazione di evitare l'oppressione nella scuola risale a Quintiliano :"Danda est tamen omnibus aliqua remissio"[33], bisogna dare comunque a tutti un poco di riposo. E, poco più avanti:"Nec me offenderit lusus in pueris; est et hoc signum alacritatis…Sunt etiam nonnulli acuendis puerorum ingeniis non inutiles lusus, cum positis invicem cuiusque generis quaestiunculis aemulantur. Mores quoque se inter ludendum simplicius detegunt " (I, 3, 10-12), né mi dispiacerebbe il gioco nei ragazzi; pure questo è un segno di vivacità…Ci sono anche alcuni giochi non inutili ad acuire gli ingegni, quando, postisi vicendevolmente dei piccoli quesiti di ogni genere, fanno a gara. Anche i caratteri si scoprono in maniera più diretta nel gioco.
Altra raccomandazione didattica: lo studiato va messo in relazione con il vissuto a costo di cadere nell'anedottico per mostrare che la cultura classica è comunque presente, viva e ci riguarda tutti.
A questo scopo sono utili le attualizzazioni del mito, come quella, per esempio, che fa Bettini quando afferma che "anche i pubblicitari sono degli Aconzi"[34].
Aconzio obbligò Cidippe a sposarlo scrivendo delle parole: "La scrittura di Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per sottrarsi alla sua trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?"[35]. La pubblicità in effetti recupera e utilizza tutto: non solo il metodo di Aconzio, personaggio degli Aitia di Callimaco (305 ca-240 ca a. C), ma anche le parole di Pindaro (518-438 a. C.): ho visto una reclame di magliette piuttosto costose che traduce in francese la somma del pensiero educativo del vate tebano: gevnoio oi|o" ejssiv" (Pitica II v. 72), diventa quello che sei.
La pubblicità deve essere demistificata.
Questo collegamento incongruo della pubblicità con la nobiltà del mito può essere completato e controbilanciato con quanto scrive Don Milani:"la pubblicità si chiama persuasione occulta quando convince i poveri che cose non necessarie sono necessarie"[36]. Si può pensare, per esempio, a indumenti dal prezzo superfetato oppure a qualche cosa di peggio in quanto oggetto ritenuto oramai necessario: agli oltre quaranta milioni di cellulari presenti in Italia. Chi scrive è fiero di non averne avuto mai nemmeno uno. Sono altresì fiero della mia vita da povero.
Nei classici insomma sono presenti problematiche e situazioni eterne e la cultura greco-latina, mentre potenzia la fuvsi", ci aiuta a comprenderle.
Bologna 17 aprile 2023 ore 20. 05
giovanni ghiselli
ora mi muovo perché l’appetito sia reale, non disonesto, la cena non sia immeritata e la salute non venga compromessa insieme con la linea.
p. s.
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[1] Per quello di Sofocle cfr. il mio Edipo re, Loffredo, Napoli, 1998.
[2] Questo aggettivo si addice piuttosto, come vedremo, al Giasone delle Argonautiche di Apollonio Rodio.
[3]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita , Einaudi, Torino 1989.
[4] P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 49.
[5] Si legge nella Periegesi della Grecia (II, 3, 6) di Pausania Periegeta ( ca. 100-180 d. C.) la versione secondo la quale i figli di Medea, Mermero e Fere, sarebbero stati linciati dai Corinzi poiché avevano portato a Glauce, figlia del re Creonte e nuova moglie di Giasone, i doni della madre che avevano causato il suicidio della principessa greca.
[6] C. Wolf, Medea, p. 106.
[7] Che compone e conclude la trilogia Il vello d'oro con L'ospite e Gli argonauti del 1821.
[8]C. Magris in Euripide, Grillparzer, Alvaro, Medea Variazioni sul mito a cura di M. G. Ciani, p. 17.
[9] F. Fellini, Fare un film , p. 105.
[10] La testa ben fatta, p. 41.
[11] E. Morin, La testa ben fatta, p. 47.
[12] F. Frasnedi, op. cit., p. 29.
[13] M. Cacciari, Di fronte ai classici , p. 22.
[14] M. Cacciari, op. cit., p. 22.
[15] U. Galimberti, La lampada di Psiche, p. 25.
[16] U. Galimberti, op. cit., p. 70.
[17] E. Morin, La testa ben fatta, p. 15 e p. 18.
[18] T. S. Eliot, La terra desolata, vv. 301-302
[19] T. S. Eliot, Gerontion, v. 16.
[20] B. Pascal, Pensieri, tr. it. Mondadori, Milano, 1994, p. 143.
[21]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , p.402.
[22] Medea, p. 168 e p. 213. Queste parole fanno parte di due degli undici monologhi che costituiscono il romanzo, quelli di Leuco, il secondo astronomo del re di Corinto.
[23]Zibaldone , 2185-2186.
[24] Tradizione e talento individuale.
[25] Schol. B a Z 201.
[26] G. Steiner, Vere presenze, p. 151.
[27]H. Hesse, La bellezza della farfalla , in Hesse L'arte dell'ozio , pp. 401-402.
[28] Sono le prime parole de La Stoa di Pohlenz che si riferiscono a Teeteto , 155d.
[29] Metafisica , 982b.
[30] Sull'istruzione popolare (del 1862), in Lev Tolstoj, Quale scuola?, p. 57.
[31] Educazione e formazione culturale in Quale scuola?, p. 104.
[32] La scuola di Jasnaja Poljana in Quale scuola? , p. 220.
[33] Institutio oratoria, I, 3, 8.
[34]Con i libri , Einaudi, Torino, 1998, p. 9.
[35]M. Bettini, op. cit., p. 10.
[36]Lettera a una professoressa , Libreria Editrice Fiorentina, 1978. nota 56 di p. 69.
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