La paura delle donne Metus mulierum: genitivo soggettivo e oggettivo.
La paura che gli uomini hanno delle donne li spinge a osare ogni ingiustizia nei loro confronti.
Del resto le donne che temono gli uomini possono premunirsi anticipandoli.
Osare prendersi una persona in casa è la gara massima. Veramente olimpica
Parto dal romanzo Tess di Thomas Hardy 1891. L'uomo osa l'ingiustizia e la donna il delitto
Angel ha ripudiato Tess dopo avere saputo da lei stessa che non era più vergine. I due si amavano ma prima di conoscere Angel lei era stata sedotta da un altro. La ragazza abbandonata dal marito gli scrive I am desolate without you, my darling. o, so desolate (…) I will bide on, Angel, ti aspetterò (capitolo 48).
Dopo averlo aspettato nella sofferenza Tess gli scrive di nuovo: "O why have you treated me so monstrously, Angel! I do non deserve it. non me lo merito. I have thought it all over carefully, and I can never, never forgive you! ci ho pensato con grandissima cura e non potrò mai perdonarti. You know that I did not intend to wrong you -why have you so wronged me? You are cruel indeed! I will try to forget you: it is all injustice I have received at your hands!, tu sai che non avevo nessuna intenzione di farti un torto, allora perché tu l'hai fatto a me? Tu sei crudele, davvero crudele! cercherò di dimenticarti. Non ho avuto che ingiustizia da te! (capitolo 51) Alla fine Tess oserà ucciderà Alec il seduttore e sarà condannata a morte. La mia generazione ancora pretendeva la verginità della moglie almeno a Pesaro.
Per paura del confronto sessuale con altri uomini. Ora questo è almeno in parte cambiato ma la paura della donna è rimasta.
Angel dunque ha inflitto ingiustizia a Tess come Giasone a Medea.
Nel Primo Stasimo della Medea di Euripide le donne corinzie accusano i poeti di avere denunciato solo le infedeltà delle donne
Prima strofe (vv. 410-420)
Verso l'alto scorrono le sorgenti dei sacri fiumi,
e giustizia e ogni diritto a rovescio si torcono.
Sono di uomini i consigli fraudolenti, e la fede
negli dèi non è più ferma.
La fama
cambierà la mia vita al punto che avrò gloria:
arriva onore alla razza delle donne;
non più una rinomanza infamante screditerà le donne.
Prima antistrofe (vv 421-430)
E le Muse degli antichi poeti smetteranno
di celebrare la mia infedeltà.
Infatti Febo signore del canto
non accordò nel nostro spirito
suono ispirato di lira: poiché avrei intonato un inno di risposta
alla razza dei maschi. Una lunga età ha
molte cose da dire sul nostro
Nella letteratura è frequente la presenza di streghe e di mostruosità attribuite alle donne
Parto da Nietzsche: “Giovane: un antro arabescato di fiori. Vecchia: un drago che esce fuori”[1].
Nel romanzo di Apuleio, Aristoměne di Egio racconta a Lucio la storia di Socrate giurando sul sole onniveggente che racconterà solo cose vere (1, 5).
Questo Socrate dunque era stato rapinato a Larissa, poi venne ospitato e rifocillato da un’ostessa caupona Meroe anus sed admŏdum scitŭla (Metamorfosi, 1, 7) attempata ma piuttosto carina. Gli diede da mangiare e lo portò a letto dove quest’uomo contrasse una schiavitù pestilenziale e durevole. Quella strega gli aveva portato via tutto. Socrate ne aveva sempre paura: siccome era una maga e un’indovina saga et divina. Una capace di tirar giù la volta celeste, potens caelum deponere, di sollevare la terra-terram suspendere- fontes durare- essiccare le fonti, montes diluere liquefare le montagne ( 1, 8).
Aveva mutato un suo amante infedele in un castoro, un animale che si libera dagli inseguitori praecisione genitalium (1, 9) recidendosi i genitali, poi aveva fatto altre stregonerie comportandosi quale emula di Medea (1, 10), l’allieva di Ecate.
Non solo con gli amanti Meroe era terribile ma aveva trasformato e deformato in un rospo un oste suo vicino che le faceva concorrenza –Cauponem quoque vicinum atque ob id aemulum deformavit in ranam e ora quel vecchio sguazza in una botte di vino e immerso nella feccia chiama con versi rochi gli avventori di un tempo (I, 9).
Dopo questo racconto pauroso di Socrate ad Aristomene i due vanno a dormire. Aristomene cade sotto il letto e, testudo factus (12) diventato una tartaruga, vede due donne non giovani: Meroe e la sorella Pantia. Meroe si paragona a Calipso abbandonata da Ulisse che viene ricordato più volte ed è figura di Lucio. Le due streghe straziano Socrate bacchatim (13) al modo delle baccanti. Meroe gli cava il cuore compiendo uno sparagmov~.
Quindi le sorelle fatali se ne vanno, non prima però di avere scostato il letto, di essersi piazzate a gambe divaricate sopra Aristomene e di avere svuotato la vescica su di lui inondandolo di urina spurcissima e fetida(I, 13) Aristomene non osa scappare per paura di essere accusato dell’omicidio e torna nel letto
La Tessaglia è una terra di streghe e la più famosa di queste è Erichto menzionata anche da Dante quale negromante: “quella Eritòn cruda- che richiamava l’ombre a’ corpi sui” (Inferno, IX,23-24)
Lucano definisce questa regione della Grecia settentrionale “damnata tellus fatis ( Pharsalia, VI, 413).
Lì nacque l’uso di contare il denaro quod populos scelerata impēgit in arma (406) spinse i popoli all crimine delle armi. La magia vuole essere controllo del mondo per mezzo dell’irrazionale. La strega tessala più famosa è Erichto congiurata con il Caos: “innumeros avidum confundere mundos” (Pharsalia, VI, 509).
Il romanzo di Apuleio dunque pullula di streghe le quali del resto non mancano in tante altre opere.
La Medea di Seneca invoca Ecate triforme[2], (vocetur Hecate, Medea, v. 577), la dea nera, a presiedere i sacra letifica (Medea, 577) i riti mortali. Questa divinità infernale sembra essere la principale maestra e vindice delle donne abbandonate.
La Medea di Euripide invoca Ecate quale xunergovn: "
Infatti per la signora che io venero
più di tutti e mi sono scelta come alleata,
Ecate , che abita nei penetrali del mio focolare,
nessuno di costoro rallegrandosi farà soffrire il mio cuore (Medea, vv. 395-397).
D’altra parte: “Tutte le donne sono un po’ fattucchiere quando sono innamorate”[3].
Simeta, l’amante abbandonata che nelle Farmakeuvtriai le Incantatrici , il II idillio di Teocrito di Teocrito, vuole avvincere l'uomo in fuga , il bell'atleta Delfi, con filtri (favrmaka) degni di Circe (vv. 15- 16), di Medea, nipote di Circe la figlia del sole, e della maga Perimede, nel prepararli chiede l'assistenza di Ecate tremenda, Ecate sotterranea che atterrisce anche i cani (v. 12) .
Pure Didone, lasciata da Enea, invoca, con l'Erebo e il Caos, Ecate triplice ( tergeminamque Hecaten, Eneide IV, 511) la dea "nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes " (Eneide, IV, 609) chiamata a ululati nei trivi notturni per le città.
Ecate compare anche nel Macbeth dove si rivolge alle streghe (the weird women, the weird sisters, le donne, le sorelle fatali) rimproverandole di non averla consultata, dato il suo ruolo:"And I, the mistress of your charms,/the close contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the glory of our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra?
D’altra parte: “Tutte le donne sono un po’ fattucchiere quando sono innamorate”[4].
Questa letteratura è ispirata dalla paura che l’uomo ha della donna. Già la sua maggiore longevità ci avverte che ha una più grande potenza vitale, poi la sua capacità di creare la vita suscita non poche volte invidia nell’uomo. Molti uomini, osano un contatto ravvicinato ma breve con la donna; una relazione lunga è già problematica, quanto a prendersi una donna in casa che sia un’amante, un’amica, una compagna, e poi funzionare bene stabilmente accoppiati questo è ajgw;n mevgisto" ( Euripide, Medea v. 235) la gara massima.
Antifonte sofista afferma che le nozze sono un grande agone in effetti: "mevga" ga;r ajgw;n gavmo" ajnqrwvpwn" [5].
giovanni ghiselli
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[1] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, Le nostre virtù, 237
[2] "Divinità primitiva e trina (triformis ), essendo associata a divinità appartenenti ai tre regni: la luna (il cielo), Diana (la terra) e Proserpina (gli inferi)". (G. G. Biondi, op. cit., p. 91, n. 5.)
[3] S. Màrai, La donna giusta, p. 204.
[4] S. Màrai, La donna giusta, p. 204.
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