mercoledì 17 maggio 2023

R. Musil, L’uomo senza qualità. II. La sorella gemella

1 La sorella dimenticata

Ulrich aveva ricevuto uno strano messaggio del padre: “ti comunico il mio decesso”. Ulrich andò a trovare la sorella maritata due volte. Il primo marito era morto- Questo era avvenuto 5 anni prima.
 Ora Ulrich aveva 32 anni e la sorella 27. I due fratelli si erano molto amati da bambini ma poi si erano visti poco siccome educati in istituti diversi. Né si erano scritti. Lui era diventato ingegnere (p.653) e aveva fatto l’asineria di un duello.
Il domestico che era andato a prenderlo alla stazione gli disse che il cognato professor Hagauer sarebbe giunto solo per le esequie e Ulrich se ne rallegrò perché avrebbe avuto qualche giorno di clausura con la sorella. Camminava con lieta meraviglia dopo avere posato nella carrozza la valigia con molti libri.
Tuttavia si chiedeva se la sorella gli sarebbe stata simpatica. Nel caso non gli fosse piaciuta, il soggiorno sarebbe stato sgradevole. Fu condotto in camera dal servo e le mandò a dire che sarebbe stato pronto dopo una mezz’ora. Era la camera dove dormiva da bambino e si sistemò tra le macerie della sua fanciullezza 633.
Indossò un pigiama per rispondere al fatto che la sorella non era andata ad accoglierlo sulla soglia. Era quasi un vestito da Pierrot a quadri neri e grigi stretto ai polsi, alle caviglie e alla vita- Gli piaceva perché era comodo.
Come vide la sorella, notò che era un altro Pierrot: biondo, alto e vestito a quadri. Gli somigliava moltissimo
“No sapevo che fossimo gemelli - disse Agathe e il suo viso sorrise rischiarato”  654
 

2 Confidenza

La vista del padre  morto scosse Ulrich alle radici dell’essere dove non ci sono sentimenti né pensieri. Era la fine di una relazione senza amore.
La sorella dice che il padre non le aveva mai voluto bene. Aggiunse che non voleva tornare dal marito. Precisò che non aveva un amante.
Ulrich pensò al cognato come un uomo ordinato e con tutti i ragionamenti abbottonati al cervello. Quelli più dotati di ingegno come Ulich vengono superati da tali personaggi con un’avanzata lenta e inesorabile come il destino.
 
Il professore marito di Agathe era un pedagogo ferrato in ogni problema.
Citava molti autori ma solo quelli presenti nei giornali  anche in critiche avverse. “Si mette in prima fila tra quelli che seguono i tempi” disse Ulrich. Non era un inattuale dunque come sono gli intellettuali alla Leopardi o alla Pisolini.
“Diventerà professore di università, mentre io non avrò nemmeno una libera docenza” pensò Ulrich p.659-. Agathe non  vuole in casa il marito aborrito: dovrà andare in albergo. I due fratelli non sapevano a chi il padre avesse lasciato la casa.
Quando sposò il secondo marito amava  Agathe ancora il primo.
La sensazione concava è essere dentro una cosa, quella convessa è guardarla da fuori 665.
Agathe infilò nella tasca del padre morto una giarrettiera di seta che si era sfilata da una gamba -684- Ulrich stava per impedirle questo atto così contrario all’ordine ma si trattenne vedendo negli occhi della sorella un lampo di rorida freschezza. Quell’idea barbara di donare al freddo cadavere del padre una giarrettiera ancora calda della giarrettiera della figlia portò disordine nel suo cervello.- 685-
 
6 Il vecchi signore riposa finalmente in pace
Il funerale del padre è un trapasso di poteri che avviene con pubblica cerimonia: l’erede riprende il cammino al posto dell’estinto, il rito funebre è una festa di iniziazione per chi prende il possesso del timone e pure l’inizio della traversata che porta il successore verso la morte dove il predecessore è già arrivato.   687- Cfr. il percorso della vita come una danza macabra. Cfr.  anche il funerale come rito triste e pure come festa. Ulrich pensava che la salma del padre per disposizione testamentaria del defunto era stata messa a disposizione della scienza. Dunque il cadavere era stato rilevato dall’Istituto di anatomia,
 Ulrich nutriva dubbi sulla sorte della giarrettiera di Agathe: forse l’avevano trovata  ed egli immaginò le facezie degli studenti.
Egli sentiva solo l’assurdità confusamente oscillante dell’ordine umano 688
Capitolo 7
Giunge una lettera di Clarisse: “Mio caruccio, mio vigliaccuccio, mio uccio. Sai che cos’è un uccio? Walter è forse un deboluccio
La musica è inganno. Voglio dire quando è sola. La musica da sola è estetismo o qualcosa di simile: debolezza di fronte alla vita. La musica deve unirsi alla vista perché dalla tomba del presente sorga la vita futura.
Ricorda il suo interesse per Moosbrugger, l’assassino musicale. Racconta di un suo tentativo di incontrarlo in manicomio.
 
Capitolo 8 Famiglia in due.
I due fratelli Ulrich e Agathe  parlano del matrimonio: il dilemma tra l’io e il noi da risolvere combinandosi con un’estranea.
Le zitelle sono strane creature neutre tra l’io e il noi.
Agathe crede che il fratello abbia pensato che lei dovesse rimaritarsi. Ulrich dice che i due singoli devono essere persone molto educate perché il loro connubio non diventi una caricatura  693.
Fratello e sorella si intendono tra loro. In casa non c’erano stanze per ospiti ed essi  dormivano nelle loro camere di bambini su letti di fortuna un ambiente disadorno che faceva pensare alle celle spoglie di un manicomio. Ma erano camere contigue separate solo da un ripostiglio e  ne erano contenti- Era come se un naufragio li avesse ributtati sull’isola solitaria della loro fanciullezza. Ma da persone educate quale erano ciascuna cercava di non togliere autonomia all’altro 696
Ulrich riprese le sue ricerche matematiche più che altro per passare il tempo. Per tentare la strada accademica era tardi. Usò il termine destino con la sorella e le disse che il destino era una via di mezzo tra il proprio mal di denti e le figlie di Re Lear. Un nonsense dunque. Aggiunse che non si lasciava bloccare da quella parola.
“Già invecchiare è un destino” disse lei
Ulrich racconta che da ragazzi voleva introdurre nel mondo le proprie idee come un cuneo  ma poi ebbe delle opposizioni e perse la pazienza. Se avesse avuto fortuna o perseveranza sarebbe potuto divenire il capo di una corrente. La sorella lo incoraggiò: “sei ancora in tempo!
Ulrich: “non ne ho più voglia e anche questo è un pezzetto di quello che si chiama destino”.
 
Tutto avviene per destino e noi compiamo l’ eijmarmevnh con dei  suneimarmevna (Putarco, Peri; eiJmarmevnh~, 569 F) atti del fato collegati o confatalia come li chiama Cicerone attribuendole allo scolarca stoico Crisippo (De  fato,  30).
Sentiamo un esempio riportato da Cicerone:
“ ‘Sive tu adhibueris medicum sive non adhibueris, convalesces': captiosum; tam enim est fatale medicum adhibere quam convalescere.
Haec, ut dixi,  confatalia ille appellat”.   
Nel caso di Ulrich era destino perdere la voglia di fare e non fare niente
Tutto converge allo stesso scopo, seguita Ulrich e tutto collabora a uno sviluppo immancabile. “Oggi il destino fa l’impressione di un movimento che trascina una massa. Ci siamo dentro tutti e siamo trascinati con il resto -699-
“Ciò che ora si chiama ancora destino personale sarà sostituito da eventi collettivi e interpretabili mediante la statistica. Così ci si sente abbracciati e penetrati da una piacevole e abulica mancanza di indipendenza anche se si rimane capaci di critica”.
I due giovani arrivarono alla scoperta che loro due costituivano una famiglia.
Più avanti, nel capitolo 24, il forte sentimento della fratellanza provato da entrambi spinge Ulrich a dire  alla sorella:":-Adesso ho capito chi sei tu: sei il mio amor proprio!-La frase suonava strana, ma descriveva bene ciò che Ulrich sentiva.-Un vero amor proprio come lo posseggono gli altri mi è sempre mancato, in un certo senso, -egli spiegò.-E adesso mi pare evidente che, per errore o per destino, era personificato in te! - aggiunse senz'altro"[1].
 A questo  proposito, G. Steiner suggerisce di commentare il primo verso dell'Antigone  con i "capitoli dedicati a Ulrich e ad Agathe nell'Uomo senza qualità....In entrambi i testi, le voci della consanguineità emergono dalle incertezze consolatrici della notte e, allo stesso tempo, cercano di ritornarvi"[2].
Questa scelta costituisce uno degli aspetti dell'arcaismo di Sofocle, il quale, sostiene Hauser, "fin da principio sacrifica l'idea dello stato popolare democratico agli ideali dell'etica nobiliare; e, nella lotta fra il diritto familiare privato e il potere assoluto ed egualitario dello Stato, parteggia risolutamente per l'idea tribale"[3].  
 
 
Capitolo 9
Agathe, quando non può parlare con Ulrich
 
I due fratelli su proposta di Ulrich facevano un giro in carrozza senza palare. Agathe pensava alla propria vita. Non aveva mai capito se era stupida o intelligente, volonterosa o svogliata. Imparava facilmente ma con una profonda diffidenza interiore. L’avevano messa in un istituto religioso poi era andata al ginnasio. Faceva quanto le dicevano perché le sembrava la soluzione più comoda. Le solide istituzioni non avevano niente a che fare con lei. Non credeva a una parola di quanto imparava-cfr. la polverosa erudizione de enunciata da Nietzsche-.
Le sue compagne la ammiravano perché se la passava comodamente.
Esecrava l’emancipazione della donna e sdegnava il femminile istinto della covatrice che si fa preparare il nido dal maschio. Da ragazza avrebbe voluto vivere una vita straordinaria e diversa, però faceva quello che le chiedevano di fare. Guardò il fratello serio e impettito e ricordò il secondo marito quando per baciarla arrotondava le labbra sotto le setole dei baffi. E lei pensava “quanto è brutto quest’uomo!” 704
La nausea era fisica e lei lo aveva ingannato di tanto in tanto con altri.
Ma gli amanti dopo poco non le parevano più affascinanti del marito e si convinse presto che avrebbe potuto prendere a sul serio le maschere rituali di una tribù negra altrettanto quanto le maschere amorose con cui un uomo europeo si copre il volto 706.
La teatralità dell’amore non riuscivano a inebriarla. Quella regia degli uomini le sembrava scombiccherata- scarabocchiata, scritta male- e non la metteva a proprio agio. La sua filosofia era quella della femmina che non si lascia menare per il naso ma più che una filosofia era un disinganno dissimulato.
I suoi seduttori non l’avevano mai imprigionata né la sua vita con il marito si era mutata in una lotta tra i sessi  come in un dramma di Strindeberg  in cui la donna prigioniera, come voleva la moda del tempo, torturava a morte l’inetto dominatore con tutti gli espedienti dell’astuzia e della debolezza- Cfr. La signorina Giulia 1888- ma per la lotta dei sessi si può pensare anche a Ibsen Casa di bambola, a Eschilo Supplici-Agamennone, a Euripide Medea.
 
Ma Agathe si era limitata a disprezzare il marito in cuor suo. Il babbo glielo aveva raccomandato. In fondo era un uomo buono aveva pensato.
Ma poi aveva cambiato il giudizio: non era buono, era uno che agiva bene. Urich aveva detto; “il ruscello che fa andare una fabbrica perde la sua portata” 706- Solo chi non fa sempre bene può conservare la sua bontà. Era una frase a effetto e in un primo tempo le era sembrata meravigliosa, si era sentita quasi svenire dalla felicità a sentire quell’aforisma. Aveva capito di essere stata imprevidente quando aveva pensato che il secondo marito era buono.
Le tornava in mente il comportamento recente di Hagauer che era venuto alle esequie. Lei si era dichiarata esausta e Ulrich aveva dovuto pranzare con il cognato fuori di casa. Poi disse alla sorella che la presenza di quell’uomo lo aveva reso furente come un colletto troppo stretto 707. L’importuno voleva tornare ma Ulrich aveva trovato un pretesto per non accoglierlo in casa e gli disse che avrebbe prenotato una camera in un buon albergo.
Hagauer per decoro avrebbe dovuto pagarselo e disse che poteva ripartire. C’era però il però il problema del testamento del suocero e il genero volle andare a salutare la moglie rendendola in felicissima. Baciò la moglie che rimase annichilita e si chiese come avesse fatto a sopportarlo per tanto tempo. Rimproverò se stessa pensando: “se io valessi qualcosa non sarei mai arrivata a questo punto!”
Dalla carrozza vedeva un paesaggio di desolata bruttezza e gli parve l’immagine della sua vita deserta dove la  neghittosità l’aveva incagliata. Si adagiò sui cuscini in una posizione non bella e il suo corpo stropicciato come uno straccio le dava una sensazione sinistra perché era l’unica cosa che possedeva. Questa cosa ora le diceva che nel giro di pochi anni- ne aveva 27 -  avrebbe cominciato a perdere la sua bellezza, a perdere i sentimenti che genera fino a quando è sicura di sé. Allora tutto sarebbe finito senza che mai ci fosse stato. Le venne in mente che Ulrich aveva parlato in maniera simile dell’inutilità dello sport che faceva.
 
Bologna 17 maggio 2023 ore 18, 17 
Giovanni ghiselli


p. s.
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[1]R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 871.
[2]  Le Antigoni ,  p. 240.
[3]  A. Hauser, Storia sociale dell'arte, vol. I, p. 122.

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