lunedì 7 marzo 2022

R. Musil, L’uomo senza qualità. I

Metto nel blog a puntate un mio vecchio commento a
L’uomo senza qualità di Musil. Lo sto rivedendo per ragioni storiche e personali.
R. Musil, I turbamenti del giovane Törless (1906), trad. it. Einaudi,
Torino, 1980.
R. Musil, L'uomo senza qualità , trad. it. Einaudi, Torino, 1972.
Der Mann ohne Eigenschaften ( primo volume pubblicato nel 1930, prima parte del secondo volume edita nel 1933, e ultima parte, rimasta incompiuta, pubblicata dopo la morte dell'autore-1880-1942).
Claudio Magris, L'anello di Clarisse , Einaudi, Torino, 1984 pp. 212-240
 
Musil è il poeta delle possibilità
Lo stile della decadenza è sentito da questo autore come un’espressione frammentaria adeguata a una vita che non conosce unità. Le frasi si affrancano dalla pagina e le parole dalle frasi, come il brulichio vitale si sottrae ad ogni progetto unitario della ragione e della volontà. La totalità si è frantumata. Il romanzo è una continua imitazione dell’incompiuto, un’incessante emancipazione del particolare dalla totalità. L’io perde il senso che aveva di un sovrano capace di governare, ed è privo di un centro. L’uomo senza qualità è un insieme di qualità senza uomo. Il cammino della storia è simile al fluttuare delle nuvole in cielo, un movimento che dipende da tante circostanze non tutte prevedibili. L’espressione è una circumnavigazione, un periplo (perivplouς-perĭplus) dal centro sfuggente.
Törless guarda il cielo e lo vede come un immane cadavere trasparente, una luce che danza come un baluginìo latteo. Il muro del parco sembra animato da una vita segreta, un lussureggiare animato da foglie, lumache e vermi. E’ un momento dionisiaco: la vita uscita da ogni ordine apollineo, da ogni rappresentazione razionale. Un dionisiaco però passivo: non è orgiastica vitalità o coribantica gioia, ma assenza di ordine, vuoto, mancanza, è un puro nulla indefinito. E’ la dissoluzione dell’unità del soggetto. Ogni tanto un fascio di luce strappa una porzione del mondo dal buio dell’informe come si legge nella novella Tonka[1] (1922)
Fra Ancona e Fiume c’è un faro che ogni notte spazza il mare come un colpo di ventaglio: una sventagliata di luce poi nulla, poi di nuovo qualcosa.
La percezione del fuggevole impedisce la visione d’insieme e azzera ogni gerarchia e disgrega il soggetto. Tutto esce dai limiti della propria struttura dalle giunture allentate.  Autonomia selvaggia del particolare
Cfr. del resto Amleto: il tempo è uscito dai cardini o l’acta retro cuncta dell’Oedipus (v. 367)
"The time is out of joint", il tempo si è disarticolato, dice il principe di Danimarca dopo avere visto e sentito lo spettro del padre che chiede vendetta del turpe e snaturato assassinio (Amleto, I, 5).
Nietzsche sottolinea questo aspetto di Amleto e lo avvicina in una prima battuta all'uomo dionisiaco:"In questo senso l'uomo dionisiaco assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato una volta uno sguardo vero nell'essenza eterna delle cose, hanno conosciuto, e provano nausea di fronte all'agire; giacché la loro azione non può mutare nulla nell'essenza eterna delle cose, ed essi sentono come  ridicolo o infame che si pretenda da loro che rimettano in sesto il mondo che è fuori dai cardini. La conoscenza uccide l'azione, per agire occorre essere avvolti nell'illusione"[2].
L'arte  ci salva dalla negazione della volontà:"Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si avvicina, come maga che salva e risana, l'arte; Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si avvicina, come maga che salva e risana, l'arte; soltanto lei è capace di volgere quei pensieri di disgusto per l’atrocità o l’assurdità dell’esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il sublime come repressione artistica dell’atrocità e il comico come sfogo artistico del disgusto per l’assurdo. Il coro dei satiri del ditirambo, ecco l'azione salvatrice dell'arte greca"[3].
 
L’ironia dice Hegel, non risolve le contraddizioni: le sposta o le nasconde e talora ne aggiunge di nuove. In Musil le contraddizioni si accrescono senza progresso, con una tensione ineffettuale. La follia non è oggetto di anatema, nemmeno il crimine: l’assassino Moosbrugger è il sogno collettivo dell’umanità. Quando diceva “bocca di rosa” a una donna, la parola cedeva nelle cuciture e il volto di lei diventava una rosa da recidere con un coltello. L’itinerario di Musil è un nomadismo senza fine e senza ritorno: si getta e progetta in avanti, nel vuoto.
Non c’è un’Odissea siccome non c’è mai un ritorno a se stesso.    
L’Ulisse di Joyce invece è l’epos circolare.
Ulrich cerca la vita esatta ma questa esiste solo nella letteratura: soltanto il personaggio di un libro è spoglio di tutto l’inessenziale. Allora la nostra vita dovrebbe essere letteratura libera dalla polvere e dall’opacità del contingente.
Gli uomini apparivano a Ulrich come un brulichio grigio che non diffondeva gioia né spavento.
In Musil c’è una satira che capovolge i luoghi comuni del mito asburgico: il motivo sopranazionale, quello burocratico, quello edonistico. Vengono  indicate le minacciose forze irrazionalistiche che covano sotto l’aurea rispettabilità, come i fervori nicciani di Clarisse.
 
Il grande romanzo di Musil vuole rappresentare gli aspetti della grande crisi europea dove era più evidente: a Vienna nel 1913. La facciata di ordine viene relativizzata dal caos. Finisce con un ripiegamento interiore.
Comincia nell’agosto del 1913.
 
 
L’uomo senza qualità
Parte prima 
Una specie d’introduzione (pagine 5-74)
 
Ulrich, un uomo di 32 anni, ha un’energia che non sa come esplicare. L’Austria aveva già perduto dei territori in guerre spacciate come vinte.
Ulrich pensava alle possibilità, con il congiuntivo potenziale che probabilmente usa anche Dio considerando la sua creazione del mondo  che poteva fare anche in modo diverso : hic dixerit quispiam (p. 14)
Il protagonista da ragazzo aveva scritto in un tema che un patriota non deve considerare la sua patria come la migliore, e da allora erano trascorsi 16 o 17 anni, come le nuvole trascorrono in cielo. Intanto lui era diventato un matematico e aveva acquistato un piccolo delizioso palazzo. Aveva una donna, una canzonettista di nome Leona che gli sembrava desiderabile come la pelle di un leone dalla testa impagliata. Costei mangiava moltissimo e occasionalmente esercitava pure la prostituzione.
Una sera assalgono Ulrich per derubarlo e lui non capisce tanto interesse per il denaro, però conosceva quello stato di vaga ostilità atmosferica di cui l’aria è satura nell’era nostra e ogni tanto si condensa, e quasi se ne prova sollievo. Prese delle botte per un suo errore  di carattere sportivo, come può capitare di spiccare un salto troppo corto, poi si addormentò tranquillo. Al risveglio meditò sull’avventura.
 Pensava alle contraddizioni dell’umanità che produce Bibbie e cannoni (p. 22). Il mondo avanza con un piede e indietreggia con l’altro. Una donna si china su di lui e Ulrich sente intorno a sé qualcosa di maternamente sensuale, una nube leggera di soccorrevole idealismo.
Questa donna, Bonadea, divenne la sua amante. Sembra sempre che possiamo fare progetti, invece siamo noi in balia delle cose (p. 27).
 
Cfr. Erodoto: " Così dunque l'uomo, o Creso, è del tutto in balìa degli eventi pa'n ejsti a[nqrwpo" sumforhv, I, 32, 4).
 
 Le 4 pareti dove viviamo non sono ferme: viaggiano e proiettano davanti a sé le loro rotaie come lunghi fili adunchi senza che noi si sappia dove vadano. 
 
Intanto in Kakania (Kaiser Königlich, imperial regio veniva chiamato ogni documento) c’era velocità ma non troppa. Le strade cingevano le province con il braccio cartaceo dell’amministrazione. Non c’era niente di troppo: automobili ma non troppe. Ogni tanto partiva una nave ma non troppo spesso. C’era una burocrazia occhiuta che guardava il genio con sospetto.  Il paese era vario, era centrale, era medio.  Si faceva del lusso ma non così raffinato come in Francia, dello sport ma non accanito come in Inghilterra.
Davanti alla legge tutti i cittadini erano uguali, ma non tutti erano cittadini
C’era un Parlamento il quale faceva un uso così eccessivo della libertà che lo si teneva sempre chiuso.
Nel dramma di Grillparzer Ein Bruderzwist in Habsburg  (1848) l’imperatore Rodolfo II (1572-1612) dice : “ecco la maledizione della nostra nobile casa: tendere esitanti con mezze misure e con mezzi espedienti a una mezza azione”
 
La terra era varia: notti sull’Adriatico con stridìo di grilli inquieti, grano della Boemia, pietre del Carso e villaggi slovacchi dove il fumo usciva dalle narici come da un naso camuso. C’era il sentimento collettivo dell’ostilità verso il concittadino e c’era anche la diffidenza verso se stessi e il proprio destino (p. 29). Si viveva con una libertà negativa, ossia con la sensazione che la propria esistenza non avesse ragioni sufficienti. Ulrich era stato ufficiale, pensando prima all’eroismo, ma poi gli era passata la voglia.
Prendeva parte ai concorsi ippici e divideva l’umanità in tre classi: ufficiali, donne, borghesi che erano uomini moralmente e fisicamente inferiori  le cui mogli e figlie erano selvaggina riservata agli ufficiali (p. 31).
Da ragazzo voleva essere l’eroe di avventure strabilianti, ma poi aveva visto un giovanotto ubriaco fare baccano in un grande spazio vuoto senza altri interlocutori che i sassi. (Cfr. Il fu Mattia Pascal).
Passò alla tecnica ma si stancò anche di quella. C’era il sospetto che la tecnica, il ragionare logico e rigoroso danneggiasse l’anima. L’uomo non nutriva più in cuore la fede, l’innocenza, l’amore, la bontà, bensì sete di denaro, freddezza, violenza. Chi pensava queste cose però da ragazzo era stato un pessimo matematico. Più tardi costoro pensarono che la matematica, madre delle scienze esatte, nonna della tecnica, fosse anche la matrice dello spirito che ha poi prodotto i gas asfissianti e gli aeroplani da bombardamento (p. 36).
Ulrich amava la matematica, se non altro perché ragiona in maniera diversa dall’uomo comune. Se gli uomini sapessero almeno lontanamente come si fa a pensare, vivrebbero in modo diverso.
Bonadea era capace di dire il Vero, il Buono, il Bello, con la frequenza con cui un altro avrebbe detto giovedì e si era sposata per ragionamento, non per un impulso di cuore.
Ulrich aveva letto in un giornale “geniale cavallo da corsa”, una straordinaria trovata suggerita dallo spirito collettivo (p. 40),
In effetti le capacità di un cavallo o di un atleta sono misurabili con precisione e per questo lo sport ha soppiantato gli antiquati concetti di genio e di grandezza umana, rimasti nella testa dei professori di ginnasio.
 
 La mattina dopo gli parve indicibilmente assurdo mettersi a fare ginnastica pensando che le avventure degne di una simile preparazione non si presentano mai, pensando che all’amore ci si prepara in maniera eccessiva e nella scienza si sentiva come un alpinista che scavalca una catena dopo l’altra senza mai vedere una meta (42)
Egli vedeva in sé tutte le qualità e le capacità ma non le sapeva usare. Allora decise di prendersi un anno di vacanza dalla vita.
 
Amici di gioventù
Sono Walter e Clarisse. Va a trovarli. Suonavano al pianoforte l’Inno alla gioia.
Sentiamo Nietzsche:“Sotto l'incantesimo del dionisiaco non solo si stringe il legame fra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata, celebra di nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto, l'uomo. La terra offre spontaneamente i suoi doni, e gli animali feroci delle terre rocciose e desertiche si avvicinano pacificamente. Il carro di Dioniso è tutto coperto di fiori e ghirlande: sotto il suo giogo si avanzano la pantera e la tigre. Si trasformi l'inno alla gioia di Beethoven in un quadro e non si rimanga indietro con l'immaginazione, quando i milioni si prosternano rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al dionisiaco. Ora lo schiavo è uomo libero, ora s'infrangono tutte le rigide, ostili delimitazioni che la necessità, l'arbitrio o la moda sfacciata hanno stabilite fra gli uomini. Ora, nel vangelo dell'armonia universale, ognuno di sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma addirittura uno con esso, come se il velo di Maia fosse stato strappato e sventolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unità originaria"[4].
"Con il termine "dionisiaco" si esprime: un impulso verso l'unità, un dilagare al di fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà, come abisso dell'oblio (…) un'estatica accettazione del carattere totale della vita ( …) la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore, che approva e santifica anche le qualità più terribili e problematiche della vita[5].
Lukács vede in Dioniso, nel Dioniso interpretato da Nietzsche il paradigma mitico della classe dominante che si è trasformata da decadente in attivista. “Dioniso è il simbolo mitico di questa conversione della classe dominante…il predominio dell’istinto sull’intelletto e sulla ragione (perciò nell’opera giovanile la figura di Socrate è contrapposta a Dioniso…Dioniso appare come il simbolo della decadenza gravida dell’avvenire e degna di approvazione, della decadenza dei forti, in opposizione al fiacco e deprimente pessimismo (Schopenhauer) e alla liberazione degli istinti con accenti plebei (Wagner)…Il dio di questa decadenza “riscattata” e convertita in attività è Dioniso; sue caratteristiche sono crudeltà e sensualità”[6].
  
Torniamo a Musil
Il piano faceva rintronare la casa ed era uno di quei megafoni attraverso i quali l’anima grida nell’universo come un cervo in amore senza altra risposta se non quella di altre anime che bramiscono nel gran tutto.
Ulrich definiva la musica un’impotenza della volontà.
 
La musica politicamente sospetta
il Settembrini della Montagna incantata di T. Mann disse che non gli piaceva ascoltare la musica a comando e quando puzzava di farmacia e veniva inflitta per ragioni sanitarie.- La musica è qualcosa di non completamente articolato, di ambiguo, di irresponsabile, di indifferente. Nutro nei confronti della musica un’avversione politica: l’ho in sospetto di quietismo. Settembrini è un cultore della parola doppiamente articolata in significanti e significati.
 La  musica deve essere preceduta dalla letteratura. Da sola è pericolosa e non fa progredire il mondo. E’ ambigua e politicamente sospetta
Può fare l’effetto degli oppiacei che provocano servile ristagno[7].
Settembrini dunque nutre il sospetto dunque che la musica sia reazionaria
Il Giulio Cesare di Shakespeare diffida di Cassio : Would he were fatter” (I, 2), vorrei che fosse più grasso. Legge molto, è un grande osservatore, sa scrutare. Non lo temo ma se il mio animo fosse soggetto al timore, non conosco uomo che eviterei più prontamente di quell’asciutto Cassio as that spǎre Cassius. Tra l’altro he loves no plays, as tou dost, Antony; he hears no music (I, 2, 197 sgg.)
Forse anche Cassio considera la musica “politicamente sospetta”.
 
Clarisse era nicciana e diceva: potersi inibire una cosa dannosa è la prova della forza vitale. Ulrich gli aveva regalato le opere complete del filosofo (p. 44)
Walter era a 34 anni il tipo dell’artista fallito: era rimasto un dilettante dai molti talenti. Aveva però il talento di passare per un talento, Si opponeva a tutte le mediocrità ma favoriva la propria; non creava, dicendo che dopo Bach (1685-1750) tutto era sovraccarico e deteriore, affettato e decadente. Un puro ingegno non poteva creare in un’epoca così corrotta fino nelle radici spirituali. Suonava Wagner pur considerandolo prototipo di un’arte filistea, corrotta e degenerata. Eppure lo suonava mentre Clarisse lo detestava se non altro per la sua giacca di velluto e il suo berretto alla Raffaello (48).
Vediamo alcune frasi di Il caso Wagner  (1888) dove Nietzsche abiura l’entusiasmo per il musicista espresso nella IV inattuale, e definisce Wagner “un tipico décadent” . 
Nietzsche dopo essere stato sedotto dal "vecchio mago"[8] lo rinnegò come "tipico décadant " e nel Lohengrin, che impone a Elsa di non chiedergli l'identità, ravvisa "una solenne messa al bando di ogni indagine e di ogni domanda. Wagner-continua il filosofo-rappresenta in tal modo il concetto cristiano "tu devi e non puoi fare a meno di credere"[9].
E ancora: “Wagner è l’artista moderno par excellence, il Cagliostro della modernità”[10].
 
Secondo Clarisse il genio era una questione di volontà e da quando si era accorta che Walter non lo era, gli si negava.
L’Ottocento nella seconda metà era progredito in termini di scienza, tecnica e commercio, ma, al di fuori di questi, era muto e subdolo come una palude.
Nel giovane Novecento c’erano mode in contrasto: si amava il superuomo e si amava il sotto uomo, si adorava la salute e la fragilità delle fanciulle tisiche, si professava il culto dell’eroe e il culto socialista dell’umanità. Movimenti del resto limitati allo strato sottile e incostante degli intellettuali, non influenti sulla massa (51).
A Ulrich sembrava che ci fosse un ristagno della vita, come se qualche cosa fosse andata perduta: qualche cosa di imponderabile. Tutti i rapporti si erano spostati. Come se il sangue fosse mutato, o l’aria. I tempi erano cambiati come una giornata che comincia sfolgorante di azzurro e poi va velandosi piano piano. C’era qualcosa di marcio che distruggeva il genio. Su tutto quanto faceva, o subiva, si posava un’ombra di disgusto, un soffio di impotenza e di solitudine, un’antipatia universale. Come quando si sganciano i vagoni di un treno (53)
Walter era un sensitivo e credeva di vedere nelle cose quello che altri disattenti non vedono. Aveva una concitazione morale con la quale comunicava sempre qualche cosa: tutto in lui diventava commozione etica. Però non riusciva a creare e ne dava la colpa alla degenerazione dell’Europa. Era geloso di Ulrich e diceva che la forza dell’amico presunta da Clarisse era vuoto. Diceva: è intelligente, ma non sa cosa sia la potenza di un’anima intatta. Inoltre: per lui nulla è saldo e tutto è trasformabile, quando qualche cosa lo commuove, lui la respinge
 Cfr Socrate secondo Nietzsche).
Il Socrate di Platone afferma di sentire una voce (fwnhv ti~, Apologia di Socrate, 31d) dissuadente:  quando si manifesta ajei; ajpotrevpei me tou'to o} a]n mevllw pravttein, protrevpei de; ou[pote, mi distoglie sempre da quello che sto per fare, non mi esorta mai. Dunque un istinto che frena, non spinge avanti, un anti-istinto.  Dover combattere gli istinti-ecco la formula della décadence: sino a che la vita si innalza, felicità è uguale a istinto”[11].
Gli antichi sentimenti fanciulleschi del più debole dei due accrescevano la sua gelosia. Ulrich diceva che tutto era disperso e incagliato in un mare di formule , correlazioni, operazioni.
E Walter ripeteva che era necessaria la semplicità, la salute, lo stare vicini alla terra e anche un figlio: bleibt mir der Erde teuer, meine Brüder (Zarathustra).
Notava che i discorsi di Ulrich erano disumani
 
Moosbrugger  (p.63)  era un uomo di 34 anni, un falegname grande e grosso. Aveva ammazzato una donna, una prostituta di infimo grado recidendole le mammelle e squartandola. Era stato ripetutamente in manicomio per delitti analoghi. Non riusciva a comunicare con le donne in altro modo. Qualche cosa di cui si ha un bisogno naturale come pane o acqua, se si può solo vederlo, dopo del tempo diventa un bisogno innaturale.
 Del resto la violenza era nell’aria: un marito qualunque poteva domandare a una moglie qualunque: “che cosa faresti se io fossi Moosbrugger?”
Moos. bevevo ed era solo, temeva che le donne si prendessero gioco di lui. Certi pensieri sono come corde che attorcigliano le braccia e le gambe in avvolgimenti infiniti (69). Ammazzava le donne come una parte repressa di se stesso. Ulrich pensò: “se l’umanità fosse capace di fare un sogno collettivo, sognerebbe Moosbrugger” (71)
 
 
Il padre di Ulrich  aveva alle spalle una vita operosa e  scrive al figlio rimproverandolo in quanto carente di piani per la sua vita futura
Lo raccomanda al conte Stallburg preposto all’amministrazione privata della famiglia imperial regia. Il 15 giugno 1918 ci sarebbero stati i festeggiamenti per i 30 anni del regno di Guglielmo II (dal 1888) e per i settanta anni dall’ascesa al trono (1848) dell’augusto imperatore Francesco Giuseppe. I festeggiamenti austriaci dovevano superare quelli germanici ed essere estesi per tutto il 1918 che sarebbe stato l’anno dell’imperatore della pace. Ulrich deve anche recarsi dal capodivisione Tuzzi del Ministero degli esteri, la cui moglie era una sua lontana cugina.
Fine della Parte Prima
 
Bologna 7 marzo 2022 ore 9, 54
giovanni ghiselli

p. s.
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[1] Tonka, è la storia di una giovane e umile commessa viennese che si lega con un uomo di una classe sociale più elevata e ne resta incinta. Ma lui è malato e lei non ne ha fiducia. L’uomo d'altra parte accetta di dare il proprio cognome al figlio per sola ripicca contro la sua famiglia. La donna, però, poco prima del parto, muore. 
[2] La nascita della tragedia, capitolo 7.
[3] La nascita della tragedia, capitolo 7
[4]        F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 1 
[5]        F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888-14 (14) , p. 216.
[6] La distruzione della ragione, pp. 399-400.
[7] T. Mann, La Montagna incantata, IV capitolo Politicamente sospetta! (p. 159) 
[8] Wagner, ovviamente-
[9] Il caso Wagner , Lettera da Torino del maggio 1888.
[10] Il caso Wagner, cap. 5.
[11]F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (del 1888), Il problema di Socrate, 11

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