mercoledì 30 marzo 2022

Pasolini. II parte. La borghesia e il conformismo

Funerali di Rossano Moscucci in Corso Vittorio Emanuele a Roma
Image credit: IMAGO / Cola Images
L’uomo razionale ma senza cuore, senza carità è un
dimidiatus homo
Sentiamo un anatema di Pasolini contro la cultura pragmatica che è poi quella borghese: “io per borghesia non intendo tanto una classe sociale quanto una vera e propria malattia. Una malattia molto contagiosa: tanto è vero che essa ha contagiato quasi tutti coloro che la combattono: dagli operai settentrionali, agli operai immigrati dal Sud, ai borghesi all’opposizione, ai “soli” (come son io). Il borghese - diciamolo spiritosamente - è un vampiro, che non sta in pace finché non morde sul collo la sua vittima per il puro, semplice e naturale gusto di vederla diventar pallida, triste, brutta, devitalizzata, contorta, corrotta, inquieta, piena di senso di colpa, calcolatrice, aggressiva, terroristica, come lui”.[1]
 
“Nessuna opera, di narrativa, di poesia, di filosofia che conti può conciliarsi ideologicamente - per la contradizion che nol consente - con il lettore medio borghese: ogni opera di poesia è fondamentalmente innovativa, e quindi scandalosa. E il borghese teme soprattutto, come la peste, l’innovazione e lo scandalo: egli è conservatore quando non è reazionario. La poesia lo contraddice alle radici”[2].
 
Il borghese è pure il conformista, spesso razzista: “L’uomo per vivere, ha bisogno di fondamenta sicure: di abitudini. Quando una di tali abitudini scompare, un’altra ne prende il posto modellandosi sulla precedente, perché ne prende la meccanica funzione di protezione contro il caos. Dai campi di Buchenwald o di Dachau, il razzismo può giungere a dei fenomeni apparentemente piccoli, ma fondamentalmente gravi, come l’assassinio di domenica sera”. Un ladruncolo, tal “Moscucci Rossano” era stato ammazzato a Roma, in piazza Navona, da “un idiota” che andava in giro armato di pistola. “Il razzismo, infatti, è una meccanica: non gli importa l’oggetto. Che può essere sostituito con la massima facilità. L’odio contro gli Ebrei può essere sostituito dall’odio contro i Negri: l’importante è che ci sia una minoranza di persone, una categoria, da odiare. In nome, naturalmente, della maggioranza, di coloro che sono tutti uguali fra loro, la cui vita è regolata dalle stesse norme, i cui lineamenti finiscono per assumere una analogia quasi fisica, ecc. ecc.: in nome del conformismo, insomma. Sono certo che nella testa di quell’essere odioso che andava in giro armato di pistola, i giovani ladruncoli del quartiere si erano inseriti in una idea generalizzante di tipo razzistico. Il suo odio contro di loro era dunque, in definitiva, una forma sia pur degenerata e particolare, di odio di classe (…) mi interessano le “conferme” che l’assassino ha avuto della sua aberrazione ideologica, del suo classismo razzista. Non c’è giornale italiano, anche il meno borghese come impostazione politica, che in qualche modo non abbia la sua pur minima parte di responsabilità. I giornali borghesi per autentico conformismo borghese, quelli anti-borghesi per timore di andare contro quel conformismo, ossia di urtare l’opinione pubblica - a cui tengono tanto - non hanno mai saputo o voluto dare una immagine esatta di persone come è stato nella sua breve vita il povero Moscucci Rossano (…) Così anche i giornali dei radicali o dei socialisti o dei comunisti quando parlano di persone come Moscucci Rossano ne parlano come di tipi di una “razza” diversa, predestinati al disprezzo, all’inesistenza, alla condanna morale. Persone prive di peso umano. Di prestigio umano. Capri espiatori di una situazione umana infetta, di una vita nazionale corrotta e ipocrita (…) Bisogna avere il coraggio di scandalizzare. Non bisogna mai, per nessuna ragione di tattica o di compromesso, adottare di fronte all’opinione pubblica, il suo punto di vista di perbenismo borghese, non bisogna confondere la morale col moralismo conformista”[3]. 
 
“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti. E’ il coro-un coro democratico - che si dichiara depositario di tale verità: e la enuncia senza introdurla e senza illustrarla, tanto gli pare naturale”
Pasolini trova una ragione nella legge  della tragica predestinazione a ereditare le colpe: i giovani del 1975 sono figli di padri colpevoli, padri “che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine”.
I figli dunque ne ereditano le colpe. “Ma sono figli “puniti” per le nostre colpe, cioè per le colpe dei padri. E’ giusto? Era questa, in realtà, per un lettore moderno, la domanda senza risposta, del motivo dominante del teatro greco. Ebbene sì, è giusto. Il lettore moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e tragicamente, comprensibile l’affermazione - che pareva così ciecamente irrazionale e crudele - del coro democratico dell’antica Atene: che i figli cioè devono pagare le colpe dei padri. Infatti i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità”.
E le colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?
“Perché c’è - ed eccoci al punto - un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese [4].
 
“La bontà: ecco quello che manca totalmente in Sordi (…) Alla comicità di Alberto Sordi ridiamo solo noi: perché solo noi conosciamo il nostro pollo. Ridiamo, e usciamo dal cinema vergognandoci di aver riso, perché abbiamo riso sulla nostra viltà, sul nostro qualunquismo, sul nostro infantilismo. Sappiamo che Sordi è in realtà un prodotto non del popolo (come la vera Magnani) ma della piccola borghesia, o di quegli strati popolari non operai, come se ne trovano specialmente nelle aree depresse, che sono sotto l’influenza ideologica della piccola borghesia”[5].
 
Altri autori contro il conformismo dei benpensanti
Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci secondo il "si dice".
“Il bruto è il più tenace servo dell’assuefazione”[6].
Riporto una espressione di O. Wilde nella cui filigrana si può leggere Seneca: “La morale moderna consiste nell’accettare i luoghi comuni della nostra epoca, ed io credo che per un uomo colto l’accettare i luoghi comuni della propria epoca sia la più rozza forma di immoralità”[7].
“Il senso della filologia classica è quello di agire nel tempo nostro in modo inattuale , cioè contro il tempo e in favore di un tempo venturo “[8].
La conoscenza della paideia classica è anche una difesa dal veleno della pubblicità che cerca di colonizzare e intossicare i nostri cervelli.
Un altro antidoto a tanto veleno può essere la natura: osservare il cielo splendente, guardare le sorgenti dei fiumi, notare l’innumerevole sorriso[9]. delle onde marine e amare la terra madre di tutti noi
 
Bologna 30 marzo 2022 ore 11, 21
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] P- P. Pasolini, Il caos, p. 39.
[2] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 128,
[3] P. P. Pasolini, Detesto chi gira con la pistola in tasca  “Paese sera”, 14 marzo 1963 in Pasolini Saggi sulla politica e sulla società, p. 114 
[4] P. P. Pasolini, Lettere luterane, I giovani infelici, pp. 5-12.
[5] Pasolini, I film degli altri, p. 29
[6] Leopardi, Zibaldone, 1762.
[7] Il ritratto di Dorian Gray, p. 88.
[8]Nietzsche,  Prefazione a Utilità e danno della storia. 
 [9] Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, vv-88-90 pontivwn te kumavtwn - ajnhvriqmon gevlasma. Cfr. anche D’Annunzio, Elettra: “Il riso innumerevole delle onde marine”.

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