La bella donna sembrava piuttosto spaesata e disorientata in quell’ambiente di ragazzi, di sposati e di vecchi, un luogo nuovo per lei, mentre io vi avevo già raccolto esperienze di amicizia e di sesso, se non proprio di amore, e avevo ricordi importanti. Potevo fruire di un certo vantaggio.
Ripresi a incoraggiarmi mentalmente: “Dai Gianni ché ce la puoi fare. Dai, che tu non sei male; anzi sei l’unico della sua levatura. Pensa agli altri italiani. Claudio, a parte lo stomacone, non è brutto, è colto, e non è stupido, ma è un goliardone che fa del casino; la sua insensibilità pachidermica di certo non si confà a quella femmina umana. Luigino è un raffinato, ma, per fortuna, è un cinedo tra i più sdilinquiti: lo chiamiamo “Natica svelta” senza sua offesa; Danilo beve e rutta, talora brancola ebbro, e sospira per gli alcolici amati, se li sogna anche di notte”.
Danilo; digressione breve
Ricordai un episodio, per farmi venire del buonumore.
Una mattina l’ubriacone professionista era steso nel letto, a pancia in su, a bocca aperta. Sembrava che non respirasse. Non capivo se era morto oppure, come al solito, ebbro. A un tratto si svegliò piangendo e gridando: Dioniso gli aveva riempito la mente di dolore mandandogli in sogno la visione di una bottiglia di Tocai caduta a terra e rotta. Raccontò, tra le lacrime, che aveva visto il liquido prezioso e amato scorrere e sparire bevuto dalla terra permeabile e ghiotta. Il meschino non si saziava di gemiti e lamenti.
“E’ il vino, è il vino che manca”, ripeteva sconsolato. “Dovevo berlo subito!”
“Se vuoi, vado a strizzare dell’uva per te”, cercai di consolarlo
“Sì, vai di corsa, a spremere l’anima dell’uva-rispose l’amico - perché se non bevo entro quattro minuti almeno un goccio, divento pazzo!”. E invocava Dioniso con ululati lunghi, colmi di pena.
“Più di così?” pensai, senza dirglielo. E corsi al bar per comprargli una bottiglia.
Una volta gli diedi il consiglio di non dare troppo a vedere il suo vizio: a Padova un bidello dell’Università, cui avevo chiesto di lui, mi aveva detto che quella mattina non l’aveva visto: probabilmente era andato nell’osteria del Liviano a bere un goccetto. Il custode aveva parlato con un tono tra lo scherzoso e ilvituperoso.
L’amico mi guardò trasecolato, emise un muggito, poi disse: “ma quale vizio? Di quale bidello e custode vai cianciando, tu fighetto da Pesaro che giri con una macchina hitleriana!
Si chiama Giovanni, è un mio amico, e tante volte andiamo a bere un’ombretta in compagnia! Niente di male!”.
Replicai solo dicendo: “in effetti che male c’è? anche io mi chiamo Giovanni!”, poi tacqui, siccome le sue parole mi parvero ebbre.
Ricordavo questi episodi ridendo tra me, senza pietà per l’amico che vorrà perdonarmi.
Poi tornai a valutare il presente: “Fulvio, l’amico più caro, ha adocchiato quella studentessa italiana arrogante, con l’intento malsano di farne la sua sposa e mettersela in casa. L’apparenza violenta la verità, e il risveglio per l’amico infatuato sarà molto amaro.
Quando quella ragazzotta graziosa e scortese sarà priva di maschera e si sarà rivelata quale una delle tre Erinni[7], allora non gli piacerà più, e le loro nozze, se saranno inopportunamente avvenute, avranno un sapore cattivo. Quindi lo sposo pentito andrà a piangere sulla riva del mare, come Odisseo a Ogigia, quando gli venne a noia Calipso.
Ermes, mandato da Atena: "lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita/mentre sospirava il ritorno, poiché non più gli piaceva la ninfa, ejpei; oujkevti h{ndane nuvmfh "[8]. Un esempio di semplicità, verità e spontaneità. Una spiegazione di quattro parole. Senza chiacchiere aggiunte.
Fulvio altra digressione breve
Qualche anno più tardi infatti Fulvio mi confessò che andava a piangere sul molo del porto di Chioggia invocando: “Debrecen, dove sei, e voi amici miei, dove siete?”
Rimpiangeva il tempo perduto.
Ma nell’agosto del ’71, istigato da lei, partì dall’Ungheria senza salutare nessuno e per due anni non si fece vedere.
All’epoca Fulvio non voleva figurare nel numero dei malfamati scapoli, e si assoggettò all’amore di una forsennata, come il sire Agamennone con l’invasata Cassandra[9].
“Eh sì, eh - diceva ogni tanto - a una certa età, la nostra, uno deve sposarsi”.
“Davvero?” facevo io, e procedevo sulla mia strada peccaminosa, senza temere che il fuoco del cielo scendesse sulla mia testa di peccatore incallito. Certamente sarei scampato all’ardente tempesta di Sodomia.
Del resto tanti di quei Sodomiti sono sopravvissuti. Per fortuna. Più ce ne sono, più noi donnaioli siamo contenti, per via della minore concorrenza.
Ma torniamo a quella sera di luglio e al pensiero che passava in rassegna i possibili proci di Helena. Esaminavo i maschi del numeroso drappello degli Italiani.
“Bruno, il romano, è belloccio, non posso negarlo, e fisicamente potrebbe anche piacerle, ma grazie a Dio, non sa parlare l’inglese ed è troppo estroverso, incline alla fanfaronata: per una donna siffatta colui non è abbastanza distinto, Helena lo riterrebbe un ciarlatano da fiera; Alfredo non può piacerle: è troppo depresso e insicuro, in preda a un’indolenza agitata; Mario, il napoletano è grasso assai, e non poco gozzuto. Per giustificarsi dice “ho preso da mammà”, ma di fatto, in rebus ipsis, è più incline al cibo che a qualunque altra cosa; la mente intronata di Fausto, il fatuo, non riesce a connettere verbo con verbo. Un qualche dio gli ha gettato pensieri confusi nel petto.
Tristano corteggia le donne con un’aria da seminarista. Così becca solo le vecchie[11], a volte anche laide.
Ezio ci prova sempre in maniera claunesca: quando va da ciascuna a chiedere: “Akarsz táncolni, akarsz táncolni? ”[12], strizza l’occhio furbetto e compie una ridicola piroetta da ballerino. Quindi il mattacchione si ferma e parla, a lungo, con l’eloquenza delle marionette. La sua mente non sa produrre altro.
Non ha molto senno sotto la zazzera. Le corteggiate talora gli ridono in faccia”.
Esageravo così, fluttuando tra l’iperbole e il paradosso, facendo mentalmente caricature spietate anche degli amici per farmi coraggio.
“I maschi stranieri - pensavo anche, con presunzione tipica del gallismo nostrano - non contano: non sono tanto interessati alle femmine, e comunque non sono arsi dal fuoco sacro di Eros, come te, vecchio mio. Alcuni sono già disfatti dall’alcol”.
A dire il vero, una volta un ragazzo finlandese mi aveva detto che si eccitava soprattutto quando vedeva scaricare da un camion casse di liquidi alcolici.
“Dio ti mantenga se tu ti contenti”, pensai
Naturalmente fece amicizia con Danilo, un sodalizio celebrato tre volte al giorno con sorsate rapide e colossali.
Forse anche per questa inclinazione un poco perversa dei loro maschi avevo messo nel mirino in primis le femmine finniche tra le altre straniere. Le italiane non erano ancora abbastanza emancipate dal perbenismo sessuale. In confronto al cigno cui assimilavo Helena, le connazionali mi parevano oche stridule e papere insignificanti, o patate senza sapore né colore.
Naturalmente esageravo.
Digressione breve: la Moraccia di Modena e Claudio.
Una sera una di loro, una Modenese detta “Moraccia”, si affacciò a una finestra dicendo che lei e le sue amiche dell’Università di Bologna a Debrecen si annoiavano a morte. All’epoca era fidanzata con un giovane canuto che un giorno venne a prenderla, e in seguito sarebbe diventato un ciarlatano famoso. Noi lo canzonavamo per la chioma precocemente bianca, sempre molto curata, il cui albore spiccava vieppiù in contrasto con i capelli nerissimi e un poco appiccicosi di quella sua timoratissima fidanzata.
Claudio che tra le donne disponibili beccava di tutto, dal prato posto tra i collegi gridò la sua litania arcidiabolica: “per forza, perché non guzzate!”, e la moraccia modenese, strapazzata, si ritirò con sdegno, non senza gridare con urlo da stridula strige cui vengano strappate le viscere: “maleducato!”.
“Sì, però io guzzo e non mi annoio”, replicò il donnaiolo ancora impunito.
E aggiunse: "casta est quam nemo rogavit”[13].
Claudio beccava qualsiasi donna non facesse troppe storie. Una volta una quarantenne, all’epoca una vecchia per noi, gli chiese di attendere un poco dicendogli: “a fiuk nem tudnak várni”, i ragazzi non sanno aspettare.
Stavano facendo del petting appoggiati al muro di un collegio, o a un albero, al buio.
Il dispettoso drudo se ne andò con un ghigno beffardo, mormorando: ”"fuge rustice longe/hinc Pudor”[14] e lasciandola con le mutande a metà delle cosce. Qul donnaiolo non era certo raffinato, ma non era nemmeno incolto.
Le urla e le maledizioni della donna abbandonata risuonarono per tutto il campus universitario, alle due della notte. E noi ci facemmo due grasse risate fino all’alba.
Quella sera cruciale io continuavo a pensare: “Helena esige uno stile non pagliaccesco, vacillante o rumoroso, ma razionale, dolce e sicuro. Perché quella donna è bella e ordinata. Una chiara fusione di eros e logos.
Gianni Ghiselli, in questa confusione, ci sei solo tu di adatto, di congeniale a lei. Ragiona e ringrazia Dio, chiunque egli sia[15]. Ci sei solo tu. Altrimenti avrebbe accettato di ballare con altri. Invece è ancora seduta là. Anzi, ora ti ha perfino guardato. Ciao, sapessi quanto ti amo, creatura profumata, tesoro dagli aromi soavi!
Adesso calma, Ghiselli, però: se agisci con senno, se non perdi la testa o le lenti a contatto, se non ti ubriachi, non ti lasci andare a mangiare pasticcini immeritati con appetito disonesto, se non ti ingaglioffi andando a fare casino con gli altri, se non ti accontenti di un baccanale corrotto con una cialtrona qualunque, questa donna spirituale, senza però dimenticarne la carne, è destinata a te. E’ iscritta nel tuo destino. Lei può correggere le rotazioni della tua testa e armonizzarle con il giro delle stagioni, degli astri, del cosmo. Magnifica, magnifica. Splendore della sera di festa. Questo dì è solenne e verrà inciso nelle tavole degli Annali della tua vita. Elena è figura futuri: prefigura la tua redenzione. Vedrai!
Stai calmo adesso però. Per oggi non invitarla più. Sì, ha accettato di ballare con te e ora ti ha anche guardato, per carità, non dico di no, ma non invitarla. Dai retta. Osservala da qui, con lunga e dolce prospettiva[1].
Raccogli intanto altra energia per mostrarla a lei attraverso parole belle significative di pensieri profondi, classicamente, senza agitazione!
Devi evitare i luoghi comuni cari agli imbecilli, devi impiegare inopinata verba e callidae iuncturae come ti hanno insegnato Orazio e Frontone.
Sì, è davvero la femmina tua, ti è destinata ab aeterno, è della tua levatura, è cosmica, è una sintesi di natura e di spirito, è quello che ci vuole per te, è la meta della tua ricerca nostalgica dell’ incontro fatale indispensabile a diventare quello che sei, stanne certo, coglierai il bersaglio tanto bramato: le sue mammelle ti nutriranno lo spirito e non solo quello, vedrai. Ma ora non fare l’idiota: adesso non devi invitarla con suppliche vischiose e inutili, da perfetto imbecille. La voglia è grande, quasi cannibalesca direi, ma la tua forza attuale è quella di un pigmeo denutrito. Non tirare avanti rizzando la coda impudica come il cavallo nero della biga di Platone[16]. Aspetta la luce di domani: il sole, la facies di Dio rivolta a noi ti mostrerà la via. Il metodo giusto.
[6] Cfr. il Faust I di Goethe: “Natura illimitata, dove stringerti? Voi seni, dove? Voi, sorgenti di ogni vita da cui la Terra e il Cielo pendono, cui questo petto esausto tende” (Notte) .
[7] Megera, probabilmente. Le altre due sono Aletto e Tisifone.
[8] Odissea V, 151-153.
[9] Cfr. Euripide, Troiane, 414-415.
[11] Ma, sia detto a suo onore, senza bisogno del Viagra che in quel tempo non c’era.
[12] Vuoi ballare, vuoi ballare?
[13] (Ovidio, Amores I, 8, 44) , casta è quella cui nessuno l’ha chiesta
[14] Ovidio, Ars I, 605, fuggi lontano di qui, rozzo Pudore
[15] Cfr. Eschilo, Agamennone 160 e le Troiane di Euripide, 885.
[16] Cfr. Fedro, 254 d
Pubblicato fin qui 13 febbraio
Bologna 7 marzo 2022 ore 12, 07
p. s
riprendo a rivedere queste mie storie d’amore in antitesi l’attuale minaccia di fine del mondo che viene dalla Polonia sorretta dalla Nato.
Essa può estendere la guerra fino a una catastrofe globale.
Provo orrore per quanti approvano tale abominio.
Dobbiamo essere tanti a levare la voce contro
giovanni ghiselli
[1] “Paulo stava nello scrittoio per trovar i termini della prospettiva, e che quando ella (moglie) lo chiamava a dormire, egli le diceva: “Oh che dolce cosa è questa prospettiva!”.
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (1568)
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