NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 29 marzo 2022

Pasolini. I parte

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Mi è stato chiesto un lavoro su Pasolini. Comincio a raccogliere del materiale. Il tempo c’è, la voglia lo stesso. Vi mando un assaggio
 
Non c’è mai stata una sola cultura al mondo.
 
L’intolleranza nei confronti di culture diverse dalla propria è uno dei massimi segni di incultura. E’ anche provincialismo e asservimento ai pregiudizi del paese dove si vive.
 
In una intervista a J. Duflot, Pasolini dichiara che nel suo film ha voluto mettere in evidenza il contrasto tra la cultura razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e ieratica della barbara:" Ho riprodotto in Medea  tutti i temi dei film precedenti (...) Quanto alla pièce  di Euripide, mi sono semplicemente limitato a qualche citazione (...) Medea è il confronto dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico. Giasone è l'eroe attuale (la mens  momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma neppure si pone ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico, la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo (...) Confrontato all'altra civiltà, alla razza dello "spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture", sull'irriducibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe essere benissimo la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[1]".
 
Giasone è un pragmatico: “l'interpretazione puramente pragmatica (senza Carità) delle azione umane deriva in conclusione da questa assenza di cultura: o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica"[2].
 
In questi Scritti corsari Pasolini parla del vuoto di Carità dell'Italia degli anni Settanta. Ma riferiamolo alla Medea di Euripide. Il pragmatismo di Giasone si manifesta chiaramente quando il seduttore dichiara alla sua ex moglie di avere voluto cambiare donna, prendendo la principessa di Corinto, non perché odiasse la madre dei suoi figli, o perché ne volesse altri, ma per la cosa più importante: vivere bene, lui con la famiglia, o le famiglie, e senza restrizioni (wJ", to; men; mevgiston, oijkoi''men kalw'" - kai; mh; spanizoivmeqa), sapendo con certezza che il povero tutti lo sfuggono (vv. 559-560).  Giasone insomma "dra'/ ta; sumforwvtata - ghvma" tuvrannon" (v. 876-877) fa quello che è più utile sposando la figlia di un re.
E’ la stessa Medea che lo dice a Giasone con ironia e disprezzo.
 
Medea la barbara, la furente, in taluni contesti anche la dissoluta, trova comunque autori inclini a rivalutarla. Euripide comprende il suo strazio di donna tradita e a disagio nella Grecia pur  troppo civilizzata. 
La sua Medea ambientata a Corinto rappresenta un mondo in sfacelo morale: il Coro nel primo Stasimo lamenta: "bevbake d j o{rkwn cavri", oujd j e[t j aijdw;" -  JEllavdi ta'/ megavla mevnei" (vv. 439-440), se n'è andato il rispetto dei giuramenti né più rimane il pudore nell'Ellade grande.
 
L’rrazionale non può né deve essere eliminato, può anzi va utilizzato al fine della comprensione di se stesso e degli altr
 
Alla fine dell’Orestea di Eschilo le Erinni sopravvivono come Eumenidi: “Dopo l’intervento razionale di Atena, le Erinni - forze scatenate, arcaiche, istintive, della natura-sopravvivono: e sono dee, sono immortali. Non si possono eliminare, non si possono uccidere. Si devono trasformare, lasciando intatta la loro sostanziale irrazionalità: mutarle cioè da “Maledizioni” in “Benedizioni”. I marxisti italiani non si sono posti, ripeto, questo problema”  (P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 54.).
 
La visione orrenda delle Erinni spunta davanti agli occhi di Oreste nelle Coefore , quando l'assassino della madre le vede quali donne "simili a Gorgoni/dalle nere tuniche e intrecciate/di fitti draghi"(vv.1048-1050). Tali mostri sono"le rabide cagne della madre"(v1054) che appaiono soltanto al matricida: "uJmei'~ me;n oujc oJra'te tavsd  j, ejgw; d ‘ oJrw'”, voi non le vedete queste, ma io le vedo" (1061). Le Furie lo incalzano: “ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv” (v. 1062), sono sospinto e non posso più restare io.
T. S. Eliot pone questi versi quale epigrafe di Sweeny agonista (1930): "You don’t see them, you don’t - But I see them: they are hunting me down, I must move on”.
Nel dramma La Riunione di famiglia (1939)   Eliot mostra come tali visioni siano un privilegio.
Secondo l'autore di The waste land  bisogna seguire le Erinni come segni mandati da un altro mondo, non cercare invano di evitarle con un'impossibile fuga in quella "deriva infinita di forme urlanti in un deserto circolare" che è la storia umana. Quelli che vedono le Erinni insomma, sono monocoli in una terra di ciechi.

Bologna 29 marzo 2022 ore 17, 08
giovanni ghiselli

p. s.
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[1]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita , p. 81.
[2] P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 49.

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