sabato 12 marzo 2022

Elena 11. Il corteggiamento reciproco nella csárda .


 


 

I tavoli e le panche dove eravamo seduti erano di legno scuro e massiccio, probabilmente lo stesso delle querce del grande bosco di Debrecen, dato che la puszta è priva di alberi.

Elena ordinò un caffè e dell’acqua, io lo stesso: volevo parlarle e ascoltarla con totale lucidità.

Sapevo di dovere esprimermi, con le parole e nell’actio, impiegando uno stile non ordinario: se non avessi trovato quello dell’uomo essenzialmente bello e buono tw'/ o[nti kalo;ς kajgaqovς, sarei stato ricusato per la seconda volta, e per sempre.

Era necessario pensare molto bene al contenuto e alla forma della mia espressione: scegliere quello che dovevo dire, a{ te lektevon, e dirlo in maniera elegante wJς lektevon.

“Posso assumere tre ruoli-pensai- non di più: lo studioso-artista, lo sportivo, e l’uomo capace di amare una donna dandole gioia e aiuto. Più dilettoso in questa parte, piuttosto austero nelle altre due.

Dovevo essere semplice nell’eleganza,  simplex munditiis e arguto, fortemente espressivo.

Questa triplice gamma proposi alla mia parte di attore, mentre facevo il regista di me stesso.

 Dovevo mettercela tutta per piacerle, e ce la misi, e fu sufficiente.

 

“Senti, Elena”, le dissi. “Ti chiami Elena, vero?” La bella donna annuì.

Non dissi che Eschilo etimologizza il suo nome con “colei che distrugge le navi”, annienta gli uomini e le città”[1]. Infatti, a parte che l’etimologia è fantasiosa, io da quella donna mi aspettavo tutt’altro che distruzione: doveva essere colei che mi avrebbe costruito e fatto diventare quale volevo e ora sono vicino a essere , dopo più di 50 anni che sono passati in fretta come le nuvole nel cielo attrsaversato dai venti.  

 

“Che cosa è l’amore per te?” Le domandai. Molto direttamente, forse anche troppo, volevo saggiare il terreno della sua disponibilità erotica e dirle qualche cosa di incoraggiante all’eros, se, rispondendo, mi avesse dato la pur minima occasione di farlo.

 

Rispose: “E’ un sentimento buono: che la mia umanità si espande e comunica qualche cosa di bello e di vivo. Siamo qui al mondo gli uni per gli altri.

Io adesso provo amore, individualmente, per un uomo che mi aspetta in Finlandia, ma generalmente lo sento per tante persone, per tutte spero, e per ogni creatura vivente. Condivido la simpatia universale, il nesso tra tutto quanto è vivente”.

 

Riflettei un momento su questa risposta, degna del suo stile. Quella donna nobilitava la vita e dava coscienza alla mia.

 

“Sì è in gamba come pensavo, è del mio stampo e della mia levatura. Purtroppo ha un compagno, ma non credo ne sia innamoratissima. In fondo il suo amore singolo non esclude l’umanistico, un mare magnum dal quale può emergere l’individuazione di un’altra persona. Potrei essere io da come attentamente mi guarda. Sarebbe la mia salvezza dal naufragio sempre temuto, naufragium ubique est. Ora devo trovare un pensiero profondo tuffandomi come un palombaro nell’anima mia e nella  sua, poi farò in modo di esprimerlo con parole belle e luminose. Il mio amore per Elena deve assumere la forza di un fremito cosmico. Devo farle sentire che questa cupido extra me propagandi è divina”.

 

Dopo due minuti di silenzio, assecondando la mia speranza, la bella donna domandò:

“E per te, l’amore cos’è? Scusami, non ricordo il tuo nome”.

 

“Gianni. Per me l’amore è prima di tutto emozione: esaltazione estetica dello spirito annoiato dall’ottusità e dalla disonestà dei più, dalle filastrocche dei luoghi comuni. Io non riesco ad amare in generale, come fai tu, tutte le persone adulte delle quali in passato mi sono fidato troppo, e le conseguenze sono state penose. Caso mai, anzi senz’altro, umanisticamente amo i ragazzini, i miei allievi. Sì, quelli li amo comunque, siccome non trovano ridicolo e innaturale che non diffidi di loro, che voglia aiutarli a crescere buoni e forti. Gli alunni mi curano l’anima[2]”.

Feci una pausa breve, poi conclusi: “Dell’amore individuale e sessuale penso che sia la cosa più importante della vita e del mondo intero. Se non lo fosse, la genesi non comincerebbe di lì, scrisse, a ragione, un poeta italiano suicida nel dopoguerra”[3].

 

Mi guardava con interesse sempre maggiore.

Poi disse: “Tu mi sembri un uomo strano, singolare. Prima, osservandoti nel salone dell’università ho notato che hai qualche cosa di particolare negli occhi”.

 

“Sono molto miope e ho le lenti a contatto” feci con ironia palese, e con modestia ostentata, del tutto falsa. Sapevo bene, già allora, che gli occhi sono il centro dell’energia erotica.

Si nescis, oculi sunt in amore duces [4], ricordai senza dirglielo. Ho la tendenza a citare e devo guardarmi dal cadere nel cattivo gusto, nella parte dell’erudito ombroso e ingobbito: “davanti a lui ogni uccello giace spennato”[5]. Le citazioni non possono essere più che i cavalli laterali della troika. Gli altri due destrieri siano sentimento e fantasia. La ragione rimanga l’auriga.

 

Che ne dici lettore? Cito troppo? Sono un pedante mezz’orbo di occhi e di mente? Fammelo sapere con tutta franchezza.

 

Elena sorrise e continuò. “Quello che dici, mi conferma che non sei una persona comune. In te ci sono dolori molto sofferti, ma c’è anche qualche cosa di intelligente e di buono che può prevalere, se qualcuno ti aiuta”.

 

Colsi la palla al balzo, immediatamente, e, con zampata da giovane leopardo affamato, e dissi: “Aiutami tu. Tu puoi farlo perché mi piaci, mi emozioni, mi costringi a pensarti, mi stimoli a fare bella figura.

Ti sono molto grato di avermi interpretato tanto benevolmente.

Anche io in te ho visto qualche cosa di non ordinario, e fin dalla prima sera, quando tu non mi avevi notato”.

 

“Non c’era abbastanza luce a quell’ora”, si scusò.

 

“Lo immaginavo. Sotto quella luce incerta, non c’era neppure la luna-ironizzai-  non potevi notare una presenza riservata, introversa come la mia. Io invece ti ho focalizzata subito, perché tu eri luminosa come un giorno senza nubi, o come la luna piena che risplende nelle notti serene e quasi nasconde le stelle. O come gli astri lucenti quando tralucono fra le invide nuvole. Tu brilli sempre, anche adesso: rifulgi di luce corporea, e di luce interiore. Io vorrei orientare la mia vita sul corso del faro che  proviene da te e sventaglia sulla mia anima, per ora con intermittenza, ma domani chissà”.

 

Dovevo tradurre il mio desiderio di quella donna in immagini lucide e fortemente emotive. Non senza un pizzico di ironia del resto.

 

 “Io… io credo che mi innamorerei di te senza riserve, credo che i nostri corpi potrebbero venire uniti da ponti vertiginosi se tu non fossi legata a un altro.”

 

“Già. Peccato che l’altro non veda in me quanto ci trovi  tu”.

 

Questa risposta, sussurrata, mi parve un altro particolare decisivo. Lo era.

Afrodite e suo figlio mi stavano togliendo ogni dubbio.

 

“Forse non siete abbastanza sintonizzati”, azzardai, tutto contento, e rivolsi un sorriso amichevolmente giocondo a Fulvio che, tutto travagliato, cercava di comunicare con l’imbambolata biondastra.

 

“Può essere”, fece Elena con un sorriso tra l’ironico e il mesto. “Scusa, devo dire due parole alla mia amica”.

 

Pensai che  stesse manifestando una stravagante autonomia dal suo uomo, una libertà dalle convenzioni sociali in base alle quali la fidanzata avrebbe dovuto respingere con sdegno, perfino con “santa” ira il mio corteggiamento, almeno nella fase iniziale. Non avevo mai incontrato una donna così educata e nello stesso tempo tanto “dissoluta”, in senso buono, ossia sciolta dal perbenismo piccolo borghese tipico delle promesse spose italiane, particolarmente di quelle bruttine o “racchie da ridere” come si dice a Pesaro.

 

Potevo continuare a punzecchiarla in molti sensi.

Si rivolgeva in finlandese a quell’altra che si trovava in difficoltà a parlare con Fulvio, disorientato anche lui. Forse pensava alla ragazza carsica che sembrava riluttare.

 

Ero felice, ogni momento di più. Avevo trovato il tono giusto, atto a suscitare l’interesse non solo generico della splendidissima donna: procedendo metodicamente su questa via[6] potevo farla innamorare di me, e non in modo proditorio o sadico, ossia per umiliarla e tradire la parola data, ma in buona coscienza e rispettando la santa fides, fundamentum iustitiae, siccome ero innamorato di lei e sentivo che dalla comunione dei nostri corpi e dalla trasfusione reciproca delle anime poteva nascere in tutti e due una maggiore comprensione della vita e di quanto è umano, una intelligenza indispensabile per la crescita delle nostre persone e della missione di educatori che ci premeva. Mangiammo un piatto di carne senza le patate aborrite, insipide come certuni, e per giunta eterne nemiche della santa snellezza dovuta al mio progetto e a me stesso.

 

Sapevamo entrambi che l’aspetto ordinato, a partire dalla linea snella, fa parte del dovere dell’insegnante il quale rappresenta una figura emblematica agli occhi dell’allievo. Come un principe per il suo popolo. Condividevamo il disprezzo di Hanno Buddenbrook per i professori connotati dallo squallore[7].

 

Tornammo Debrecen nella notte nuvolosa, attraverso la puszta più che mai deserta. Arrivati nel campus universitario, davanti al kollegium, salutammo Fulvio e Marja Liisa che non avevano trovato modo né voglia di comunicare e si separarono subito non senza un paio di smorfie quasi spettrali. Seppi poi da Helena che tornata in camera trovò la sua contubernale mentre se la prendeva con i  cuscini usando piedi e pugni quali catapulte. Come la vide entrare, la megera finnica si mise anche a digrignare i denti, poi a gridare gonfiando il collo. La mia donna, pur forte e coraggiosa, per schivare quella violenza , andò a chiedere asilo politico in un’altra stanza.

 

Lo stesso dovrò fare io molti anni più tardi per evitare una che non mi piaceva e voleva darmi la buona notte prima accarezzando la mia svogliatezza poi inveendo contro il demone languido , frigidus sed callidissimus aggiunse, e mi sferrò un pugno nell’occhio più debole con violenza centaurica. Mi tornarono in mente i Centauri stupratori del frontone occidentale del tempio di Zeus del maestro di Olimpia. Li avevamo visti proprio quel giorno. Tutto è collegato e connesso con tutto.

 Non riuscii a dissuaderla cum civilitate né volevo sedarla, e me ne andai a dormire nel contiguo androceo dove mi accolsero quale martire e , aggiunsero, vergine. Tra le risate.

Note

[1] Cfr. Eschilo, Agamennone, 689

 

[2] Cfr. Dostoevkij, L’idiota, VI cap.

 

[3] Cesare Pavese. Precisamente: “Se il chiavare non fosse la cosa più importante della vita, la Genesi non comicerebbe di lì”. Il mestiere di vivere, 25 dicembre 1937. Non mi ricordo come lo tradussi in inglese.

 

[4] Properzio, II 15, 12. Se non lo sai, nell’ amore sono gli occhi a dirigere.

 

[5] Cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra “Guardatevi anche dai dotti! Essi vi odiano: perché sono sterili! Essi hanno occhi freddi e asciutti, davanti a loro ogni uccello giace spennato”.

 

[6] Procedere metodicamente per una strada è una tautologia: mevqodo~ (methodos) contiene oJdov~ (hodós) che significa “via”, “strada”.

 

[7] "I maestri supplenti o tirocinanti che lo istruivano in quelle prime classi, dei quali sentiva l'inferiorità sociale, la depressione spirituale e la poca cura dell'esteriorità fisica, gli ispiravano, oltre il timore della punizione, un segreto disprezzo" T. Mann, I Buddenbrook (del 1901) , p. 330.

 

 

Bologna 12 marzo 2022 ore 10, 18

giovanni ghiselli

p. s

anche questo racconto può essere letto come un’antitesi alla guerra

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