sabato 11 luglio 2020

Debrecen 1976. 1. Nefertiti


Nefertiti

Dieci anni dopo l’approdo alla riva cui mi ero aggrappato in seguito al rovinoso naufragio dei miei atroci ventanni, dunque tornai nella cittadina universitaria dove avevo trovato le amicizie e gli amori che ho raccontato non solo per riviverli e rigioirne, ma anche per mostrare ai giovani del presente come sia possibile vivere senza rinnegare né celare la propria identità, il proprio bisogno di affetti, la propria cultura, e quanto sia meglio impiegare tali doti e talenti con forza, e metterne in risalto gli aspetti migliori per valorizzarli.
So che adesso le qualità intellettuali e morali che mi hanno salvato sono difficilmente riconosciute e apprezzate: vengono, anzi, spesso ignorate, talora derise come stravaganze, o persino colpevolizzate tanto sono rare e remote dal volgo dei più.
Ora è “normale”, cioè usuale, l’indifferenza, l’ignoranza, l’obesità, e simili lordure. Chi è capace di serietà, disciplina e spirito di sacrificio passa per matto.
Del resto già nel 1976 tante parole buone e molte immagini belle apparse e divulgate tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta erano sparite o erano mutate in peggio. Infatti durante quel mese di vacanza incontrai una ragazza che non aveva lo spirito sul quale il mio potesse gettare un ponte dove creare le intese dalle quali erano nate in quell’ultima età dell’oro le gioiose fusioni fisiche e spirituali vissute con le tre finlandesi per un mese ciascuna.
 Con la donna incontrata alla festa della conoscenza del 1976 invero non mancò la mescolanza dei corpi. Questa però da sola non crea la gioia. 
Quella prima sera, dopo poche parole, per la fretta e la furia facemmo l’amore dentro l’automobile.
La fusione delle anime non ci fu nemmeno nei giorni seguenti.
L’ultima amante trovata nell Università estiva di Debrecen era italiana e siciliana. Un poco esotica comunque. Una bruna di ventitré anni, fine e carina. La ricorderò come Nefertiti siccome dicevano che assomigliasse alla moglie del faraone eretico adoratore del sole: Amenofi IV-Ekhnaton, quasi un correligionario per me.
Questa ragazza pienamente mediterranea, di aspetto piacente, però era mentalmente lontana dai miei gusti. Durante quell’estate lontana dunque imparai che una donna giovane, educata, gradevole non basta a evitarmi la sghignazzata del diavolo e la conseguente tristezza dopo la copula.
Ricordo un tardo pomeriggio di agosto quando oramai avevo capito bene che non stavo vivendo il quarto amore di Debrecen. Camminavo con Fulvio, l’amico che era tornato nella nostra Accademia estiva dopo cinque anni di pausa. Cominciava a essere stanco della moglie. “importante è non stancarsi mai del sole, come Macbeth", gli dissi. Fulvio capiva.
 Eravamo sul ponte a nove arcate che a Hortobágy sormonta una palude di canne e zanzare.
Nefertiti era rimasta con un’amica dentro la csárda dove i violini zigani suonavano le danze ungheresi di Brahms accompagnati o intervallati dai cembali.
Durante le settimane precedenti avevamo litigato assai, siccome ci mancavano argomenti comuni di cui parlare senza noia e senza ira.
Voglio dire che l’unico modo per provare emozioni, forsanche per eccitarci sessualmente, già dopo i primi giorni, era litigare con astio su questioni senza importanza, quisquilie che infatti nemmeno ricordo.
Qualche volte superavamo il limite dell’emozione cattiva ma comunque eccitante: quel pomeriggio la sensazione di entrambi era prossima allo schifo e non ci consentiva più di rimanere vicini.
Mentre camminavo con Fulvio sul ponte che attraversava la palude malsana sotto di noi, il cielo sopra di noi nel tardo pomeriggio era scuro, afoso, opprimente, e nella puszta davanti a noi si vedeva una folla di turisti avidi di fotografare i cavalli incalzati dalle fruste schioccanti dei butteri, i bovi dalle lunghe corna, i porci neri dalle candide zanne e i tipici pozzi del luogo muniti di antenne come tanti televisori. Da tutte le parti soffiava un vento caldo che sollevava una polvere, o sabbia, di granelli neri, aguzzi e piccanti che mi si ficcavano dentro occhi dove le lenti a contatto li sfregavano contro la cornea aggravando il mio strazio.

giovanni ghiselli

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