sabato 11 luglio 2020

La prossima conferenza: Fëdor Dostoevskij. Nona parte


Delitto e castigo
Dunja la splendida sorella di Raskolnikov
 Il determinismo geografico

Raskolnikov, sua madre, sua sorella e l’amico Razumichin, Si trovano dunque nello stambugio di Rask il quale dà segni di nsofferenza alla madre e alla sorella cui dice che non vuole che sposi Luzin. Non deve sacrificarsi per lui.
“Con che diritto?”, iniziò Dunja.
Ma lui: “questo matrimonio è una vergogna, o me o Luzin, e ora andate pure”.

Razumichin per strada è inebriato non solo dal vino ma anche dal lampeggiare degli occhi neri di Dunja. Del resto i suoi lampeggiavano di una luce selvaggia e Dunja ne aveva paura.
Razumichin ubriaco dice che i suoi invitati sono degli imbecilli: vogliono la distruzione totale della personalità “l’importante è non essere se stessi, assomigliare il meno possibile a se stessi! Questo è per loro il vertice della civiltà”

Cfr. gevnoio oi|o~ ejssiv (Pindaro, Pitica II v. 72), diventa quello che sei.

“Dire corbellerie va bene - continua R - in questo modo si può arrivare alla verità, sparale pure grosse, ma che sia farina del tuo sacco, è quasi meglio che dire la verità al modo altrui. Così almeno sei un uomo, altrimenti sei un pappagallo. Invece abbiamo preso gusto a campare con l’intelligenza altrui”.
Dunja lo approva e Raz, stringendole la mano fino a farle male, le dice: voi siete la fonte di ogni bontà, di ogni purezza, di ogni intelligenza e della perfezione. Voglio baciare la vostra mano” (228)
E si inginocchiò in mezzo al marciapiede. Topos gestuale ripetuto più volte - R. parla di Luzin come di un avaro, uno speculatore, un tirchio un ciarlatano che ha preso in affitto per le due donne un postaccio malfamato: nella terza stanza c’è stato uno scandalo.
Dunja (Avdòtia Romànovna) era bellissima (cfr. Aglaja dell’Idiota): alta, slanciata, sicura di sé, senza che tale sicurezza togliesse nulla alla sua dolcezza e alla grazia delle sue movenze. Assomigliava a Rodion ma era più bella: la si poteva definire addirittura una bellezza. Capelli di un biondo intenso, occhi quasi neri, lucenti e fieri insieme, e straordinariamente buoni. Era pallida ma non di un pallore malaticcio: dal suo volto emanava freschezza e salute.
La bocca piccola, il labbro inferiore fresco e vermiglio sporgeva un poco in avanti, unica irregolarità in quel viso magnifico, una irregolarità che gli dava un che di caratteristico e di altero. L’espressione era seria e pensosa ma se apparivano il riso e il sorriso questi erano allegri, giovani, aperti.
Pulchèrija aveva già 43 anni ma il suo volto conservava tracce della bellezza d’un tempo, e portava bene l’età come tutte le donne che riescono a conservare fino alla vecchiaia la freschezza dello spirito e delle sensazioni, e un’onesta, pura fiamma del cuore: è l’unico mezzo per non perdere la propria bellezza nemmeno da vecchi.
Un primo incanutimento e un diradarsi dei capelli, piccole rughe che si irradiavano dagli occhi, guance infossate e inaridite per le preoccupazioni e i dolori, ma quel viso era ancora bellissimo. Era il ritratto della figlia con 20 anni di più. Era sentimentale ma non fino alla svenevolezza.
Razumichin portò dalle due donne Zòsimov, il dottore, che notò l’abbagliante bellezza di Dunja ma si sforzò di non badarvi affatto e si rivolse unicamente a Pulcherja rassicurandola su R che stava meglio. Il loro caro si era ammalato per influenze morali e materiali, ansie, timori, preoccupazioni.

Per strada il dottore dice a Raz che Dunja è deliziosa e Raz geloso lo afferra per la gola. Zosimov gli fa: lasciami maledetto ubriacone!
Allora Raz si calma e gli dice: sei un bravo ragazzo ma sei anche un donnaiolo e per giunta di quelli sudicioni, Sei un maiale nervoso, debole e stravagante, sei grasso come un suino e non sai rinunciare a niente e questo io chiamo essere sudicioni. Sei un rammollito ma anche un bravo medico capace perfino di abnegazione. Gli chiede di liberarlo dalla belloccia padrona di casa di Ras.
Basta parlarle magari di calcolo integrale, e lei sospira.
 Ma il dottore gli chiede: “che cosa me ne faccio?” (p. 235)
La mattina dopo Raz era pentito della sbornia e delle fanfaronate che aveva detto. Si sentiva indegno di Dunja in quanto sudicio e cinico sciattone. Si lavò i capelli, il collo e la mani. Ma non si fece la barba
Raz andò dalle due donne, un lercio straccione portò il tè.
Razumichin si chiama Dmìtrij.
Le donne gli danno un biglietto mandato da Luzin dove il fidanzato si scusava per non essere andato a prenderle alla stazione ma accusava Rodiòn di averlo incivilmente offeso. Vuole una spiegazione da Pulcheria. La informa del fatto che Raskolnikov ha dato 25 rubli a una ragazza notoriamente di cattiva condotta.
Raz notò che le due donne erano vestite poveramente, eppure quella palese povertà conferiva alle due signore un’aria particolarmente dignitosa, cosa che accade sempre a chi sa portare anche i vestiti più miseri (247)
Cfr. la femminilità di razza nella Montagna incantata di T. Mann.

 Raz pensò che quella regina la quale in prigione si rattoppava le calze aveva un’aria regale più che in mezzo alle feste e alle cerimonie religiose (247). La Maria Stuarda di Schiller probabilmente.

Poi Razumichin e le due donne vanno a casa di Raskolnikov (p. 249) dove trovano il dottore, Zosimov, che era arrivato dieci minuti prima
Zosimov parla con il giovanile fervore di un medico alle prime armi e dice a Raskche deve eliminare la causa del male se vuole guarire: p. e. avere abbandonato l’Università e non avere un lavoro. “Il lavoro è uno scopo ben preciso da raggiungere”. Cfr. Esiodo.
Rask gli diede ragione ma aveva sul volto un’aria di scherno.
Quindi dichiara che tutte le attenzioni del medico, gratuite per giunta gli pesano e Zòsimov risponde “i medici agli inizi della carriera amano i loro pazienti come se fossero loro figli. E non è che io abbia molti pazienti”.
Poi il dottore dice “tutti noi, e molto spesso, siamo quasi pazzi, con la lieve differenza che i cosiddetti malati sono un po’ più pazzi di noi, e quindi, a questo punto, è necessario tracciare un limite. L’uomo veramente equilibrato non esiste o sono molto rari e spesso sono esemplari mal riusciti”.

Ras ricorda che era stato per sposarsi, innamorato, con una ragazza malata e piuttosto bruttina, le piaceva fare l’elemosina e non faceva che sognare una vita in monastero. “Se fosse stata zoppa o gobba credo che l’avrei amata ancora di più. Eh sì è stato una specie di delirio primaverile”.

Cfr. il matrimonio di Nicolaj Stavrogin nei Demoni. Sposa una mentecatta brutta e povera per punirsi.
Dostoevskij inserisce nella confessione del principe dei suoi demoni, Stavrogin, il matrimonio, almeno un certo matrimonio, come sconciatura della vita e sua degradazione ultima:" mi venne appunto l'idea di storpiare la mia vita in qualche modo che fosse ripugnante il più possibile. Già da qualche anno meditavo di spararmi; mi si presentò qualcosa di meglio. Un giorno, guardando la zoppa Maria Timofejevna Lebjakdin, che faceva anche la serva agli inquilini, allora non ancora impazzita, ma semplicemente un'idiota entusiasta, innamorata di me in segreto alla follia (dagli indizi raccolti dai nostri), decisi a un tratto di sposarla. L'idea di un matrimonio con una creatura così infima solleticava i miei nervi. Non si poteva immaginare nulla di più mostruoso"[1].

“Adesso è tutto come se fosse accaduto in un altro mondo, tanto tempo” fa conclude Dimitri.
“La tua abitazione, Ròdja, sembra una tomba” gli fa la madre. Sono certa che metà della tua malinconia è dovuta alla tua stanza. Determinismo abitativo.
Cfr. il determinismo geografico in Erodoto, Ippocrate, Livio, Seneca, Tacito, Leopardi.
37. 2. Il determinismo geograficoConnessione terra - uomo. In questo topos l’influenza viene dalla terra e dal suo climaErodoto. Ippocrate. Tito Livio, Tacito, Seneca (De ira). La Medea di Seneca. La vita ecologica è anche vita psicologica (Hillman). Curzio Rufo e il determinismo vestiario. Leopardi e i Marchigiani. Nietzsche. H. Hesse e il paesaggio come educatore. 

Il rovescio del re malato che rende malata la terra è il tovpo" del determinismo geografico: c'è una corrispondenza fra la terra, il clima e gli uomini. In questo caso è la terra che prevale influenzando l’uomo.

 Il capitolo finale delle Storie di Erodoto contiene un monito per i Persiani attribuito a Ciro, il fondatore dell'impero. Alcuni sudditi gli avevano presentato la proposta fatta da Artembare di trasferire il popolo persiano dalla sua terra "piccola, scabra e montuosa" in un'altra "migliore". L'occasione era offerta dalla vittoria sul re dei Medi Astiage. Ma Ciro li scoraggiò dicendo che "da luoghi molli di solito nascono uomini molli ("filevein ga;r ejk tw'n malakw'n cwvrwn malakou;" a[ndra" givnesqai", 9, 122, 3): infatti non è della stessa terra produrre frutti meravigliosi e uomini valenti in guerra. Sicché i Persiani rinunciarono, vinti dal parere di Ciro, e preferirono comandare abitando una terra infeconda piuttosto che essere servi di altri coltivando pianure fertili. Sono le ultime parole delle Storie
Questo passo finale trova una qualche analogia nello scritto del Corpus Hippocraticum[2] Peri; ajevrwn, ujdavtwn, tovpwn, in quanto esso afferma che c'è una "unità indissolubile" tra la terra, il clima, gli uomini e "le forme della loro esperienza umana". Ho citato Santo Mazzarino il quale aggiunge:"Si potrà forse osservare che il concetto della connessione fra la terra e l'uomo non è portato, qui[3], alle estreme conseguenze metodiche, come invece nello scritto (del corpus ippocrateo) Sui climi sulle acque sui luoghi , in cui le differenze tra Asiatici ed Europei sono ricondotte al rapporto fra gli uomini e la natura del paese, e le caratteristiche degli abitanti del Fasi - gialli di colorito, alti e grassi, inadatti alle fatiche[4] - sono riportate alle condizioni della loro regione paludosa e malsana. In Erodoto la connessione terra - uomo c'è tuttavia"[5].
Pure Tito Livio stabilisce questa connessione quando racconta lo scavalcamento delle Alpi da parte di Annibale: "Triduo inde ad planum descensumiam et locis mollioribus et accolarum ingeniis "(21, 37), in tre giorni di lì si scese alla pianura, dove oramai erano più miti sia i luoghi sia i caratteri degli abitanti. Più avanti Tito Livio trattando di alcune regioni della Macedonia fa una considerazione analoga: “Frigida haec omnis duraque cultu et aspera plaga est; cultorum quoque ingenia terrae similia habet” (45, 30, 6), è fredda tutta questa zona e dura e difficile a coltivarsi: ha simili alla terra anche le indoli degli abitanti.
L’influenza del resto è reciproca: “Ciò che rende bello un luogo è l’umanità che vi aleggia. Non è saggio colui il quale, potendo scegliere, non si insedia tra gli esseri veramente umani”[6]
Seneca nel De ira afferma che per governare è necessaria una natura equilibrata, non intrattabile, e questa ha bisogno di un clima mite: "nemo autem regere potest nisi qui et regi. Fere itaque imperia penes eos fuere populos qui mitiore caelo utuntur. In frigora septentrionemque vergentibus immansueta ingenia sunt, ut ait poeta "suoque simillima caelo" (II, 15), nessuno del resto può governare se non può anche essere governato. Perciò gli imperi in generale si sono trovati presso quei popoli che fruiscono di un clima più mite. Sono feroci le indoli esposte al freddo e al settentrione, e, come dice il poeta, "molto somiglianti al loro cielo".
Qualche luogo simile può trovarsi nella Germania[7] di Tacito: un luogo inameno bagnato da un mare horridum et ignotum, terribile, ignoto e poco desiderabile:"quis porro… rmaniam peteret, informem terris, asperam caelo, tristem cultu aspectuque, nisi si patria sit?" (2), chi andrebbe in Germania, dal territorio desolato, dal clima inclemente, squallida ad abitarsi e a vedersi, se non fosse la patria?
I nativi (indigenae) costituiscono una razza non contaminata e hanno un aspetto che risente della loro terra: "truces et caerulei oculi, rutilae comae, magna corpora et tantum ad impetum valida (4), occhi[8] feroci e azzurri, chiome rossicce, grandi corpi e gagliardi solo per l'assalto.
Subito dopo (5) Tacito ribadisce che la terra è silvis horrida aut paludibus foeda, irta di selve, oppure orribile per le paludi.
Negli Annales Germanico prima della battaglia di Idistaviso (16 d. C.) descrive l’aspetto dei Germani come visu torvum (II, 14), minaccioso a vedersi.
La Medea di Seneca, quando vuole assumere la ferocia massima negando la propria femminilità, dice a se stessa: "pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue" (Medea, vv. 42 - 43), scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale. Il Caucaso, situato tra il Mar Nero e il Mar Caspio, significa un luogo selvaggio[9] che, indossato psicologicamente, rende feroce la persona: " un ambiente fisico reale - sorgente, primavera, albero, crocicchio - è animato…Le nostre anime sulla terra accolgono la terra nelle nostre anime… La vita ecologica è anche vita psicologica. E se l'ecologia è anche psicologia, allora il "Conosci te stesso" diviene impossibile senza il "Conosci il tuo mondo "[10].

Leopardi nello Zibaldone assume la teoria ippocratica della connessione fra la terra e l'uomo in lode degli Italiani e dei Marchigiani in particolare:"Ne' luoghi d'aria sottile, gl'ingegni sogliono esser maggiori e più svegliati e capaci, e particolarmente più acuti e più portati e disposti alla furberia. I più furbi p. abito e i più ingegnosi p. natura di tutti gl'italiani, sono i marchegiani: il che senza dubbio ha relazione colla sottigliezza ec. della loro aria[11]. Similmente gl'italiani in generale a paragone delle altre nazioni. Mettendo il piede ne' termini della Marca si riconosce visibilmente una fisonomia più viva, più animata, uno sguardo più penetrante e più arguto che non è quello de' convicini, né de' romani stessi che pur vivono nella società e nell'uso di un gran capitale"(p. 3891).
Quindi Nietzsche:" Vediamo un po' in quali luoghi si trovano o si sono trovati uomini di grande spirito, dove l'arguzia, la raffinatezza, la cattiveria facevano parte della felicità, dove il genio si trovava quasi necessariamente a casa: tutti sono contraddistinti da un'aria particolarmente asciutta. Parigi, la Provenza, Firenze, Gerusalemme, Atene - questi nomi stanno a provare qualcosa: che il genio è condizionato dall'aria asciutta, dal cielo puro - e questo vuol dire metabolismo rapido, possibilità di attirarsi continuamente grandi, e anche enormi, quantità di forza"[12].

giovanni ghiselli




[1] F. Dostoevkij, I demoni, p. 451.
[2] I cui scritti furono prodotti tra il V e il IV secolo.
[3]Sta commentando le Storie di Erodoto dove" Ellèni e barbari sono studiati...in rapporto al nesso causale fra la terra in cui vivono e la forma della loro esperienza umana", Il pensiero storico classico , I, p. 160.
[4]Precisamente:"prov" te to; talaipwrei'n to; sw'ma ajrgovteroi pefuvkasin ,
[5]Il pensiero storico classico , I, p. 161.
[6] Confucio citato da K. Jaspers in I grandi filosofi, p. 255.
[7] Del 98 d. C.
[8] Che sono la parte più significativa del corpo umano.
[9] Si pensi alla sciagurata strage di bambini del 3 settembre 2004.
[10] J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 96.
[11] L'alta considerazione dei marchigiani sembra risentire di questo passo di Cicerone:"Athenis tenue caelum, ex quo etiam acutiores putantur Attici " (Cicerone, De fato, 7), ad Atene l'aria è limpida, e anche per questo gli Attici sono ritenuti più perspicaci. 
[12] Ecce homo, p. 25.

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