sabato 18 luglio 2020

La prossima conferenza: Fëdor Dostoevskij. Diciottesima parte

Alexander Sochaczewski, "lavoro forzato nei campi Katorga siberiani"
Raskolnikov ai lavori forzati in Siberia. Sonja lo segue


Epilogo

Al processo R ha raccontato i fatti senza confondere né attenuare le circostanze. Ha indicato il nascondiglio degli oggetti e del borsellino rubati. Gli inquirenti e i giudici si meravigliarono molto che non avesse usato quel denaro. Sembrò inverosimile che non avesse nemmeno aperto il borsellino dove c’erano 317 rubli. Pensarono che avesse compiuto il delitto in stato di alienazione mentale. Disse che lo aveva fatto per la miseria nella quale viveva.
Ebbe una pena relativamente mite: i lavori forzati di seconda categoria per 8 anni. La sentenza ci fu 5 mesi dopo la confessione. Razumichin e Sonja andavano a trovarlo in prigione.
 Poi lo mandarono in Siberia dove si trova da nove mesi ed è passato quasi un anno e mezzo dal delitto. Sonja con il denaro di Sv seguì lo scaglione di detenuti con il quale partì R.
Razumichin e Dunja si sposarono. Alle nozze invitarono Porfirij e Zòsimov il medico. Raz riprese l’Università e progettava di trasferirsi in Siberia con la moglie.
Pulchèrija morì di febbre cerebrale. Sonja teneva i contatti epistolari con Dunja e Raz. Scriveva che R aveva sempre un’aria cupa, parlava poco e poco si interessava alle notizie che Sonja gli portava. Il cibo, tranne che per le feste, era tanto cattivo che lui aveva accettato un po’ di denaro da lei per potersi fare del tè ogni giorno, ma le premure lo infastidivano. Dormiva su un pezzo di feltro steso su un tavolaccio. Mostrava indifferenza verso le proprie condizioni di vita. Con Sonja era perfino sgarbato, ma si era anche assuefatto a quei colloqui. Lavorava nelle officine e nelle fabbriche di mattoni o sulla riva dell’Jrtyš.
Sonja lavorava di cucito e, per la carenza di modiste in quel luogo, era diventata indispensabile in molte case, aveva fatto conoscenze, e aveva trovato qualche protezione. Grazie al suo aiuto, R aveva ottenuto la protezione dei superiori che gli assegnarono un lavoro più leggero ed altre facilitazioni.
Poi però si era ammalato ed era stato ricoverato in ospedale.
La sua fibra non era stata spezzata dall’insipida broda di cavoli con gli scarafaggi dentro, da studente spesso non aveva avuto nemmeno quella, né dalla testa rasata, né dal vestito strappato che del resto teneva caldo.
Davanti a Somja però si vergognava poiché si era rovinato per sempre in maniera cieca e ottusa per una strana condanna della sorte. Sarebbe uscito a 32 anni, ma per fare che cosa? Vivere per esistere forse? L’esistenza pura e semplice non gli era mai bastata. Per la violenza dei suoi desideri aveva pensato che a lui era consentito più che agli altri. Non sentiva nemmeno pentimento del suo delitto
Pensava che se usciva dalla banale logica quotidiana la sua idèa non era poi così strana.
L’avevano avuta anche altri uomini che passano per benefattori dell’umanità. “Ma quelli che hanno saputo resistere al peso delle loro azioni hanno avuto ragione, mentre io non ho saputo resistere e quindi non potevo permettermi quell’azione. Il vero delitto è stato quello di non averne retto il peso e quindi di essersi costituito”.
Poi si chiedeva perché non si fosse ucciso come Sv aveva avuto il coraggio di fare. Non capiva ancora che non essersi ucciso preludeva a una futura rinascita.
Era come se vivesse a occhi bassi: non ce la faceva a guardarsi intorno. Vedeva un abisso invalicabile tra sé e gli altri. C’erano dei deportati politici polacchi che disprezzavano la massa ma erano ancora più stupidi. Poi tre russi pieni di superbia, un ex ufficiale e due seminaristi. Il suo disprezzo e odio per gli altri era contraccambiato. Lo deridevano: “tu sei un signore, altro che mettersi a maneggiare la scure! Non è roba per signori!” gli gridavano.
 A un certo punto volevano ammazzarlo come un senza dio. Ma uno della scorta fece in tempo a mettersi tra lui e il criminale.
 Invece Sonja era benvoluta da tutti, sebbene non facesse nulla di speciale per ingraziarsi qualcuno in particolare. Solo a Natale aveva portato in dono a tutti i carcerati panini bianchi e pagnottine dolci. Un po’ alla volta prese confidenza e scriveva le lettere per i parenti dei forzati. Questi. quando la vedevano, si levavano il berretto e dicevano: màtuška Sòfja Semënovna, sei la nostra mammina dolce e brava!” Questo dicevano quei rozzi, incalliti forzati alla piccola e gracile creatura. A loro piaceva anche l’andatura di Sonja e la lodavano pure per il fatto che era piccola. Andavano da lei perfino per farsi curare. R aveva dei deliri e vaneggiamenti febbrili durante i quali immaginava pestilenze inaudite. La seconda settimana dopo Pasqua arrivò la primavera: in ospedale si aprivano le finestre ma nella corsia dei detenuti c’erano delle inferriate e sotto una sentinella. Sul far della sera Sonja andava sotto la finestra e una sera R la vide. Ma poi la ragazza si ammalò e non poteva andare da R. Sonja gli mandò un biglietto minimizzando la sua malattia del resto non grave. R sentì il proprio cuore battere forte con una forza dolorosa.

giovanni ghiselli

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