venerdì 10 luglio 2020

La prossima conferenza: Fëdor Dostoevskij. Ottava parte


Delitto e castigo. La morte di Marmeladov

L’assassino salì nella casa del suo omicidio. C’erano due operai cui R non risponde, rabbrividiva invece e provava un piacere sempre più intenso ricordando.
Provoca gli operai e il portinaio, li sfida a recarsi al commissariato con lui, poi si allontana cercando dei segni.
Ma tutto gli pareva inanimato, senza vita.
Poi un segno: c’è un uomo schiacciato dai cavalli di una carrozza.
La carrozza apparteneva a un personaggio ricco e ragguardevole e questo influiva molto sull’atteggiamento della polizia
R riconosce Marmeladov e tira fuori i soldi per un dottore
Si adopera anche per trasportare a casa il ferito.
Katerina Ivànovna stava occupandosi di due bambini piccoli aiutata dalla figlia decenne Pòlenka (Pòlja). Raccontava alla bambina di essere stata una giovane di belle speranze, di avere fatto una buona vita con il primo marito, il padre di Pòlja, Polina.
“Ma dov’è quel pezzente ubriacone?” Chiedeva e intanto tossiva convulsamente.

Poi entra il poliziotto con il suo fardello: Marmeladov insanguinato ed esanime. La piccola Lìdočka abbracciò Polja e si mise a tremare
La madre manda Polja a chiamare Sonja, e R, l’assassino si dà da fare in tutti i modi per aiutare questi disgraziati. Assassino e benefattore.

Ulrich pensa alle contraddizioni dell’umanità che produce Bibbie e cannoni (Musil, L’uomo senza qualità, p. 22).

I vicini si accalcano, ma Katerina riesce a cacciarli. Quelli ripiegarono non senza dare quella strana impressione di soddisfazione che notiamo nelle persone anche a noi più vicine quando una disgrazia improvvisa colpisce i nostri cari (202).
Il fatto è che siamo contenti che la sorte abbia preso la mira e non abbia colpito noi.
Magari perché la tuvch ha sbagliato mira: ogni volta che qualcuno cadrà al tuo fianco o dietro le spalle dovrai esclamare: quotiens aliquis ad latus aut pone tergum ceciderit, exclāmaalium quidem percussisti, sed me petisti” (Ad Marciam, 9, 3), ora hai colpito un altro ma hai mirato a me!

Si intromette la padrona di casa, una tedesca litigiosa e confusionaria.
Katerina le chiede di lasciar morire in pace Semën Zachàrovič. Il morente chiese un prete. Si preoccupava perché la piccola Lìdočka, la sua preferita, era scalza. Ma K lo sgrida ancora: stai zitto, lo sai benissimo perché è scalza! Arrivò il dottore che diede a Marmeladov 10 minuti di vita
Entra Sonja. Aveva un abitino da pochi soldi ma sgargiante, vistosamente colorato, com’è uso delle donne di strada. Quel vestito era sconveniente nella circostanza con il suo lungo e ridicolo strascico e l’immensa crinolina, una sottana con cerchi rigidi, che ostruiva la porta, gli stivaletti chiari e l’ombrellino, inutile di sera e l’assurdo cappellino tondo di paglia con una chiassosa penna color fuoco. Sotto il cappellino messo di sbieco, alla monella, si vedeva un visino smunto, pallido e sbigottito, con la bocca spalancata e gli occhi immobilizzati dal terrore. Sonja era bionda, piccola, sui 18 anni, magra ma abbastanza carina, con due splendidi occhi celesti
Katerina dice “sia lodato il signore che l’ha fatto morire! Ci saranno meno spese!” (207)
Il prete le dice che fa peccato: nell’ora della morte bisognerebbe perdonare
Il perdono, dice Katerina, gliel’ho sempre offerto lavorando tutte le notti e tutti i giorni. Poi tossì nel fazzoletto e lo sciorinò insanguinato sotto gli occhi del prete il quale chinò il capo e non disse nulla.
Poi M si accorse della figliola: avvilita, tutta in ghingheri e vergognosa. Aspettava il suo turno con una sofferenza sconfinata dipinta in volto.
M gridò: figlia mia perdonami! Tendendole la mano gli mancò l’appoggio, cadde e morì tra le braccia della ragazza.
Katerina grida che non ha i soldi nemmeno per la sepoltura. R le offre 20 rubli dicendo di essere amico di M. Poi uscì di corsa imbattendosi in Nikodìm Fòmič, il commissario.
 R aveva la nuova sensazione di una vita generosa e possente affluita di colpo in lui. (209) Una sensazione simile a quella di un condannato a morte cui si annuncia la grazia.
Pòlenka lo rincorre e lo chiama. R si ferma e i due si guardano con un senso di gioia. La bambina lo bacia e lo abbraccia
Polënka disse: una disgrazia dopo l’altra, con quell’aria di speciale gravità che si sforzano di assumere i bambini quando vogliono parlare con i grandi.
Dice che il babbo le insegnava la grammatica e il catechismo, la mamma voleva insegnarle il francese, perché ormai è tempo che io riceva un’istruzione. I tre bambini pregano, racconta, lei per conto suo, i più piccoli Kòlja e Lìdočka con la mamma Pregano per la sorellina Sonja e per i due babbi -
“Pòlenka, io mi chiamo Rodiòn; pregate qualche volta per me: per il servo Rodiòn, e nient’altro”.
R torna sul ponte e dice a se stesso: c’è la vita, ancora non è morta la mia vita. Ora viene il regno della ragione e della luce e della volontà e della forza, adesso vedremo chi è il più forte, disse come se sfidasse una forza occulta. Forza, forza ci vuole, senza forza non otterrai niente e la forza bisogna sapere conquistarla con la forza stessa” (212). Si sentiva felice
Andò da Razumichin che lo accompagna a casa dove lo aspettavano la madre Pulchèrija Aleksàndrovna Raskòlnikova, e la sorella Dunja. Quando lo abbracciarono svenne.
A Razumichin aveva detto di essere triste come una donna.

giovanni ghiselli

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