giovedì 9 luglio 2020

La prossima conferenza: Fëdor Dostoevskij. Settima parte

Rubini e Lo Cascio in Delitto e castigo
Teatro Creberg di Bergamo

Delitto e castigo. Lùžin

Argomenti:
Dialoghi nello stambugio di Raskolnikov. Arriva, sussiegoso, Lùžin, il fidanzato della sorella aborrito da Raskolnikov che lo fa allontanare trattandolo con scortesia, poi se ne va In giro per le strade di San Pietroburgo.

Alla sua festa, dice Razumichin, ci sarà Porfirij Petròvič, il giurista, il giudice istruttore, poi un ufficiale Zamëtov che prende le bustarelle.
Ha dei lati buoni dice e può essere corretto siccome è giovane
“Respingendo un uomo non lo correggi e tanto meno un ragazzo. Con un ragazzo ce ne vuole il doppio di prudenza, Non capite niente voi, teste di rapa progressiste! Non rispettate gli altri e finite con non rispettare voi stessi” (150)
Razumichin e il medico Zosimov parlano del crimine e dell’imbianchino incriminato. Razumichin è critico con i metodi polizieschi: “si può arrivare in base ai soli dati psicologici a individuare la traccia giusta
L’imbianchino Nikolàj è andato da un contadino gestore di una bettola e gli ha portato una scatoletta con due orecchini d’oro e delle pietruzze. Ha detto di averla trovata sul marciapiede e ha chiesto due rubli lasciandola in pegno. Razumichin racconta che hanno fatto confessare l’imbianchino a furia di pressioni. In questura ha detto di avere trovato la scatoletta nell’appartamento che imbiancava, dietro la porta. In effetti dietro quella porta si era nascosto Raskolnikov.
Razumichin considera inoppugnabili i fatti a discolpa: che subito dopo il delitto l’imbianchino si azzuffò in maniera monellesca con un collega, tra le risate e in mezzo alla gente. C’è una impossibilità psicologica e un fatto inoppugnabile che distrugge tutte le prove materiali (158)
Razumichin ricostruisce la storia come davvero è avvenuta per quanto riguarda la parte dell’imbianchino.
Arriva Luzin, un signore non più giovane, di bella presenza (160). Indugiò sulla soglia con aria manierata circospetta e schizzinosa guardandosi intorno con palese e offensiva meraviglia, come se si stesse domandando: dove sono andato a finire? Esaminava la cabina con una certa affettazione di spavento e quasi di sdegno. Poi si rese conto che con quel piglio esageratamente sostenuto non poteva ottenere niente, allora si ammansì un poco e in tono cortese, seppure velato di sussiego, si rivolse al dottore e domandò: Rodion, Romànič Raskòlnikov?
Si vede la persona carica di volgare affettazione.
Razumichin disse: eccolo lì, disteso sul divano. E voi che volete?
La domanda smontò del tutto l’altezzoso signore che si volse di nuovo al dottore.
R si sollevò di scatto a sedere sul letto e disse: “sono io”.
Allora il visitatore lo guardò con attenzione e disse: “Pëtr Petròvič Lùžin , oso sperare che il mio nome non vi sia del tutto sconosciuto” (161)
R non rispose. Razumichin si presentò come ex studente e invitò Luzin a sedere. Questo riprese coraggio per l’invito. R disse che era al corrente del fidanzamento.
Lo osservava: il suo abbigliamento era elegante e gli stava bene, tranne che per un piccolo particolare: era troppo nuovo e tendeva con troppa evidenza a un determinato scopo. Teneva in mano non infilati guanti color lillà di marca autentica perché venissero ammirati. Portava molto bene i 45 anni. I capelli per la verità erano un pochino brizzolati e arricciati dal barbiere ma non avevano nulla di ridicolo o di sciocco come appaiono di solito i capelli arricciati che fanno spesso somigliare il volto a quello di un tedesco che vada all’altare. Insomma la sua fisionomia era abbastanza bella e seria
Era avvocato alla corte suprema. Dice che c’è molto da imparare dai giovani. Elogia i progressi degli ultimi tempi “C’è un progresso, se non altro in nome della scienza e della verità economica”
R risponde che è un luogo comune.
E Luzin ribatte: la scienza dice: ama innanzitutto te stesso, se ti amerai, potrai fare bene i tuoi affari. Più attività private organizzate ci sono, più si svilupperà il bene comune e ci saranno caffetani interi invece che laceri.
 E’ una lunga veste con apertura anteriore e larghe maniche.
Razumichin gli chiede chi sia, poiché diffida dei trafficanti e dei chiacchieroni.
Parlano del delitto. Rask dice che i delitti sono conseguenti alla teoria economica presentata da Luzin cui rinfaccia di avere voluto truccare le carte, partendo in vantaggio “Ma non è forse vero che voi,” disse con una voce tremante d’ira in cui si sentiva il gusto di offendere, “non è forse vero che alla vostra fidanzata…proprio nel momento in cui ricevevate il suo consenso…voi avete detto che più di tutto eravate lieto che fosse povera…perché è più vantaggioso togliere la moglie dalla miseria in cui vive, per poi poterla dominare…e poterle rinfacciare d’averla beneficata?” (p. 171)

Lo aveva già detto Marziale (40 ca - 104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma:" Inferior matrona suo sit, Prisce, marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3 - 4), la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.

Luzin risponde che l’idea è stata snaturata probabilmente anche per l’intervento della mamma esaltata e romantica nelle idèe.
R lo minaccia di buttarlo giù dalle scale se nominerà ancora la madre.
Luzin se ne andò offeso. Poi Rodiòn caccia tutti. Quindi prende i soldi mandati dalla madre, 25 rubli ed esce, Erano le otto con il sole al tramonto.
Girava per luoghi degradati quando si sentiva disgustato per sentirsi ancora più disgustato: ubriachi, straccioni, puttane
Una belloccia lo invita a entrare in un locale e lui le fa: come sei carina!
E lei: anche voi siete molto bellino!
Un contadino sbronzo dal gabbano sbottonato e una faccia furba ridanciana disse: a guardarle sembrano tante figlie di generali, ma poi hanno il naso a patata! Un nonsense!
R ricorda di avere letto che un condannato a morte un’ora prima dell’esecuzione dice o pensa che pur di vivere si adatterebbe a stare in cima a uno scoglio con l’oceano intorno, nella solitudine, nella tenebra eterna e nell’eterna procella. Pur di vivere, vivere, vivere! (p. 178).
Una storia simile anche nell’Idiota.
Poi entra nel palazzo di cristallo, un ambiente spazioso e pulito. Cerca i giornali. Al suo tavolo si siede Zamëtov, l’ufficiale di polizia che prendeva le bustarelle. R lo provoca fino a dirgli: “E se fossi stato io ad ammazzare la vecchia e Lizavèta? (p. 185). Quindi paga il cameriere e fa vedere i 25 rubli all’ufficiale e gli chiede: da dove vengono? E da dove viene il mio vestito nuovo?
Uscì tremando per una tremenda sensazione isterica non priva di voluttà
Incontra Razumichin e gli chiede di lasciarlo in pace: non voleva nessun aiuto. Parlava con calma, godendo del veleno che lasciava schizzare fuori.
Razumichin lo attacca: “tutti voi, nessuno escluso, siete dei chiacchieroni. Se appena vi piglia una piccola sofferenza, cominciate a covarla come fa la gallina con l’uovo! Perfino in questo plagiate gli autori stranieri. Tu sei una semplice traduzione da una lingua straniera!
Anche io, come te ho sputato mille volte su tutto il resto dell’umanità., poi sono tornato indietro di corsa. Ti vergognerai e tornerai tra la gente!
Poi lo invita all’naugurazione del suo appartamento, ma R dice di no (188). Di nuovo il dolore come prava voluptas.
Rask Si appoggiù sul parapetto di un ponte, stava per svenire quando sopraggiunse una donna che si gettò nel canale. Aveva un volto giallo, oblungo, marcato dall’alcol. Una guardia di città si gettò in acqua e la tirò fuori. Era una merciaiola Afrosìniuška, ubriaca non al primo tentativo.
R pensò che non si sarebbe suicidato: “l’acqua fa schifo. Non ne farò nulla, è inutile”. Aveva perso l’energia di quando era uscito di casa per farla finita. Valori capovolti, energia tesa alla morte (cfr. acta retro cuncta nell’Oedipus di Seneca)
Rimuginava: è davvero una via d’uscita? Farà lo stesso: vivrò in un metro quadrato di spazio.

Se la vita non è degna patet exitus. Si pugnare non vultis, licet fugere (Seneca, De providentia, VI, 7), la via d’uscita è aperta: l’ultimo dono della provvidenza all’uomo, la suprema garanzia della libertà. Anche Epitteto (1. 24, 20; 4.10, 22) e Plotino (1, 4, 16) guardano alla morte come a una possibile liberazione dai mali.

Cfr. invece Leopardi Dialogo di Plotino e Porfirio: " Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l'un l'altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita".

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