martedì 14 luglio 2020

La questione politica e morale del crollo del ponte di Genova

Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta ( Seneca, Oedipus, vv. 366-367) , è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.

Un esempio dei nostri tempi
La società che ha avuto in appalto le autostrade italiane ha lasciato nell’incuria un ponte il cui crollo ha causato la morte di 43 persone e ingenti danni anche all’economia di Genova, della Liguria e non solo.
 I gestori, colpevoli quanto meno di questa gravissima omissione, ora dovrebbero essere risarciti con diversi  miliardi perché possano venire sostituiti dopo il lavoro fatto male e anche questo non certo senza enorme lucro.
Qualche “loico” potrebbe chiedersi: “allora può essere che siano stati pure pagati  quanti avrebbero dovuto impedire  altre stragi che hanno insanguinato l’Italia e hanno omesso di farlo”.
Insomma va quasi tutto a rovescio e possiamo capire perché donne e uomini mettono al mondo sempre meno figli.

Alcuni  pareri di autori su certa borghesia
Sentiamo un anatema di P. P: Pasolini contro la cultura pragmatica, priva di carità: “io per borghesia non intendo tanto una classe sociale quanto una vera e propria malattia. Una malattia molto contagiosa: tanto è vero che essa ha contagiato quasi tutti coloro che la combattono: dagli operai settentrionali, agli operai immigrati dal Sud, ai borghesi all’opposizione, ai “soli” (come son io). Il borghese - diciamolo spiritosamente – è un vampiro, che non sta in pace finché non morde sul collo la sua vittima per il puro, semplice e naturale gusto di vederla diventar pallida, triste, brutta, devitalizzata, contorta, corrotta, inquieta, piena di senso di colpa, calcolatrice, aggressiva, terroristica, come lui.[1]

La borghesia non lascia tra uomo e uomo "altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti. Essa ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell'esaltazione religiosa, dell'entusiasmo cavalleresco"[2].

E che cosa d’altronde poteva esserci di comune tra lui e quella borghesia che s’era fatta a poco a poco, profittando per arricchirsi di tutti i disastri, suscitando catastrofi pur d’imporre il rispetto dei suoi misfatti e delle sue ruberie (…) Autoritaria e sorniona, bassa e vigliacca, essa infieriva senza pietà contro l’eterna necessaria sua vittima, il popolino, cui pure aveva di sua mano tolta la museruola e che aveva appostato perché saltasse alla gola delle vecchie caste…Conseguenza della sua salita al potere, era stata la mortificazione di ogni intelligenza, la fine di ogni probità, la morte di ogni arte. Gli artisti umiliati, s’eran buttati ginocchioni a divorar di baci i fetidi piedi dei grandi sensali e dei vili satrapi, delle cui elemosine campavano (….) Era insomma la galera in grande dell’America trapiantata nel nostro continente; era l’inguaribile incommensurabile pacchianeria del finanziere e del nuovo arrivato che splendeva, abbietto sole, sulla città idolatra che vomitava, ventre a terra, laidi cantici davanti all’empio tabernacolo delle Banche”[3].

Una classe che non  ha esitato a scatenare il fascismo, il razzismo, la guerra, la disoccupazione. Se occorresse “cambiare tutto perché non cambi nulla” non esiterà a abbracciare il comunismo”[4].

La vita borghese è micrologia, visione analitica e riduttiva nella quale l'esistenza non fa più balenare un senso globale che la illumini e le dia valore”[5].

Il fatto è che il borghese deve continuamente riaffermare e rafforzare la propria identità attraverso la roba: “Il borghese deve affermare quella che sarà la sua identità per tutta la vita. L’aristocratico si manifesta per quello che è già al momento della nascita. Il borghese si sente costretto ad accumulare, o quanto meno a salvaguardare”[6].

Non tutti i borghesi sono tali. Gli studiosi, pure se di estrazione borghese, in genere sono persone alquanto diverse. Gli studiosi intelligenti e buoni di ogni classe sociale sono belle persone

Saluto e rispetto anche chi non la pensa come me.

giovanni ghiselli


[1] P- P. Pasolini, Il caos, p. 39.
[2] Manifesto del partito comunista  di Marx-Engels, p. 59.
[3] J. K. Huysmans, Controcorrente (del 1884) p. 218.
[4] La frase fra virgolette è nel romanzo “Il Gattopardo”. La dice un principe siciliano all’arrivo dei garibaldini (1860). Poi fa il garibaldino anche lui e così non perde né i soldi né il potere.  Scuola di Barbiana. Lettera a una professoressa, p. 74.
[5] C. Magris, L’anello di Clarisse, p. 191
[6] Sàndor Màrai, La donna giusta,  p. 18.

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