lunedì 27 luglio 2020

Introduzione a Lucano. Seconda parte. Il poema "Pharsalia" come anti-Eneide


Il poema Pharsalia come anti-Eneide

Lucano ardens et concitatus (Quintiliano, 10, 1, 90), pieno di pathos.

Il destino vero di Roma è contrapposto a quello presentato da Virgilio . Lucano non ha trionfi da cantare. Un’emulazione ex contrario dell’epica storica romana.

Tucidide separa diritto, morale e potere. La storia è storia del Potere, la giustizia non c’entra.
Tacito seguirà queste orme contrapponendosi a Livio, come Lucano a Virgilio.
Il teatro di Seneca attende l’ejkpuvrwsi" la soluzione finale offerta dal fuoco universale, e la rinascita ajpokatavstasi" di tutto l’Universo in forme nuove, il ritorno allo stato primitivo. I fatti storici trovano una corrispondenza negli eventi naturali catastrofici.

La profondità del degrado politico è significata dalla degradazione del valore semantico delle parole. Sono morte pietas, virtus, fides.
In Virgilio la pietas di Enea fa nascere Roma, pur se fa morire spietatamente Didone, in Lucano la morte della pietas significa la morte di Roma. Cesare impius vince la guerra civile. Il furor subentra alla pietas e il nuovo Sato è il nefas, opera del furor.
La gigantomachia della guerra civile è vinta dal gigante Cesare. Catone si suicida con la sua virtus. Cfr. il dialogo Sofista di Platone.
Nefas, scelus, crimen, nocens, ritornano frequentemente nella Pharsalia, come nelle tragedie di Seneca. Né manca il gusto dell’orrido. Non c’è più posto per i boni mores.
Non c’è più Provvidenza con la sua funzione corroborante delle difficoltà e delle disgrazie . Gli dèi, se ci sono, sono ostili agli uomini.
La provnoia stoica è rovesciata: il fato tiene gli uomini lontani dalla felicità. C’è sempre la vittoria del male in questo controquadro.
 La Fortuna è un’antidea alleata di Cesare, immorale e ingiusta, eversiva e caotica.
Cesare al Rubicone dice: “te, Fortunasequor” I, 226). Non ci sono dèi, come nella Fedra di Seneca: “res humanas ordine nullo/Fortuna regit” (978 - 979 ). Il Fato vuole la morte della Repubblica. Ci sono preghiere paradossali, come quella dell’indovino Arrunte: “et fibris sit nulla fides” (I, 635), nelle viscere non ci sia credibilità.

Nel settimo libro Lucano si augura che sopravvivano i barbari nam post civilia bella/hic populus Romanus erit (543 - 544).

La Pharsalia dunque è l’antiEneide, Al Romanam condere gentem (Eneide., I, 33) si sostituisce Roma perit (Pharsalia, VII, 634).

A Farsalo c’è un genocidio: la morte di un popolo.

Marlowe tradusse il primo libro, Montaigne lo ammirò (Saggi, II, 10, “mi piace Lucano non tanto per il suo stile, quanto per la verità delle sue opinioni e dei suoi giudizi (p. 529).

Goethe lo imitò nella scena introduttiva della Notte di Valpurga.
Hölderlin lo tradusse (I, 1 - 500)

Le descrizioni espressionistiche della guerra civile precorrono le tele di Emil Nolde e Otto Dix. Lucano si uccise a 26 anni su ordine imperiale, nel 65. Era complice dei Pisoni. Il suo genio è lugubre e visionario (cfr. furentis animi vaticinatio nel Satyricon, 118).
La deformazione delle cose nell’orrore si contrappone alle visioni idilliache proposte dal classicismo virgiliano.
L’assurdità delle cose, la natura versa deve risultare con ogni mezzo.
Stazio riconduce lo stile di Lucano alla Musa rudis di Ennio e al furor arduus di Lucrezio (Silvae, 2, 7, 75 - 7)
Nel dialogus di Tacito, Giulio Secondo dice che all’oratore si chiede poeticus decor che non deve però essere veterno inquinatus, saper di vecchiume, ma essere tratto dal sacrario di Orazio, Virgilio e Lucano sed ex Horatii et Virgilii et Lucani sacrario prolatus (20, 5)

La variatio dà au[[xhsi" ( amplificazione). Il suo distacco dalla tradizione a volte giunge alla vilitas verborum rimproverata da Eumolpo (Sat. 118, 4).
Lucano vuole essere l’Antivirgilio. Ha tragicizzato l’epica. Tende a promuovere il massimo effetto drammatico.

 E’ teatrale alla maniera di Seneca: la parola dà spettacolo.

Le passioni come ira e furor conducono le azioni allo scelus e al nefas . Lucano non descrive aristìe come Omero bensì massacri privi di senso come fa la storiografia tragica (cfr. Filarco).

 Le masse, come i Cori tragici, esprimono i giudizi dell’autore. I monologhi sono indirizzati al lettore, come nelle tragedie di Seneca. Sono scene stazionarie poiché non portano avanti l’azione.
Il personaggio commenta l’azione secondo l’ottica che lui stesso “deve” avere (cfr. ta; devonta di Tucidide).

I monologhi si possono collegare al genus deliberativum, cioè alla suasoria, congeniale alla famiglia degli Annei che aveva fondato la sua fortuna sull’arte della paola. Il vates fa interventi didascalici. Egli è onnisciente come le Muse che non ci sono più. Lucano si scaglia contro la sudditanza alla tirannide imperiale contro le guerre civili che hanno riempito Roma della feccia del mondo.
Nell’VIII canto, Lucano esecra la terra d’Egitto dove Pompeo è stato assassinato.
Ricorda con disgusto: “Nos in templa tuam Romana accepimus Isim/semideosque canes et sistra iubentia luctus/et quem tu plangens hominem testaris Osirim” (831 - 833) i sistri che segnano il tempo del pianto e Osiride che tu piangendo dimostri uomo.
(p. XXXVIII introduzione di Giovanni Viansino a Pharsalia , Mondadori 1995)

L’uomo moderno soffre di una personalità indebolita. Ha perso la sua identità “come il romano dell’epoca imperiale abbandonò la sua romanità rispetto al mondo che era a lui soggetto, come egli perdette se stesso sotto l’irrompere delle cose straniere e degenerò in mezzo al cosmopolitico carnevale di dèi, costumi ed arti, così deve accadere all’uomo moderno, che si fa preparare di continuo dai suoi artisti della storia la festa di un’esposizione universale; è diventato uno spettatore gaudente e peregrinante , ed è caduto in una situazione dove perfino grandi guerre e grandi rivoluzioni possono cambiare a malapena qualcosa per un momento”[1].
Noi italiani odierni stiamo perdendo la nostra cultura e la nostra identità attraverso le tre “i” decantate nel primo lustro degli anni 2000: inglese, internet, impresa.
L’inglese e internet li ho usati anche io, ma sempre mirando al fine della cultura, dell’educazione, del mevgiston mavqhma platonico, il massimo oggetto di scienza che è l’Idea del Bene.
cfr.Platone, Repubblica, 505a: "hJ tou' ajgaqou' ijdeva mevgiston mavqhma".

Ivano Dionigi dedica a “Le tre “i” la riflessione 66 del suo Parole che allungano la vita: “Alla scuola, il luogo dove si formano “cittadini” e non “utili impiegati” (Friedrich Nietzsche), spetta indirizzare i ragazzi secondo un’altra triplice i “ intelligere, cogliere i problemi nella loro profondità e interezza; interrogare, educare alle domande e ai dubbi; invenire , “scoprire” conoscere la storia dei giorni passati e immaginare nuovi stili di vita per i giorni a venire. La scuola si deve muovere nell’orizzonte dei fini, del tempo, del futuro” (p. 90)


Pubblicato fin qui 27 luglio 2020

giovanni ghiselli, Pesaro 27 luglio 2020, ore 10, 15

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[1] Nietzsche, Utilità e danno della storia, 5

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