mercoledì 8 luglio 2020

La prossima conferenza: Fëdor Dostoevskij. Quinta parte

Gustave Courbet, Il Disperato
Delitto e castigo

Argomenti:
Prostituzione stradale e prostituzione matrimoniale.
I segni
Sonja porta soldi ma deve spenderne molti per le sue pomate, l’igiene intima, poi “anche lei potrebbe trovarsi all’asciutto perché è sempre una cosa aleatoria la caccia ai merli!” dice il padre (30).
Battuta comica, aristofanesca

Anche R gode del proprio abbrutimento. “si era completamente appartato da tutti, rinchiudendosi come una testuggine nel suo guscio.
 Torna nella stanza armadio dove trova una lettera della madre Pulcheria che come la sorella Dunja lo adora: “tu sei il nostro tutto, la nostra unica speranza (p. 34)”.
Dunja è bella e ha un pretendente benestante Petr Petrovic Lùžin  consigliere di corte, un uomo di aspetto abbastanza gradevole di 45 anni. Durante una visita, L aveva detto che era deciso a sposare una ragazza onesta ma senza dote in quanto è bene che la moglie consideri il marito quale suo benefattore (41). La sorella sposa L per aiutare il fratello.
R legge la lettera della madre e si sente più che mai avvilito. Non vuole che quel matrimonio si faccia con il sacrificio della sorella per lui. Se avesse incontrato L lo avrebbe ucciso
Pensa che la sorte di Dunja non sarebbe migliore di quella di Sonja.
Cfr. il matrimonio come prostituzione legalizzata
Ricordo C. Pavese il quale nega ogni possibilità di benessere nello stare con la donna: "E' carino e consolante il pensiero che neanche l'ammogliato ha risolto la sua vita sessuale. Lui credeva di godersela ormai virtuoso e in pace, e succede che dopo un po' viene il disgusto della donna, viene un sòffoco come di prostituzione soltanto a vederla. Ci si accorge allora che con la donna si sta male in ogni modo"[1]. E ancora: "Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate le compagnie - torna la feroce gioia, il refrigerio di esser solo. E' l'unico vero bene quotidiano"[2].
La prostituzione con L. sarebbe come quella di di Sonja e forse ancora più sordida e abietta.
R. incontra un’adolescente ubriaca con il vestito strappato
Era una ragazzina estremamente giovane sui sedici, forse solo 15 anni con un visino minuto, grazioso ma infiammato e gonfio, i capelli biondicci
 E ‘seguita da un bellimbusto e R. lo attacca. I due stanno per scontrarsi ma arriva una guardia che dice di occuparsene lui. Chiama il molestatore Svidrigajlov, un signore che sembra sulla trentina robusto, grasso, bianco e rosso come una mela (53)
Rimasto solo l’ex studente va a trovare Razumichin un vecchio compagno di università, un giovane allegro, esuberante, buono sino al candore. Nessun insuccesso lo turbava mai (58)
In piazza Sennàja vede Lizaveta Ivanovna la sorella minore dell’usuraia Alëna dalla quale il giorno prima era andato a impegnare l’orologio e a fare la sua prova. Lizaveta era una zitella alta e goffa, timida e buona, quasi un’idiota, sui 35 anni. Viveva in casa della sorellastra in condizione di schiavitù. Erano figlie di madri diverse.
Sentì che un bottegaio e la moglie invitavano Lizaveta da loro per la sera dopo, verso le sette. Dunque Alëna sarebbe stata sola in casa a quell’ora.
A R il caso di aver avuto questa notizia sembrò un segno del destino.
Un segno vocale e casuale tipo Cauneas per Crasso in Plutarco.

Excursus sui segni
Gli autori e i personaggi religiosi  riconoscono validità ai segni degli uccelli: Plutarco nella Vita di Tiberio Gracco  racconta che poco prima della morte del tribuno si videro dei corvi che si azzuffavano sulla sinistra del tetto di casa ("w[fqhsan uJpe;r keravmon macovmenoi kovrake" ejn ajristera'/" , 17, 4) e uno di loro fece cadere una pietra ai piedi del tribuno.
Ennio negli Annales  racconta che Romolo e Remo scrutavano il cielo e attendevano segni dagli uccelli per sapere "uter esset induperator " (v. 78 Skutsch), chi dei due sarebbe stato il capo. Romolo, come si sa, ebbe l'auspicio favorevole:"et simul ex alto longe pulcerruma praepes/laeva volavit avis: simul aureus exoritur sol./Cedunt de caelo ter quattuor corpora sancta/avium, praepetibus sese pulcrisque locis dant./ Conspicit inde sibi data Romulus esse priora, auspicio regni stabilita scamna solumque ", vv. 86 - 91, e subito dall'alto un uccello, di gran lunga il più bello, di buon augurio, si mostrò in volo da sinistra: subito sorge il sole d'oro. Scendono dal cielo tre volte quattro corpi santi di uccelli, e si dirigono a luoghi fausti e belli. Quindi Romolo vede che l'auspicio ha dato a lui la supremazia, il trono e il dominio del regno.  

Tacito nota che pure tra i Germani è noto il famoso uso di interrogare le voci e i voli degli uccelli ("Et illud quidem etiam hic notum, avium voces volatusque interrogare", 10, 2).

Un uccello di cattivo augurio è la civetta in Nietzsche: "Un tempo agognavo auspici di felicità: e voi mi faceste attraversare la strada da una civetta mostruosa e ributtante"[3].

L’imperatore Giuliano era un attento osservatore dei segni. Ammiano Marcellino commenta questa attenzione di Giuliamo scrivendo che gli auspici si traggono dagli uccelli non perché loro conoscano il futuro sed volatus avium dirigit deus (21, 1, 9).

I segni possono venire anche da voci umane. “Soprattutto, si sa in quale conto i Romani tenessero i loro omina vocali, ugualmente presagi di voci còlte al volo, frasi ingenue, involontarie, che pure contenevano un messaggio profondo e spesso fondamentale per la persona a cui erano dirette”.
Per l’etimologia di omen Bettini rimanda a E. Benveniste, il quale scrive: “La formazione di ōmen presenta una difficoltà: il tema si trova ridotto alla vocale ō - . Questo lascia alla restituzione parecchie possibilità, che sono state di fatto proposte dagli etimologisti senza che nessuna sia parsa dimostrabile. Ma abbiamo ora un accostamento che permette di spiegare senza sforzo il senso e la formazione di ō - men. Il radicale lat. ō -  può paragonarsi direttamente al tema verbale itt.  - ‘credere, considerare vero’; di conseguenza ōmen s’interpreterà come ‘dichiarazione di verità’. Una parola fortuita, pronunciata in una circostanza decisiva, potrà essere accettata come ōmen, come presagio vero, come segno del destino. Sarà una parola di buon ‘augurio’, annunciatrice della sorte. Parecchi esempi sono riportati da Cicerone (De divinatione I 46)”[4].
Torniamo a Bettini: “Anche in questo caso bisognava però saper riconoscere il valore soprannaturale della “voce”, quando si manifestava. Crasso, per esempio, non riuscì a comprendere che il venditore di fichi Cari - il quale gridava Cauneas! Sulla banchina del porto di Brindisi - non stava semplicemente facendo pubblicità alla sua merce, gridando “vendo fichi di Cauno!”, come si poteva pensare. Niente di tutto questo. Il venditore lo diffidava nientemeno dal prendere il mare verso la sua propria morte: cau’ n(e) eas! “non andare”, stava infatti gridando - ovviamente secondo la pronunzia apocopata dell’imperativo cave che si usava nel latino parlato[5]. Ma Crasso non se ne accorse. Il problema era che, per sua disgrazia, non se l’aspettava”[6].

Il giovane fin dal primo incontro con l’usuraia aveva provato una ripugnanza invincibile. Gli era venuta subito una strana idea che accarezzava con curiosità. Uscito da quella casa era entrato in una trattoriuccia di infimo ordine e aveva sentito due uomini: uno studente e un ufficiale parlare della strozzina come di una strega, una che, pur piccola e magra picchiava la sorella  che era alta un metro e ottanta a dir poco.
Dicevano che Lizaveta era una zitella terribilmente malfatta, altissima, con certi piedacci lunghi e un po’ rivolti in fuori . Tuttavia curava la pulizia personale e restava continuamente incinta. E’scura di pelle tanto che sembra un  soldato diceva lo studente, ma non è un mostro. Ha gli occhi e il viso molto dolci, e ha un bel sorriso. Piace a tanti per la sua stranezza. Io quella maledetta vecchia la ucciderei e la deruberei senza il minimo rimorso aveva aggiunto lo studente. Poi: “pensa un po’, da un lato una vecchietta assurda, miserabile, cattiva, malata, inutile anzi dannosa, che non sa perché vive, e comunque presto morirà. Ucciderla per aiutare decine di famiglie dalla miseria, dalla corruzione, dalle malattie veneree. Una sola morte e cento vite in cambio: ma questa è matematica! La vita di quella vecchia tisica, stupida e malvagia non conta più di quella di un pidocchio e di uno scarafaggio, anzi meno perché la vecchia è dannosa, rovina la vita agli altri. Giorni fa, per la rabbia, ha morsicato un dito alla sorella al punto che dovettero quasi amputarglielo.
R. notò che gli stessi pensieri stavano germogliando nella sua mente. Questa coincidenza gli sembrò una indicazione (74). Il segno ricevuto è completato dall’attenzione e dall’accettazione di chi lo ha visto o udito.

giovanni ghiselli


[1] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 8 agosto 1944.
[2]C. Pavese, Il mestiere di vivere, 25 aprile, 1946. La gioia feroce della solitudine è anche quella del Misantropo di Menandro: Cnemone, come vede Sostrato davanti alla porta di casa sua  invoca il suo bene supremo:" ejrhmiva" oujk e[stin oujdamou' tucei'n " (v.169) non è possibile ottenere la solitudine da nessuna parte!
[3]Così parlò Zaratustra , p. 134.
[4] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, II, p. 478.
[5] Questo celebre caso di omen è riportato da Cicerone, De divinatione, 2, 84.
[6] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 7.

Nessun commento:

Posta un commento

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...