venerdì 17 luglio 2020

La prossima conferenza: Fëdor Dostoevskij. Sedicesima parte


Argomenti:
Svidrigailov e Dunja. Peripezia e suicidio di Svidrigailov

I due uscirono e si separarono (546)
Poi però Raskolnikov segue Svidrigailov e lo avvicina solo per dirgli non deve più avere delle mire sulla sorella.
In effetti più tardi Sv incontra Dunja e la invita a salire in casa sua per rivelarle un segreto sul fratello. Salgono e lui le dice di avere origliato mentre le mostra le stanze. Le aveva già scritto una lettera dove alludeva a un delitto commesso dal fratello. Le racconta quanto ha sentito origliando: R ha ucciso due donne.
Le espone anche la teoria del fratello: il fascino esercitato da Napoleone, l’immaginazione di essere un uomo di genio, un legislatore per gli altri uomini che sono il materiale grezzo, i rifiuti.
I Russi sono gente larga come la loro terra e inclini al fantastico e al disordine, ed è un guaio essere larghi senza essere particolarmente geniali
Dunja conosce l’articolo del fratello. Gliel’ha portato Razumichin.
Sv promette di salvarle il fratello con i soldi e le conoscenze e le chiede di poter baciare l’orlo del vestito il cui fruscio lo fa impazzire. Dunja cerca di fuggire ma la porta è chiusa a chiave e Sv la minaccia. Dunja tira fuori una rivoltella che aveva preso in casa di Marfa
“Lo so che sparerai, graziosa belvetta. E allora spara!”
Dunja spara e il colpo scalfisce la pelle del cranio di Sv.
Sv si avvicina, Dunja preme di nuovo il grilletto ma l’arma fa cilecca,
Sv disse: ricaricatela ancora, io vi aspetterò.
D gettò via la rivoltella. Sv le cinse la vita e la ragazza disse “lasciami andare” con un tono supplicante. Sv fu colpito da quel tu e le diede la chiave per uscire (ha visto una figlia).
Sv uscì con la pistola in tasca e andò in vari postacci schifosi finché trovò Katja, la ragazzetta istriona, cui offrì da bere. Poi si recò da Sonja. Le dà 3000 rubli e manda saluti a Razumichin da parte di Arkàdij Ivànovič Svidrigàjlov. Poi andò a trovare la fidanzatina che però era andata a dormire. Parlò con la madre, poi volle vedere la fanciulla. Le disse che doveva partire e le lasciava 15mila rubli con titoli vari. Quindi Sv andò a camminare sul prospekt. In fondo al corso vide un edificio di legno, entrò e chiese una stanza a uno straccione incontrato nel corridoio. Ebbe una camera afosa e angusta, chiese della vitella e del tè. Lo straccione si allontanò deluso. La stanza era uno stambugio, il letto orrendamente sudicio.
Sentì rumore e guardò attraverso una fessura quello che succedeva in una camera attigua: uno in posa da oratore e dandosi dei pugni sul petto rimproverava l’altro di essere un pezzente, nonostante il suo aiuto.
Quello che ascoltava sembrava che avesse una gran voglia di starnutire, senza riuscirci. Sulla tavola c’era una caraffa di vodka quasi vuota, bicchierini, pane, bicchieri grandi, cetrioli e tazze per il tè vuote
Lo straccione di prima tornò con il tè e la carne di vitella. Sv si sentiva la febbre, si avvolse nella coperta e pensò: vorrei sentirmi meglio per l’occasione. In un angolo si muoveva un topo. Pensa a Dunja al momento in cui aveva provato compassione per lei. Un topo gli toccò una gamba. Gli appaiono immagini.

Il sogno di Svidrigailov
 Sogna: vede un luogo pieno di fiori, poi, in una bara, una bambina di 14 anni che si era uccisa dopo avere subito un oltraggio. Apre la finestra, prende freddo, cadeva una pioggia gelata, sente un colpo di cannone, “il segnale della piena”, pensa. Si vestì e uscì nel corridoio per scovare lo straccione che doveva essersi addormentato in qualche bugigattolo, tra ciarpame d’ogni sorta e mozziconi di candela (cfr. Kafka Il processo). Voleva pagare. Girando per il corridoio vide una cosa bizzarra che sembrava viva: era una bambina di non più di cinque anni con un vestitino che sembrava uno straccio per pavimenti. Tremava e piangeva. Lo guardava con due grandi occhi neri pieni di ottuso stupore, singhiozzava ogni tanto ed era intirizzita. Temeva di prendere le botte dalla madre, forse una cuoca eternamente ubriaca. Sv la portò nella sua stanza, le tolse i vestiti bagnati e la coprì, l’avvolse in una coperta. Ma poi c’è una metamorfosi: la bambina assume il volto e i gesti di una prostituta e Sv si sveglia.
Ha sognato le proprie perversioni piene di contraddizioni.

Erano le cinque e fuori c’era la nebbia. Le mosche ormai sveglie si erano appiccicate alla carne di vitella. Diede la caccia a una mosca ma poi si rese conto a quale interessante operazione si stava dedicando e uscì. C’era una nebbia fitta e lattiginosa.
Un individuo ubriaco fradicio con addosso un pastrano era disteso bocconi attraverso il marciapiede. Poi passò vicino alla torre dei pompieri. Davanti al cancello c’era un ometto imbacuccato in un pastrano, un cappotto da soldato, con in testa un elmo di rame simile a quello di Achille. Si osservarono “Sul suo viso si leggeva quell’eterna, cupa tristezza che è così crudelmente impressa su tutti i volti di razza ebraica[1], senza eccezione” (577)

Achille gli chiese che cosa cercasse. Sv rispose che se ne andava in America, poi tirò fuori la pistola e si sparò (578)

giovanni ghiselli


[1] Cfr. Saba:
 “ Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erbe, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
Al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentivo
Gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentivo querelarsi ogni altro male
ogni altra vita”.

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