martedì 7 luglio 2020

Banalità, occultamento della verità e il mito platonico della caverna

L’intervista
Recalcati: “Coraggio, il virus ci ha feriti ma l’anima ha resistito".
“Anima e contagio” è il tema di cui parlerà lo psicoanalista Massimo Recalcati venerdì, in chiusura della Repubblica delle Idee, quasi a riassumere la tre giorni di dibattiti”
(Valerio Varesi, “la Repubblica”,  5 luglio 2020, pagina 11).

“Il virus ci ha feriti ma l’anima ha resistito” è  una banalità e pure un occultamento della verità che è ajlhvqeia ossia  “non latenza”.
Il virus infatti non ha trattato tutti nello stesso modo.
Molti di noi ha chiuso in casa, altri li ha mandati negli ospedali, altri ancora li ha feriti, nell’anima e nel corpo,  poi li ha uccisi.
Quelli che scrivono o dicono menzogne e banalità come certi pseudo scienziati e tali psicoanalisti sono stati lasciati nella caverna dove si trovavano già prima del virus.
Ricordo il più noto  mito platonico per chi non lo conoscesse o l’avesse dimenticato.

Socrate parla a Glaucone e gli dice: considera gli uomini rinchiusi in una specie di abitazione sotterranea, cavernosa, a grotta (ejn katageivw/ oijkhvsei sphlaiwvdei,   Platone, Repubblica,  514 a). L’ingresso è aperto alla luce ma poi, scendendo, si trovano  uomini che sono prigionieri  fin da fanciulli, incatenati nel collo e nelle gambe in modo che possano guardare solo verso il fondo della caverna. Dietro di loro c’è un muro, poi dietro ancora una strada. Su questa strada passano uomini che hanno sulle spalle arnesi di ogni genere che sporgono oltre il muro: statue, animali di pietra e di legno  (zw`/a livqinav te kai; xuvlina).

Ancora dietro questi c’è la luce di un fuoco alto e lontano fw`````" puro;" a[nwqen kai; povrrwqen (514b).

I prigionieri vedono solo le ombre riflesse dal fuoco sulla parete di fondo.

Costoro credono che quelle ombre (skiav") siano la realtà (to; ajlhqev").
Se uno di loro venisse slegato e costretto ad alzarsi e a guardare la luce del fuoco e gli oggetti, rimarrebbe abbagliato e riterrebbe le ombre più vere degli oggetti che tornerebbe a guardare perché gli farebbero male gli occhi.

Se poi venisse portato fuori pieno di riluttanza non riuscirebbe a vedere niente. Ma in seguito un poco alla volta si abituerebbe a vedere prima le ombre, poi i riflessi nell’acqua, quindi gli oggetti stessi, poi il cielo notturno, la luna e le stelle. Infine il sole. E capirebbe che il sole produce le stagioni e gli anni, e sovrintende a tutto quanto c’è nel mondo visibile  (pavnta ejpitropeuvwn ta; ejn tw'/  oJrwmevnw/ ) ed  è la causa di tutto quanto vedono.

A questo punto si ricorderà dei compagni di schiavitù e li commisererà.
E penserebbe quello che dice Achille a Odisseo nell’Ade (Odissea XI, 489). Se tornasse nella caverna, gli occhi gli si riempirebbero di tenebra.
Gli ottenebrati direbbero che l’ottenebrato è lui, e se  cercasse li liberarli per farli uscire, lo ammazzerebbero.
Questo mito, spiega Socrate, significa che il mondo dove viviamo è una prigione e il sole è quel fuoco e noi vediamo solo ombre.

giovanni ghiselli

p.s. Il mio blog cerca di togliere la maschera alle persone e pure alle cose:nam verae voces tum demum pectore ab imo/eliciuntur <et> eripitur persona, manet res" (Lucrezio, De rerum natura, III, 57-58), infatti le parole autentiche allora finalmente escono dal fondo del cuore e si strappa la maschera, rimane la sostanza.

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