giovedì 9 luglio 2020

La prossima conferenza: Fëdor Dostoevskij. Sesta parte

San Pietroburgo
L'assassinio

Argomenti:
L’assassinio delle due donne. In giro per San Pietroburgo. Nel commissariato. L’accendersi e spengersi intermittente di stati emotivi contrastanti come in quattro tragedie di Sofocle.
Bevande e vivande tipicamente russe, e i cibi afrodisiaci consigliati da Ovidio.  

Raskolnikov tornò nello stambugio, dormì e fece un cappio per reggere la scure da tenere nascosta sotto il soprabito di cotone, appesa  sotto l’ascella. Il soprabito era largo, un vero sacco. Con una mano in tasca teneva ferma la scure. Preparò anche un falso pegno.
Non poteva più tornare indietro, come se un lembo di un suo vestito si fosse impigliato nell’ingranaggio di una macchina.
Cfr. il destino, la series causarum di Seneca.
 Il delitto, pensava, viene scoperto se c’è un indebolimento della volontà e dell’intelletto, mentre egli li avrebbe conservati del tutto inalterati. Ci sarebbe riuscito perché il suo non era un delitto (89).
Ma velle non discitur (Seneca, Ep. 81, 13) non si impara a volere.
Perde qualche minuto perché in cucina c’era la serva Nastasja e quindi deve prendere la scure dallo sgabuzzino vuoto del portinaio. Arrivò che erano le sette e mezzo. Suonò 3 volte poi la porta venne aperta. Due occhi pungenti e sospettosi lo fissavano nel buio.
R nella donna vede un serpente.  Colpisce la vecchia in testa più volte con il rovescio della lama mentre lei scarta il finto pegno.
Prende un borsellino, poi oggetti d’oro ma arriva Lizaveta terrorizzata.
 R le assesta un colpo di taglio e le spacca il cranio.
Infine riuscì ad allontanarsi dalla casa non visto e a infilare un vicolo. Ma era tutto sudato e un passante gli gridò dietro: “che sbronza!” Rimise la scure al suo posto, sotto la panca del portinaio che non c’era.

Nastasja e il portinaio gli portano l’avviso che deve recarsi all’ufficio di polizia. Il cinismo della rovina si impadronì di lui: purché finisca presto.
Fuori c’era un caldo insopportabile, tanfo di bottegucce e di bettole, ubriachi, venditori ambulanti finlandesi e polacchi malvestiti.
Natura moribonda se non proprio morta. R ha gli occhi puntati sul negativo.
Pensava: entrerò, mi inginocchierò e racconterò tutto” (107). Inginocchiarsi è un topos gestuale frequente in Dost. (Cfr. I Karamazov)
Ma l’avviso era solo un’ingiunzione di pagamento dell’affitto.
Il suo istinto di conservazione allora per un istante  trionfò, la sensazione di essere scampato a un pericolo incombente gli diede un minuto di gioia animale.
Cfr. Sofocle e gli stasimi gioiosi che precedono la catastrofe.

In quattro tragedie, e cioè Antigone, Aiace, Edipo re, Trachinie, poco prima della catastrofe, il Coro, convinto o illuso che le cose stiano cambiando in meglio, si abbandona a una danza allegra, l'iporchema. Teatralmente è una trovata geniale. Il pubblico che è, per così dire, preveggente in quanto conosce la trama della vicenda, soffre per la cecità del Coro, per la sua incapacità di prepararsi al peggio…La tragedia di Sofocle è il resoconto di un assedio a cui il protagonista è sottoposto, per lo più in modo terribile, e che si conclude con l'espugnazione del suo mondo. Si può individuare una linea che ora ascende e ora discende, c'è un momento in cui l'eroe sembra spuntarla sul male e sui nemici. Almeno così ritiene il Coro in quattro tragedie su sette. Il suo comportamento sottolinea l'inadeguatezza della ragione umana nel cogliere i movimenti profondi del divenire"[1].

Poi però R prova un nuovo sentimento e gli viene voglia di confessare tutto al commissario Nikodìm Fòmič, ma quando sente che parla con il suo vice Iljà Petròvič dell’assassinio delle due donne, l’assassino sviene.
Quindi pensa che sospettino di lui.
R  tornò nella sua stanza a prendere la roba rubata che aveva nascosto in un buco del muro sotto la tappezzeria. Voleva buttare via tutto,  e si aggirava lungo il canale Ekaterininskij, ma c’era un brulicare di gente che poteva vederlo , lavandaie inginocchiate, barche all’ormeggio. Decise che era meglio arrivare alla Neva.
 Si avviò verso la Neva per la V prospettiva, pensando che forse la cosa migliore era  sotterrare la roba in un boschetto sulle Isole. Ma sbucando dalla prospettiva in una piazza notò un cortile oltre un portone aperto. Entrò e vide una grossa pietra. Nessuno lo vedeva: sollevò la pietra, sotto c’era una piccola cavità dove mise la roba rubata. Tornò in piazza ed ebbe un altro momento di gioia intensa, quasi insopportabile. Rideva mentre camminava. Poi lo invase la rabbia passando davanti alla panchina dove si era seduto il giorno prima, pensando al poliziotto cui aveva dato 20 copeche, e anche per quanto ha visto e fatto nell’ufficio (p. 123)
Si chiede come mai non abbia nemmeno aperto il borsellino dopo un’azione così vile, disgustosa e bassa. “Deve essere perché sono molto malato”. Sentiva una repulsione smisurata, quasi fisica per tutto quanto lo circondava. Andò a casa di Razumìchin. Poi ne uscì senza avere detto quasi niente. Per strada si prese una frustata da un cocchiere di una carrozza cui ostruiva il passaggio, e una mercantessa gli fece l’elemosina, un obolo di 20 copeche. Si affacciò sulla Neva che aveva l’acqua quasi azzurra, cosa che capita di rado. Vedeva la cupola della cattedrale e il cielo del tutto senza nuvole. In quella veduta stupenda avvertiva la presenza di uno spirito muto e sordo. Provava un’impressione cupa e arcana che non riusciva a risolvere poiché non aveva fiducia in se stesso. Pensava al passato. Gettò la moneta in acqua e si avviò verso casa. Era già sera. Si mise a dormire tremando in tutto il corpo, come un cavallo esausto.
 Sogna che c’è una rissa e il vicecommissario picchia la padrona di casa.
Stette male in stato di semi incoscienza per qualche giorno
Razumichin va a trovarlo. La madre gli manda dei soldi, la padrona di casa, una mora grassoccia e piacente lo tratta bene. Nastasja, l’nserviente della padrona, lo imbocca addirittura e lui lascia fare dissimulando la guarigione per osservare e capire che cosa stesse succedendo. Razumichin ha messo insieme una relazione con Pàšenka la padrona di casa: “è costruita a dovere, sia di sopra che di sotto”.
Sentilo il porco” disse Nastasia molto divertita
Pàšenka dice di averne 36 e ne ha diritto, ma ne ha 40.
Razumichin che ha assistito R nella malattia dice all’amico che nel delirio parlava del portinaio, del commissario, di calze, di frange di pantaloni
Poi gli dà un cappello: è l’indumento principe, dice, una specie di raccomandazione. Quindi gli porge  vestiti, usati ma decorosi. Compràti con  i soldi mandati dalla mamma.
Arriva Zosimov un giovane medico di 27 anni, vestito elegantemente e ben curato. La presunzione accuratamente nascosta traspariva in lui di continuo. Come medico era considerato. Razumichin dice che vuole inaugurare il suo nuovo alloggio offrendo agli amici tè, vodka e aringhe poi un pasticcio di carne.

 Bevande e cibo che non sono annoverati tra gli afrodisiaci dai latini
Nell'Ars amatoria Ovidio consiglia questi cibi afrodisiaci a chi non deve risparmiare i lombi:"bulbus et, ex horto quae venit herba salax/ovaque sumantur, sumantur Hymettia mella/quasque tulit folio pinus acuta nuces" ( II, 422 - 424), si prenda la cipolla, e la rucola eccitante che viene dall'orto, le uova e si prenda il miele dell'Imetto e i pinoli che produce il pino dalle foglie aghiformi.



[1] U. Albini, Nel nome di Dioniso, p. 51 e p. 251.

Nessun commento:

Posta un commento

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...