sabato 4 luglio 2020

Dopo Päivi I. Il primo anno di insegnamento nel liceo classico


liceo Rambaldi di Imola
Il primo anno di insegnamento nel liceo classico

Riprendo il racconto dalla fine della storia di Päivi (La storia di Päivi. Capitolo 31. Epilogo).
Torniamo dunque al pianto sulla terrazza del casinetto del tennis. Era la sera del 15 agosto 1975. Il giorno seguente tornai a Pesaro, e sulla trilogia finlandesi misi per lungo tempo sarcofago.
In settembre ricevetti l’incarico di greco e latino nel triennio del liceo Rambaldi di Imola diretto da un preside gentiluomo: Davide Ciotti. Dovetti studiare molto per farmi ascoltare con attenzione da quelle ragazze e quei ragazzi che avevano una decina di anni meno di me. Alcuni erano già molto informati e ben preparati da un bravo docente di filosofia, assai reputato da loro. Volevo arrivare a essere stimato almeno quanto quel collega: Gabriele Bonazzi Tendo a nominare le persone probe non meno degli improbi per manifestare stima e gratitudine ai buoni, in loro onore, e menzionare i malvagi perché la loro nequizia giri in infamia per il mondo. Gli innominati sono gli ignavi, gli indifferenti, i noiosi, forse il peggio dell’umanità. Non ci insegnano niente.
Con lo studio matto eppure speranzosissimo degli otto mesi di quell’anno scolastico la mia visione della vita osservata con prospettiva maggiore si ampliò, e perfino il significato delle parole cambiò rispetto all’ignoranza e all’incoscienza di prima. Soprattutto nel caso di alcuni termini chiave come amore, lavoro, bellezza, giustizia. Vedremo come.
Intanto il lavoro divenne un accrescimento, mio e di chi mi ascoltava, ottenuto attraverso un impegno di preparazione che sacrificava ogni altra attività giornaliera: tornavo a casa, a Bologna da Imola, mangiavo e studiavo tutto il pomeriggio ogni giorno, talora anche dopo la cena immeritata, fino a mezzanotte, compresi i dì di festa anche solenne. La preparazione ricevuta dallo studio precedente era bastata per i ragazzini delle medie e dell’Istituto professionale femminile di Mezzolara, ma non era sufficiente per farmi ascoltare da quegli studenti del liceo classico di quel tempo e quel luogo: era ancora una scuola eletta. Per quanto riguarda l’amore, questo era tutto indirizzato alla crescita attraverso lo studio specializzante e non mi restava libido da indirizzare su altro, nemmeno sull’ascesi pagana dello sport. Infatti fino a tutto maggio, a forza di desinare e cenare immeritatamente, ingrassai.
Ricordo che verso la fine di maggio, una sera allietata dai voli delle rondini e del loro strepitoso garrire che mi sembrava il tripudio di una festa grata alla vita, mi affacciai a una finestra dello studio e, osservando il sole occidente e pure sicuro di resurrezione, mi dissi: “ce l’ho fatta. E’ stato molto duro, faticoso fino allo stremo delle forze, ma ce l’ho fatta”. Ero perfino ingrassato per carenza di movimento fisico mentre con quello mentale avevo scalato montagne alte e impervie assai. In giugno recuperai la linea da asceta con tanto di vita da torero attraverso digiuni, corse a piedi e pedalate in salita, poi in luglio, nel luglio del 1976, tornai a Debrecen.

giovanni ghiselli

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