giovedì 17 aprile 2025

Ifigenia LVI. L’inverno a Pesaro 6. La pacificazione.


 

La sera dopo la cena amorevolmente peparata dalle due zie guardavo la televisione in loro compagnia. A un tratto comparve l’immagine di una femmina babilonica che orrendamente truccata diceva parole senza senso,  pronunciandole con prepotenza canagliesca. Le sorelle di mia madre si agitavano sulle sedie per il disgusto. Una zia disse: “vedi quella Gianni?  Stai attento: il mondo ne è pieno!”. “Lo so già, l’ho capito oramai, non preoccuparti”, cercai di assicurarla quasi umiliandomi.

Intanto però pensavo con accoramento doloroso alla bella creatura che forse mi stava sfuggendo.

Volevo concentrarmi sugli ostacoli che dovevo saltare per procedere sulla via del riscatto dall’umiliazione e frustrazione subìta nel lavoro all’inizio dell’anno scolastico. Ho sempre reagito alle difficoltà, agli insuccessi e alle disgrazie opponendovi tutte le mie forze, fin da bambino  e questa volta non potevo essere da meno. Mi alzai, mi scusai, diedi la buonanotte alle zie e mi incamminai verso il mare.

 Un cammino breve e privo di inciampi.

Eppure sentivo un acuto dolore nel petto. Capivo di avere ancora bisogno di Ifigenia siccome in quella ragazza splendente vedevo incarnata la quintessenza della natura radiosa e trionfante sull’ottuso grigiore dei pensieri e degli atti comuni  diffusi siccome funzionali al sistema.

Avevo bisogno del soccorso di quella giovane collega inusuale, probabilmente libertina, perché mi liberasse dall’oppressione inflittami periodicamente dai miei guardiani e aguzzini che volevano tenere schiacciati i miei istinti vitali e mentali sotto il peso dei sensi di colpa.

Fin da bambino mi piacevano il sole della nuda estate incoronata di spighe, mi piacevano molto le donne, mi piaceva pensare con la mia testa e approvare o disapprovare con i gusti miei anche se mi dicevano che questo era male e mi avrebbe portato alla rovina.

Dovevo tenere duro, come sempre ho fatto.  Difendere la mia identità per quanto anomale e strana. Più che normale era, egregia, e questo ai mediocri asserviti non è mai andato giù.

Giunsi di nuovo sulla riva del mare. I venti si erano quasi placati. Il cielo a occidente era sereno ma avanzava da Fano, Fanum Fortunae una nebbia salata che ottundeva le stelle e inebetiva la luna. “Fortuna è una vox media- pensai- e voglio volgerla al meglio. Devo dissipare la nebbia del cuore e del cervello. Devo capire gli antichi dolori. Devo riprendere a parlare con la natura: il mare, i monti, i fiumi,  il cielo cui mi rivolgevo chiedendo aiuto e lumi  quando ero bambino qui a Pesaro, a Moena, a Montegridolfo, a Potenza Picena fissando Recanati e recitando a memoria i versi di Leopardi che mi riguardavano. Erano stati scritti per quelli come me.

 Da adolescente ho cercato e raggiunto successi effimeri, locali, svaniti alla fine del liceo pesarese. Allora mi sono messo di traverso sulla mia strada  ostacolando me stesso, infelice, e impedito di fare qualsiasi cosa buona. Ma con il volgersi delle stagioni ho recuperato parte delle mie forze grazie all’aiuto di persone oneste, di amici cari che mi hanno accettato pur diverso e strano com’ero, di donne buone e del tutto accoglienti, quindi ho acquisito potenza professionale e mentale  attraverso tre anni di studio continuo e indefesso. Da quando c’è Ifigenia, la mia vita è diventata più piena e più lieta. Ora è tempo di togliere  tutti gli ostacoli costituiti dai pensieri angosciosi che la casa di Pesaro fa riaffiorare con gli antichi dolori.

Non è probabile che quel fantasioso ragazzo menzionato nella telefonata orribile  sia un genio. Non ce ne sono tanti nemmeno su tutta la terra. Se Ifigenia è come appare nei suoi momenti migliori, non si accontenterà di uno da meno di me. Se troverà di meglio, farò i complimenti a lei e a lui.

Quindi troverò di meglio anche io”. Notai  che la nebbia intanto era sparita dietro la  Panoramica del monte San Bartolo,  spinta dal vento già fino a Focara.

 

Tornai a casa. Durante il breve cammino pensai che avevo sempre preso a modello  i successi del passato in modo che si ripetessero in vicende più avanzate e determinanti. Le due Elene per esempio. Le medie e il Liceo. Poi le borse di studio, quelle solo scolastiche e quelle amorose: le donne. Anche gli errori e i fallimenti del resto erano stati educativi: mi avevano insegnato a evitare che si ripetessero.   

Pensato questo, feci una danza pirrica davanti alla porta, tanto dormivano tutti, quindi andai a dormire anche io pacificato e sereno

 

Bologna 17 aprile 2025 ore 9 e 7  giovanni ghiselli

p. s.

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