venerdì 18 aprile 2025

Ifigenia LVIII. “Mille torbidi pensieri/mi s’aggiran per la testa”. Santo Francesco mi appare in sogno e parliamo.


 

Il freddo chiudeva le nostre bocche imbavagliate dalle sciarpe che restringevano  anche la visuale: ciascuno stava rinchiuso nel proprio giaccone, pelliccia o pastrano che fosse: anche  la testa e  gli interi visi cagnazzi tenevamo riparati dal gelo con i baveri alzati fino agli occhi. Pensavo fervidamente a Ifigenia per sentire un po’ di calore che mi salvasse la vita finché non avessi trovato un riparo.

Un riscaldamento del corpo e un afrodisiaco per il cervello.

 Immaginavo di tenere appoggiata la testa intirizzita tra le cosce calde di lei dove potesse rinvigorire e pensare alla vita non umiliata dal ribrezzo mortificante dell’aria.

Quindi sognavo di succhiarle il seno traendone un latte dolce di amoroso conforto e di miele anche perché avevo fame siccome ero digiuno dalla sera prima secondo la mia frugale abitudine di non mangiare fino alle 9 di sera e oltre,  se durante il giorno non ho potuto fare del moto impegnativo e dispendioso di calorie.

La deformità dei venti anni sciagurati mi aveva  insegnato a non desiderare  razioni immeritate di cibo.

 

Ai pensieri amorosi del resto, mentre si allungavano le ombre della sera, precoce succedevano pensieri denigratori: “No, Ifigenia non è della mia levatura: è troppo frivola, vana, civetta: mi rende geloso. Un amore non deve essere un cancro”. Ogni tanto rivolgevo un sorriso agli amici Lidia e Silvano, ma senza smettere di redarguire da lontano l’amante assente: “Tu mi rendi geloso. Dai il tuo numero di telefono al primo tanghero che ti ferma per strada. Così mi disonori. Tu mi rendi furioso”.

Però poi mi correggevo: “No, fai come ti pare, tanto io non posso, non devo e non voglio sposarmi né convivere con una come te. Tu non hai le qualità della buona amante: non porti ordine in casa, ma un vento di turbinosa libidine. Mi riduci a una testa intronata colpita da folate violente. Tu sei adatta a fare la ganza a tempo determinato. Amante a perdere. Ora che sono lucido, ti dico: cercati un altro ganzo,  magari esotico, quindi vattene a vivere con lui, lontano da me, tanto lontano: a Singapore tanto per fare un esempio

Tu non sei la mia donna ideale, sei appena reale, sì e no umana.

Non puoi comprendermi. Non cape in quella tua angusta fronte né il pensiero mio né il mio sentimento”. Il mio ideale è una mulier Augusta”.

Vagavo dal desiderio amoroso al risentimento rancoroso.

Il fatto è che dopo l’abortimento deciso da Päivi con la mia vile acquiescenza, mi sono messo a cercare compagne sempre più giovani per sostituire la creatura attesa dall’ultima donna che avevo amato, e con queste ragazze dall’orizzonte limitato cercavo di arrestare l’inesorabile marcia del tempo che  mi calpestava.

Ifigenia del resto mi piaceva assai e tutto il mio pensarla malevolmente non poteva confutare il sentimento che di quella giovane avevo bisogno come della luce del sole. Sentivo che la mia vita in sua assenza non era cosa salda: era solo una larva dissanguata, uno spettro in un  crepuscolo invernale gelido come la vita  che stavo vivendo nella desolazione e tra le contraddizioni.

 

Infine trovai un compromesso tra il desiderio e la paura di lei.

 

Questo arrivai a pensare mentre calava la notte: “E’ bene che vada così. Non mi sarà difficile sganciarmi da questo traino  quando ne avrò trovato una più conveniente. Ora però non vedo niente di meglio e voglio fare ancora l’amore con Ifigenia insegnandole quello che so e imparando da lei quanto sa più e meglio di me. Intanto tengo gli occhi aperti in cerca di altre occasioni visto che quella lo sta già facendo. Così siamo pari e il nostro rapporto è pulito. Di sicuro non c’è l’amore né il rispetto che ho provato per Helena  e per Päivi le due sere della rinuncia a Josiane, ma eravamo con Helena nel ’71, con Päivi nel ’74 e ora  quel tempo è lontano e d’altra parte tali donne erano ben altrimenti rispettose e dotate di stile rispetto a costei. Del resto poi mi hanno lasciato perché avevano già avuto quanto potevo dare.

Trovato questo equilibrio, ebbi una sensazione di conforto che si riempì di allegrezza alle 16 e 30 quando giungemmo a Viterbo e uscito dall’automobile vidi la luce del sole illuminare i fastigi del Palazzo dei Papi che risposero con un sorriso languido  al saluto del dio.

La pietra grigia e nera più in basso, lassù in cima aveva assunto lo stesso colore di rosa che una sera di Primavera, la sera della Pasqua precedente avevo notato sulle cime del Rosengarten appunto che fiancheggia la valle di Fassa da Moena a Canazei. In ognuna di quelle montagne quando le vidi la prima volta nell’agosto del 1948, a tre anni e 8 mesi, ravvisai una forma umana e negli anni seguenti, presa confidenza cominciai un poco alla volta a parlare con ciascuna, ed esse , per loro umanità, mi rispondevano.

 

 “Presagio d’estate felice” ringraziando la luce del sole.

Quindi trovammo un albergo e occupammo le camere. Io ne avevo una tutta per me. Mi è sempre piaciuto dormire da solo.

Una delle mie amanti successive a Ifigenia, la quartultima del catalogo che ho fatt’io fino a sciogliere un voto,venne la sera del 2 gennaio da Parma in autonomobile. Facemmo l’amore tante volte e assai volentieri. Era giovane molto e bellina e sensuale assai. Era una notte di nebbia e le dissi-obtorto collo-: “se vuoi, puoi dormire qui”.

Lei capì tutto e rispose che preferiva tornare a casa sua. Quando il rapporto si consolidò, le domandai perché  fosse andata via quella notte da lupi.

Rispose: “perché avevo capito che sei  falso più di Giuda Iscariota e speravi che io mi togliessi dai piedi”. Così mi diede una lezione la ragazza di Parma. Io allora ne avevo più o meno sessanta ma ancora mi lasciavo educare.

 

Ritiratomi in camera dunque, fui lieto della mia solitudine, a Viterbo come sarei stato a Bologna una trentina di anni più tardi partita che fu la Parmigiana.

 

Poco prima di cena facemmo due passi. Durante la deambulazione insistevo nel mio atteggiamento da anacoreta dalla turbata mens: camminavo sul lato opposto della strada rispetto agli altri. Volevo osservare e pensare senza parlare, senza ascoltare chicchessia, senza urtare nessuno.

A un certo punto però venne a interpellarmi l’amico Silvano.

Mi domandò: “Che cosa hai gianni, pensi ancora a Päivi e alla bambina non nata?”

“No-risposi-ora sono innamorato di un'altra: una collega sposata con un tale un Cercopiteco Panerote, un fenerator qualunque.”

“Non hai paura che lo venga a sapere e ti prenda a morsi quella scimmia  con tanto di coda, usuraia per giunta?”

“No.  Comunque, e tu me lo insegni, varrebbe la pena di prendere un poco di botte pur di fare l’amore con una donna così giovane e bella. E’ come il sole d’estate quello che vedevamo sorgere quando andavamo a cavalcare la mattina alle cinque nella puszta, a Hortobagyi.

Torniamo a Debrecen quest’ estate? Ci sarà la nostra amica Cornelia che ci ha ospitato a casa sua e ci ha fatto del bene.

 Ricordo un’altra mattina quando con Fulvio, Ezio e altri si andava a lezione, e tu arrivasti in taxi dicendo:”io vado a letto. Aspettavo una cuoca   ma è arrivata una sartina, una intentata puella che mi ha portato a casa sua. Non ho potuto resistere. Ora devo dormire”.

Mi piaceva riavvicinarmi all’amico, il birbo Silvano, alle nostre storie passate di amori, dolori, pianti, risate. Avevamo avuto entrambi un’educazione cattolica arcaica, io a casa e in parrocchia, lui addirittura per alcuni anni in  seminario cupo e triste quanto un colombario.

Sine femina non est vita diceva. Dai curiali avevamo appreso entrambi il gusto della trasgressione, e il vizio del peccato sessuale, posto che sia  un vizio e un peccato come pretendeva quella pretaglia, disgraziata o scellerata che fosse. Ora Silvano è un’amicizia celeste. Sono certo che è in paradiso se non altro perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio.

Dante era completamente pazzo, diceva l’amico carissimo Fulvio.

Come sempre, aveva ragione.

Quella notte sognai Santo Francesco in quale mi disse: “da poverello a poverello, ti do questo suggerimento: porta a termine l’opera che ti sei proposta. Te lo ripeto in latino: “propositum perfice opus”.

Risposi: “non mancherò  te lo prometto, fratello Francesco, e tornerò a trovarti in bicicletta nel crudo sasso intra Tevero e Arno dove da Cristo hai preso l’ultimo sigillo. Io sono sì poverello come te, ma sono stato anche un peccatore e ti chiedo perdono”.

“Nessuno è senza peccato” disse il santo facendo un sorriso, quindi benedisse me e l’opera mia che non mancherò di completare. Per  emendarmi.

 

Bologna 18 aprile  2025 ore 18, 47 giovanni ghiselli

p. s

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