lunedì 21 aprile 2025

Ifigenia LXV. La mite. “ Che fai, mi corteggi?”- “Io sì”.


 

Il 17 febbraio durante l’intervallo mi avvicinò una supplente nuova: una ragazza mite, educata e tutt’altro che sgradevole. Era bellina e diceva bene di me. Mi riferì che gli allievi avevano decantato la mia bravura e deplorato il maltrattamento che il nuovo preside mi infliggeva. La osservavo con simpatia e gratitudine e non potei trattenermi dal dirle: “benvenuta giovane collega.  Sei molto carina!”

“Che fai mi corteggi?”

“Io sì”.

Stavo per aggiungere un’anastrofe della parlata pesarese per incuriosirla e poi darle una spiegazione: “faccio male, perché?”; invece  la salutai e mi allontanai siccome si stava avvicinando Ifigenia che doveva avermi visto mentre mi sdilinquivo con la nuova signorina arrivata a rallegrare il cupo ambiente: quando uscimmo insieme notai che era tesa e tetra. Allora, facendo il confronto con la dolce ridente che mi aveva gratificato, notai che la pur bella amante mi piaceva meno del solito.

Tornammo nel bar Diana dei Greci. Lei non parlava. Allora cercai di sgravarmi la coscienza provocando una discussione che portasse a un chiarimento.

“Oggi ti amo meno del solito”, feci .

Volevo smuoverla dal tetro torpore e dal mutismo che mi disturbavano.

Mi fissò sgranando gli occhi stupefatti e domandò trasecolata: “Che cosa hai detto gianni? Hai incontrato una che ti piace di più?”

Mi aveva visto vezzeggiare la nuova arrivata o glielo avevano detto.

Mi accorsi di averla ferita e cercai di rimediare.

Dissi che di fronte a una faccia rabbuiata com’era la sua quella mattina, si rinnovava il dispiacere degli sgarbi subiti fin da bambino dalle donne di casa. Ero troppo sensibile- aggiunsi- per non accorgermi che c’era qualcosa che non andava . Avevo bisogno di una compagna lieta, pacifica: una mite.

“Già come quella ragazza di Dostoevskji che si butta dalla finestra dopo le vessazioni subite dal marito vecchio. Un uomo come te. Siete tutti uguali voi maschi: deboli e falsi”.

Quindi disse: “ti saluto”, si alzò e andò via.

Il suo ricordare il racconto “La mite in ogni modo mi era piaciuto. E anche il suo sdegno. Avevo rivalutato la mia compagna. La volevo di nuovo: volevo proprio lei. Le crsi dietro e le chiesi perdono.

Tornato a casa pensai che dovevo trovare dell’altro al di là del il piacere goduto ripetutamente nel letto e oltre le esibizioni  del nostro benessere quando c’era il sole. Il nostro amore aveva una forte componente edonistica e un’altra teatrale fatta di atteggiamenti, di pose, non tutte di ottimo gusto. Mancava la dimensione etica. Conclusi che nemmeno il piacere può durare a lungo senza  morale. Era un pensiero razionale e realistico ma non lo avevo quasi mai realizzato. Tranne le due sere che rinunciai a Josiane nel 1971 per non dare un dispiacere alla ragazza madre Helea, nel 1974 per non offendere l’altra ragazza madre Päivi, incinta di me oltretutto. Ma poco dopo le due finlandesi erano tornate alla loro terra iperborea,

Sulla crisi momentanea di quel giorno di febbraio dunque avevo messo una pezza.  Fu meno difficile che cercare un rimedio strutturale, anche perché di lì a poco la stagione cambiò, il sole ci diede conforto, la vitalità decaduta si risollevò e noi riprendemmo a fare sesso con frequenza e potenza da atleti.

Con il tempo bello tutta la natura diventava un talamo.

Eravamo di nuovo contenti, eppure le ferite inflitte dall’incomprensione reciproca, dal narcisismo e dall’egoismo di entrambi non sarebbero state cicatrizzate nemmeno dal sole. Anzi ogni vulnus con il tempo si sarebbe aggravato fino a diventare ulcus: le ferite sarebbero diventate piaghe infette. Ma intanto moriva l’inverno, il sole si alzava ogni giorno di più illuminando e scaldando il nostro emisfero che si rialzava dalla buia tomba invernale e  si sporgeva devotamente verso il dio che dona la vita. Sicché noi due, rinfrancati, ripristinammo il nostro benessere sessuale e riprendemmo a pavoneggiarci recitando scene barocche sui palcoscenici la cui  scenografia veniva  abbellita dalla primavera ogni giorno di più . Poi sarebbero venuti quelli della nuda estate incoronata di spighe,  quando avremmo potuto stupire e scandalizzare i benpensanti e i furfanti bigotti facendo il massimo del bene concesso a due creature mortali ospiti del paradiso terrestre.

Avevamo intanto evitato di affrontare il problema di fondo: perché stando insieme da soli, senza poterci esibire,  dopo poco tempo che si stava fuori dal letto, ci si annoiava, innervosiva  e si arrivava a litigare?

Non lo dicevamo ma si sapeva  che il difetto era proprio l’assenza di spessore morale, di interessi comuni profondi, di progetti seri. L’egoismo di entrambi e l’insincerità sostanziale del nostro rapporto lo avrebbero reso infelice già nell’autunno seguente quando sarebbero calate fosche, fredde e spietate le brume sulle nostre esibizioni ormai stanche e scolorite del tutto.

 

Bologna  21 aprile 2025  ore 18, 26 giovanni ghiselli

p. s.

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