mercoledì 16 aprile 2025

Ifigenia capitoli 39, 40, 41.


 

Ifigenia XXXIX.  A Carmignano di Brenta. L’amica Antonia.

 

Quindi vennero le vacanze di Natale mai gradite perché durante le feste della casa e della famiglia chi  sovente è solo, si ritrova più solo che mai, e sempre più solo con il passare degli anni.

Cesare Pavese scrisse: “Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?” (Lavorare stanca, 8). 

Quindi: “

Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno

in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara

che l’inutilità”  (Lo steddazzu, 10-12).

A 42 anni questo poeta si uccise. A venti anche io ero pensoso di finire presto la vita mia nell’acqua del porto di Pesaro, gravoso e inutile peso alla terra com’ero. Poi mi sono ricreduto valorizzando tutto me stesso: perfino la  mia solitudine cronica interrotta sporadicamente da alcune avventure. Ora rispondo: sì ne è valsa la pena. Ho potuto indagare me stesso, diventare quel poco o molto che sono, studiare, educare, frequentare soltanto chi mi piaceva.

 

Durante i giorni di Natale e Santo Stefano andavo a Pesaro dalle mie zie  e dalla nonna che erano le più anziane e sole tra le mie consanguinèe. Lo facevo per gratitudine dell’aiuto che mi davano e per la pietas erga popinquos. Il 23 dicembre invece, da quando vivevo a Bologna, facevo la visita del solstizio invernale alla vicepreside della scuola media dove avevo insegnato, Antonia Sommacal, che era diventata la più cara delle mie amiche e mi aveva aiutato durante il mio apprendistato professionale e umano. Fino al 2004 sono andato a trovarla tutti gli anni due volte all’anno: per i solstizi. Manca quello invernale del 2005 perché in autunno Atonia divenne amica celeste.

 E’ una magnifica persona che mi ha aiutato e incoraggiato a essere come sono.

Non è facile per chi è troppo diverso e strano, guardato con sospetto da molti.

Ricordo una frase tra le più belle che abbia sentito sul mio conto. Quando le dissi che per Natale andavo sempre dalle zie che erano sole e molto anziane, Antonia mi fece: “lei avrà fortuna Ghiselli, perché è una persona buona”. E’ il complimento più grande che abbia mai ricevuto e mi ha ripagato della malevolenza che non poche volte mi hanno manifestato i nemici e anche i falsi amici.

A Carmignano del resto dopo il trasferimento a Bologna  tornavo volentieri quelle due volte ogni anno per rivedere i luoghi divenuti poetici dove arrivai venticinquenne per iniziare il mio lavoro e vi rimasi fino a quasi trentanni imparando a  fare la parte dell’uomo adulto, a cavarmela senza rinnegare né smentire la mia identità, a non seguire i luoghi comuni che nella profonda provincia veneta erano molto diffusi e quasi obbligatorî. Dopo la morte di Antonia ogni tanto vado ancora a Carmignano per raccogliere qualche fiore che vedo tra l’erba e metterlo sopra la sua tomba mandandole un bacio.

La  benevolenza di questa amica mi ha aiutato davvero ad avere la buona sorte che mi auspicò e previde quando ero giovane molto. Ci si dava del lei, stranamente. Mi faceva da maestra e da mamma.

Ora però le dico e ripeto spesso: che tu sia benedetta Antonia carissima, gunhv t  j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"( Alcesti, v.-151), di gran lunga la migliore tra le donne sotto il sole. Sei stata la mia migliore amica.

 Nessuna delle mie amanti mi ha aiutato con maggiore intelligenza, onestà e generosità.

 

 

 Ifigenia XL.  L’allieva e amica Luciana.

 

Tra le allieve della prima media tutte vivaci e carine, ce n’era una speciale.  La notai per la sua creattività nelle scrivere, per l’originalità e l’indipendenza delle sue osservazioni, per la vivacità con cui mi faceva delle domande e l’interesse mostrato nell’ascoltarmi. Insomma era una bambina dotata di autonomia mentale e caratteriale: mi assomigliava. Con il volgere delle stagioni saremmo diventati amici. Lo siamo ancora. L’ho invogliata a valorizzare la sua intelligenza e gli altri talenti suoi. Luciana a sua volta durante il triennio in cui l’ho aiutata a crescere mi ha fatto capire quanto di buono potessi dare agli allievi in termini di umanità.

A Carmignano di Brenta dove vissi cinque anni della mia prima gioventù adulta ero apprendista del mio lavoro e di me stesso; allora presi coscienza di tante attitudini mie: prima di tutte quella del maestro  capace di suscitare energie mentali e morali nei giovani. Mi accorsi che con i ragazzi mi trovavo bene e pure loro con me: ci si educava a vicenda.

Carmignano di Brenta mi piace perché assomiglia ai miei venticinque anni quando ci arrivai spaesato dopo avere lasciato la mamma, le zie e i nonni materni a Pesaro[1]. Ero trasecolato come  Breus nella boscaglia.

 Le varie volte che  sono tornato a Carmignano dopo il trasferimento a Bologna ho ritrovato nel  paese, nel paesaggio, nel suo fiume, nei suoi profumi, le dolci malinconie, e anche le forti emozioni di allora, quando vivevo ogni evento nell’attesa di beni più grandi, e quegli anni come preludio e presagio delle  cose egregie  che avrei dovuto compiere una volta tornato a Bologna. Ora ho  compiuto gli ottanta e la vita trascorsa mi ha allontanato da quella condizione di giovanotto trapiantato e spaurito, ma vivo, curioso, animato da vaghe e grandi speranze. Quando  ricordo gli anni di Carmignano, ritrovo nella miniera del cuore i sentimenti di allora, la meraviglia  lo stupore e l’interesse davanti a  ogni persona nuova che mi induceva a osservarla,  interrogarla, capirla per ingrandire e migliorare la mia umanità.

Alcuni dei ragazzini miei allievi  di allora, oramai ultrasessantacinquenni, mi ringraziano ancora per quanto di buono hanno ricevuto da me: oggi so di avere avuto da loro più di quanto abbia dato.

 Ci siamo scambiati munera  doni e compiti preziosi, funzionali alla crescita, ricchi di reciprocità.

Avvertenza: il blog contiene una nota.

 

 

Ifigenia XLI  All’amica celeste  Antonia

 

Il 23 dicembre del ’78 dunque, siccome Luciana era a Venezia dove studiava architettura, andai a trovare soltanto Antonia.

Dopo le accoglienze oneste e liete, le dissi subito che amavo una collega giovane e bella assai. Una che irrobustiva la mia persona: l’intelligenza, la fantasia e pure il corpo.

Insomma Apollo, il dio della luce e della bellezza, che ero andato a pregare nell’Ellade perché mi facesse partecipe delle sue doti, mi aveva esaudito.

Durante quel viaggio ciclistico estivo avevo mandato diverse cartoline provocatorie all’amica cristiana professando la mia devozione  agli dèi della Grecia a partire da Febo, quello a me più congeniale.

Anche quando insegnavo a Carmignano volevo distinguermi dal credo religioso e politico di tanti colleghi di quella scuola diretta da un preside bigotto e refrattario agli spiriti nuovi dei quali mi ero entusiasmato durante l’ultimo anno passato a Bologna dando l’ esame residuo di glottologia e frequentando le assemblèe del movimento studentesco, partecipando ai cortei e facendo miei tanti slogan.

Furono mesi quelli della primavera del ’68 in cui la gioventù delle Università di buona parte del modo ebbe fiducia in se stessa e nel proprio avvenire. Molti di quei giovani hanno abiurato. Io non sono un apostata e credo ancora in ciò che propugnavo allora: giustizia, uguaglianza, libertà e pace. Comunismo aristocratico lo chiamo. Sul tipo di quello platonico.

Quando arrivai a Carmignano la prima volta era  la sera del 28 ottobre  1969 e  il monte Grappa era già bianco di neve come il Soratte dell’ Ode di Orazio.

Pensai che nemmeno la bicicletta dovevo tradire e promisi che in giugno avrei  pedalato  su per i 30 chilometri abbondanti di quella salita.

Lo feci con vigorosa gioia.

 

Ma torniamo al dicembre del 1978,

Ricordavo che Antonia aveva sempre cercato di redimermi dal mio libertinaggio dicendomi: “si ravveda, si penta, metta la testa a posto: si trovi una buona compagna e la sposi. Si penta e cambi vita: è l’ultimo momento”.

“No, no, ch’io non mi pento”, rispondevo a tono citando a mia volta le parole di Da Ponte per la musica di Mozart dove sento la presenza di Dio.

 

Questo era un nostro duetto non del tutto faceto né serio.

 

Quel pomeriggio del 23 dicembre però l’amica Antonia non voleva scherzare: era preoccupata del fatto che io fossi tanto innamorato di una donna sposata. Mi piaceva sentirle parlare il suo bel dialetto veneto, tra il padovano e il vicentino.

La pregai di farlo. Sicché cominciò: “mi conosso un vecioto” e si interruppe. Allora domandai: “sicché?” 

“El fa come éo” rispose, fa come lei

“Che cosa vuole dire Antonia?” insistetti fingendo di non capire,

Mi spiegò che questo uomo mezzo vecchio ci provava con tutte finché i mariti delle corteggiate, alcune  forse già adultere, si coalizzarono, lo bastonarono e lo gettarono in un fosso. Non ne morì ma ci mancò poco.

Antonia dunque temeva che potessi fare la fine del seduttore professionista ucciso da Eufileto, il marito tradito e assassino difeso da Lisia per il delitto d’onore.

Le feci presente che il marito di Ifigenia nemmeno sapeva chi fossi  e  che comunque la mia ultima relazione era irreprensibile perché noi ci amavamo e rendevamo migliori a vicenda: Ifigenia mi ribattezzava nelle onde fresche della sua gioventù mentre io la impregnavo dello spirito mio coltivato e cosciente.

L’amica si rassicurò soltanto un anno più tardi quando portai Ifigenia a Carmignano per fargliela conoscere e l’amica giudicò la mia amante “bella con semplicità e intelligente”. Dovevo sposarla.

Nel frattempo aveva lasciato il marito. Intanto però il nostro amore si avviava al tramonto.

Mentre di notte tornavo a Bologna sull’autostrada,  tonda era la luna.

La pregai chiamandola Antonia,  Selene, Artemide, Diana, Trivia, Helena, Ifigenia: una sola forma di molti nomi, come la magna mater di Prometeo: pollw'n ojnomavtwn morfh; miva[2].

 

 

Avevo le lacrime agli occhi perché mi sentivo di nuovo partecipe della vita di questo universo bello, ordinato da un Dio buono, demiurgo e artista.

Chiesi a quella bianca, rotonda, femminea creatura di conservarmi ancora per tanti dei suoi eterni giri celesti l’amore di Ifigenia e la facoltà di muovermi ancora in buona salute sulle  strade del meraviglioso capolavoro  che è il  mondo illuminato ora da lei, ora dal suo splendente fratello.

Ero felice come non ero più stato dopo Helena Augusta diversi anni prima e lo dovevo a Ifigenia.

Avvertenza il blog contiene due note e il  greco non traslitterato.

 

Bologna 16  aprile   ore 10, 06 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Racconto il mio arrrivo nella scuola media di Carmignano e il mio debutto da tirocinante nel romanzo già pubblicato Tre amori a Debrecen. Potete averlo in prestito dalla biblioteca Ginzburg di Bologna. Non compratelo dunque,.

[2] Eschilo, Prometeo incatenato, v. 210,

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