domenica 27 aprile 2025

Ifigenia LXXVIII. La telefonata non priva di imbarazzo e la divagazione notturna.


 

Mentre cenavo nella sala affollata da una masnada di tedeschi biondi, grossi e chiassosi, un cameriere venne a dirmi  che c’era una chiamata per me. Corsi alla cabina telefonica perché in quella età geologica il cellulare non esisteva. Del resto ne faccio del tutto a meno anche oggi.

Era Ifigenia che telefonava da Ozzano dove  era andata a trovare due conoscenti e si annoiava perché aveva poco da dire con loro e le mancava la mia presenza. Mi sembò che Parlasse meccanicamente, con voce metallica.

 

Mi venne in mente Päivi che, partita da Debrecen, appena  arrivata a Danzica mi scrisse “I miss you”, e pochi mese più tardi mi rigettò-mira feritate- dicendo I don’t want to see you”.

Ifigenia ci avrebbe messo di più a buttarmi via, ma io, come Tiresia, ho sempre presofferto tutto e proprio per questo me la sono cavata. Il dolore ci rende saggi  dopo che lo abbiamo attraversato, ma non possiamo varcarlo se  non lo abbiamo previsto preparandoci alla catastrofe finale.

 Il ricordo del voltafaccia della mia terza finlandese, quella che aspettava una figlia da me e non la mise al mondo, non mi consentì di sentirmi sicuro di non ripiombare nella pena antica. “Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis” pensai.

Oltretutto la ragazza, che aveva proprio la stessa l’età di  Päivi nel 1974, mi chiese di tornare a Bologna appena possibile. Lei  vi sarebbe rientrata  la mattina seguente: non ne poteva più della gente zotica di quel mortorio di Ozzano, davvero una moribunda sedes!, disse. Del resto anche a Bologna, aggiunse, si sarebbe annoiata senza di me e la mia loquela speciale.

Mi sentìi imbarazzato. Non volevo anticipare il ritorno rinunciando al mio girovagare per un altro paio di giorni sotto i monti elaborando i dolori di ulcere antiche e di ferite recenti. Risposi a bocca stretta che sarei tornato presto, siccome anche io mi sentivo dimidiato. Intendevo diviso in due parti ma non glielo spiegai. Né le dissi che mi mancava la sua presenza perché so dissimulare ma non riesco a simulare. Avevo l’angoscia e la salutai senza aggiungere altro. Non mi aveva convinto dicendo soltanto male delle persone che la ospitavano.  Chi erano quegli ospiti così spregiati? Perché ci era andata? Perché ci era rimasta? Mi nascondeva qualcosa. Un ganzo deludente? Un drudo mancato?

 

Dopo la cena trangugiata in gran fretta, uscìi nella notte. Il cielo brillava di stelle dalla luce vivace. Pensai che  il mio veleno non doveva attoscare altre persone: mi si addiceva la solitudine.

 Camminai su per la strada del San Pellegrino fino alla base delle piste sciistiche del Lusia. Verso le dieci, tra gli alberi non tanto fitti che coprono la schiena dell’umano Piz Meda  apparve la luna, Artemide o Diana che dire si voglia: i suoi raggi disegnavano chiazze di luce bianchissima tra le ombre  del bosco. Un abete che si stagliava davanti alla figura della  diva sembrava essere entrato in lei come una mentula sfacciata per fecondarla dopo avere violato la sua castità. La mia coscienza sporca vedeva stupri dovunque. Mi voltai verso la valle di Fassa e osservai le anguste convalli, i burroni, le gole, le balze, le cime dei monti, il cielo e le stelle. Volevo purificarmi ritrovando il paradiso perduto della natura.

Certe incavature dove già spuntava l’erba mi ricordavano la vagina di Ifigenia, alcuni dossi bruni di cespugli, la sua bella testa con i capelli neri neri e odorosi,  certe  rocce erano uname e ben fatte, altre deformi e bestiali, alcune stelle mandavano una luce fissa, altre guizzavano intermittenti, il cielo di  giorno era stato obeso, acquoso e deprimente, di notte era splendente, snello, frizzante e mi invitava a imitarlo. “Ritrova la tua energia- mi dissi- recupera il compiacimento che hai di te stesso nei momenti migliori! Domani vai a correre o a sciare. Esci da questo veternus che ti intorpidisce e amareggia! ”

Pensai: “nella natura c’è tutto e Ifigenia è naturale, perciò anche in lei c’è il bello e c’è il brutto, c’è il bene e c’è il male, c’è intelligenza acuta  e ottusità totale.  Secondo le circostanze. Stare con tale persona è come camminare sul filo del rasoio, ma se resto con lei devo accettarla com’è. Nell’insieme del resto è una creatura riuscita piuttosto bene al fuoco artista che procede metodicamente alla creazione”.

Tornai nella mia stanza un poco riconfortato

 

Bologna 27 aprile  2025 ore 20, 49 giovanni ghiselli

 

p. s.

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