lunedì 28 aprile 2025

Omero II parte. Ancora l’epica omerica in generale, poi i versi 1-5 dell’Odissea.


 

Per quanto riguarda la società omerica essa non è retta da un sovrano autocratico come quella micenea, secondo Codino.

Viene fatto l'esempio di Agamennone che, quando "cerca di placare Achille con un'offerta di ricchi doni, gli promette tra l'altro in regalo sette città del Peloponneso occidentale (Iliade,  IX 149 sgg.) [1].

Si capisce da diversi indizi: il sogno ingannatore del II canto; dal fatto che Agamennone debba convocare l'assemblea dell'esercito la quale "almeno formalmente" potrebbe respingere le sue proposte. Alla fine è solo Odisseo che impedisce all'esercito di rimpatriare.

 

Nell'Odissea il protagonista appare a tratti come un patriarca artigiano-contadino, abile in tutti i lavori: per necessità si costruisce una buona zattera (V 234 sgg.), ma si è anche fabbricato da solo il letto nuziale (XXIII 189 sgg.) e una volta dichiara di saper falciare e arare con bravura e senza stancarsi (XVIII 366 sgg.) e se ne vanta.

 

A proposito del "Tolstoj omerico" si possono vedere alcune parole sulla gioia di lavorare in campagna, in particolare della falciatura compiuta da padrone-contadino Levin:"Levin procedeva fra loro due. Nel pieno della calura non gli sembrava poi molto faticoso falciare. Il sudore che lo inondava gli dava frescura e il sole, che gli scottava la schiena, la testa e il braccio rimboccato sino al gomito, gli dava vigore e tenacia nel lavoro, e sempre più frequenti gli venivano quei momenti di incoscienza quando si poteva non pensare a quel che si faceva e la falce tagliava da sé. Ed erano momenti felici"[2].

 

Primordi della scrittura nell’alfabeto greco

Un primo accenno si trova già nel VI canto dell'Iliade  dove leggiamo che Preto re di Argo, aizzato dalla moglie Antea che bramava unirsi in amore furtivo con Bellerofonte e, respinta da lui, lo aveva accusato di averla tentata, si infuriò, e, non osando ucciderlo direttamente, lo mandò in Licia dal suocero suo Iobate  con segni funesti ("shvmata lugrav", v. 168) dopo avere scritto su una tavoletta piegata molti segnali di morte ("gravya" ejn pivnaki ptuktw'/ qumofqovra pollav", v. 169).

Questa storia che fa parte dell'episodio di Glauco e Diomede "potrebbe già echeggiare il recuperato uso della scrittura alfabetica fenicia o, visto il destinatario dell'episodio narrato, fondarsi sulla consapevolezza della diffusione della scrittura in Asia Minore, seppur di lettere si tratta e non di segni convenzionali"[3].

 

Cfr. la storia di Giuseppe e Putifarre nella Bibbia. Poi quella di Fedra nell’Ippolito di Euripide.

 

Le più antiche iscrizioni in alfabeto greco sinora trovate sono la "Coppa di Nestore" di Pitecussa (Ischia) e il vaso del Dipylon (Attica):"per i due reperti, praticamente coevi, viene proposta una datazione tra il 740 e il 725 a. C." (p. 48).

Pitecussa fu fondata poco prima di Cuma e prima della metà dell'VIII secolo da coloni che venivano da Calcide e da Eretria dell' Eubea.

 

Civiltà minoica, poi civilltà micenea

La civiltà minoica non indoeuropea raggiunse l’acme intorno al 1500, ma poco dopo il predominio politico passò agli Achei indoeuropei.

“La conquista di Creta segnò il coronamento del processo di trasfusione della civiltà minoica nella micenea; e negli istituti, nei culti e riti, nei costumi attestati dai documenti micenei si riconosce sempre più nitidamente l'eredità minoica"[4]

In origine erano molto diverse tra loro.

 

Omero menziona Creta come un'isola bella  ricca e variamente abitata,  un crogiolo di razze:"C'è una terra, Creta, in mezzo al mare purpureo /bella e ricca, bagnata tutt'intorno; e vi sono uomini/molti, infiniti, e novanta città;/un idioma è diverso dagli altri con mescolanza di lingue: vi sono gli Achei,/gli Eteocretesi[5] magnanimi, i Cidoni,/i Dori[6] divisi in tre stirpi e i gloriosi Pelasgi" Odissea , XIX, vv. 172-177. Mi  viene in mente Trieste.

Segue il ricordo di Minosse che per nove anni regnava su Cnosso, "megavlh povli"", la capitale.

 

"Havelock parla di "enciclopedia tribale", intendendo i poemi omerici come deposito di tutti i contenuti culturali di una civiltà"[7].

 

La ricchezza enciclopedica di Omero era già stata individuata da Platone nello Ione   dove Socrate, pur non ritenendo Omero competente di quello che tratta, fa notare che egli parla delle arti in molti passi e a lungo, per esempio anche di quella di guidare il cocchio ("peri; hJnioceiva"", 537a), e nella Repubblica  dove l'autore dell'Iliade  e dell'Odissea  è definito "prw'ton tw'n tragw/dopoiw'n"(607a), il primo dei poeti tragici.

 

Mista è  la lingua usata da Omero. Vedremo leggendolo tra poco che in essa sono presenti tutti i dialetti tranne quello dorico[8]. Abbiamo già visto la definizione di "lingua artificiale", ora aggiungiamo quella di "figlia dell'esametro" che viene da K. Witte[9] con riferimento ai necessari adattamenti al ritmo dattilico, ossia alla metrikh; ajnavgkh la necessità metrica[10] che non poche volte ha costretto a modificare le parole.

Quintiliano afferma che l’autorità del linguaggio si ricava di solito dagli oratori e dagli storici:  Nam poetas metri necessitas excūsat “(Institutio oratoria, I , 6, 2), infatti la necessità metrica giustifica i poeti.

 Quella di Omero dunque è una lingua la cui facies  prevalente è ionica, dovuta probabilmente a un lungo periodo di elaborazione dell'epica nelle città ioniche dell'Egeo. Uno strato meno recente e piuttosto diffuso è costituito da elementi eolici[11]; quello più antico, e meno rappresentato, è l' arcadico-cipriota che ora si ritiene il più vicino al miceneo. Non mancano atticismi, probabilmente dovuti ai redattori ateniesi incaricati da Pisistrato.

 

L’Odissea èun poema di circa 12000 versi divisi in 24 canti. I primi quattro libri costituiscono la Telemachia , chiamata così in quanto ne è protagonista Telemaco che nella reggia di Itaca invasa dai proci  sente la mancanza del padre e, incoraggiato da Atena, si muove alla sua ricerca recandosi a Pilo da Nestore e a Sparta da Menelao che lo incoraggiano.

 

 La sezione centrale (da V al XII canto) è formata dagli Apologhi  con le avventure vissute e raccontate da Odisseo.

 

Quindi padre e figlio tornano parallelamente a Itaca, si incontrano, e si accordano per sterminare i pretendenti di Penelope: quest'ultima parte (XIII-XXIV) infatti si chiama Mnesterofonia .

 

Il primo canto del poema "al quale-come a quello di Dante-ha posto mano e cielo e terra[12]",  si apre con un concilio degli dèi i quali, tranne Poseidone adirato con Odisseo per l'acciecamento di Polifemo, hanno pietà dell'eroe segregato dalla ninfa Calipso, "la Nasconditice solitaria "[13] nell'isola di Ogigia. In assenza del dio ostile,  la dea che lo protegge, Atena, si adopera per favorire il suo ritorno.

 

Proemio vv. 1-10 .

Greco .

Il Proemio dell'Odissea mostra fin dalla prima parola (l'uomo) che il centro del poema è costituito da un personaggio tanto ricco di esperienze e significati da rendere più ricca e significativa la vita di quanti lo conosceranno. Egli, dopo avere distrutto la città di Troia,andò errando attraverso conoscenze e sofferenze, e cercò di salvare, con la vita sua, anche quella dei compagni. Ma non ci riuscì poiché essi non erano assennati al pari di lui, tanto che mangiarono  i buoi del Sole il quale tolse loro il dì del ritorno. Il poeta chiede alla Musa di aiutarlo nel raccontare queste storie all'umanità, cominciando da un punto qualunque.    

vv. 1-2.  [Andra...e[perse:" L'uomo narrami, o Musa, versatile che molto davvero/fu costretto a errare, dopo che ebbe distrutto la sacra rocca di Troia

Allora che tipo di uomo è Ulisse? A questa domanda è possibile rispondere in tante maniere poiché tale  ajnhvr è, appunto, versatile- poluvtropo~-, e perciò la letteratura successiva da Sofocle a Euripide a Foscolo, a Saba, a Gozzano, a Joyce a chissà quanti altri, ha potuto presentarlo in vari modi, come vedremo; intanto riferisco una definizione che trovo in un bel libro di Claudio Magris:"Come diranno più tardi Adorno e Horkheimer, l'io occidentale è simboleggiato da Odisseo, che costruisce faticosamente la propria identità ed il proprio dominio-su Itaca, sul suo equipaggio e su se stesso-rinunciando alle sirene, a Calipso e al fiore del loto ossia resistendo alla tentazione di abbandonarsi alla beata indifferenza in grembo alla natura". L'inversione di questo processo cui tende Nietzsche, continua Magris, è "lo scioglimento dionisiaco dell'io".

Tale tendenza alla "dispersione dionisiaca dell'io nel fluire sensibile"[14] veramente è ben più antica di Nietzsche, però è condivisibile anzi è ineccepibile la collocazione dell'uomo Odisseo nella categoria dell'apollineo: egli è l'uomo che si individua nella conoscenza e nel dolore, quindi difende e mantiene il principium individuationis  davanti a tutte le lusinghe e contro tutti gli assalti.

 

L'Odissea  è dunque "hjqikhv",  fatta di caratteri, prima di tutto quello del suo protagonista, come la definiva già Aristotele[15], oltre che complessa per via dei numerosi riconoscimenti, a partire dall' ajnagnwvrisi" che di se stesso compie Odisseo.

 

Livio Andronico (III a. C.) traduce questo primo verso in maniera che alcune parole greche si riconoscano nel latino:"Virum mihi, Camena, insece versutum " (Odusia  fr. 1 Morel) . Chiarisco che tradurre letteralmente significa  fare in modo, dove è

 possibile, che si veda la corrispondenza del tradotto con l'originale. E' utile per l'apprendimento; è doveroso per un insegnante.

 

Vedi Aspetti dell’uomo Ulisse p. 55 del mio volume. A chi vuole manderò queste pagine gratis ovviamente.

 

v. 3.pollw'n...e[gnw:" di molti uomini vide città e conobbe la mente".

Già in questi primi tre versi sono presenti e vivi molti temi.

 Fondamentale è la curiosità , notata da Apuleio che fa di Ulisse una prefigurazione del suo Lucio, il protagonista delle Metamorfosi :" Nec ullum uspiam cruciabilis vitae solacium aderat, nisi quod ingenita mihi curiositate recreabar... Nec immerito priscae poeticae divinus auctor apud Graios summae prudentiae virum monstrare cupiens multarum civitatium obitu et variorum populorum cognitu summas adeptum virtutes cecinit " (IX, 13), né vi era da qualche parte alcun conforto di quella vita tribolata se non il fatto che mi sollevavo con la mia innata curiosità...e non a torto quel divino creatore dell'antica poesia dei Greci volendo raffigurare un uomo di somma saggezza, narrò che egli raggiunse i sommi valori visitando molte città e conoscendo popoli diversi.

La curiosità è un antidoto alla noia, se questa è un triste frutto della incuriosità: “L’ennui, fruit de la morne incuriosité”[16].

 

vv 4-5. polla;...eJtaivrwn": e molti dolori soffrì egli sul mare nell'animo suo,/cercando di salvare la sua vita e il ritorno dei compagni.". I polla; a[lgea di Odisseo ci fanno ricordare il tw`/ pavqei mavqo~ di cui abbiamo detto più volte.

 

L'Ulisse di Dante è desideroso di imparare a tutti i costi, compreso quello, forse supremo, di rinunciare agli affetti ("né dolcezza di figlio, né la pièta/del vecchio padre, nè 'l debito amore/lo qual dovea Penelopè far lieta,/vincer poter dentro da me l'ardore/ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto,/e delli vizi umani e del valore;/ma misi me per l'alto mare aperto"[17]) però alla fine affonda:"infin che 'il mar fu sopra noi richiuso"(v. 142). In effetti  in Omero il mare è anche il luogo della sofferenza: povntw/ è legato a pavqen (e a pollav) anche dall'allitterazione nel verso 4:  polla; d j o{ g j ejn povntw/ pavqen a[lgea o}n kata; qumovn”.

 

Nell’Odissea Ulisse in ogni caso non deve e non vuole scordare il ritorno a Itaca novstou te laqevsqai ( Odissea, IX 97). Cfr. l’episodio dei Lotofagi drogati.

 

“Ma, a ben vedere, questa della smemoratezza è una minaccia che nei canti IX-XII si ripropone più volte: prima con l'invito dei Lotofagi, poi con i farmaci di Circe, poi ancora col canto delle Sirene. Ogni volta Ulisse deve guardarsene, se non vuole dimenticare all'istante (...) Dimenticare che cosa? La guerra di Troia? L'assedio? Il cavallo? No: la casa, la rotta della navigazione, lo scopo del viaggio. L'espressione che Omero usa in questi casi è "scordare il ritorno". Ulisse non deve dimenticare la strada che deve percorrere, la forma del suo destino: insomma non deve dimenticare l'Odissea. Ma anche l'aedo che compone improvvisando o il rapsodo che ripete a memoria brani di poemi già cantati non devono dimenticare se vogliono "dire il ritorno"; per chi canta versi senza l'appoggio di un testo scritto "dimenticare" è il verbo più negativo che esista; e per loro "dimenticare il ritorno" vuol dire dimenticare i poemi chiamati nostoi , cavallo di battaglia del loro repertorio"[18].

Anche per chi fa lezione o conferenze dimenticare –laqevsqai- è un verbo tra i più negativi: nega la nostra identità.

 

Bologna 29 aprile 2025 ore 13 giovanni ghiselli continua il Proemio

p. s.

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[1] F. Codino, Introduzione a Omero , p. 77.

[2]Tolstoj, Anna Karenina , pp. 257-258.

[3]G. Maddoli, Testo scritto e non scritto, in Lo spazio letterario della Grecia antica  , I, I, p. 22.

[4] G. Pugliese Carratelli, Storia e civiltà dei Greci , 1, p. 11.

[5]Sigifica "veri Cretesi" e dovrebbero essere i più antichi abitanti dell'isola.

[6]Sono nominati da Omero soltanto in questo luogo.

[7] L. E. Rossi, Storia e civiltà dei Greci , 1, p. 89.

[8]Un paio di commenti consultati, tuttavia, indicano potiv (VI, 95) come forma dorica.

[9]"Glotta", IV (1913).

[10]Cantarella-Scarpat fanno diversi esempi già indicati da Eustazio e dagli scoli. Ne riferisco uno:"L' ajnavgkh tou' mevtrou è invocata per spiegare l'o in eujrucovrw/ di z 4” E in nota: Anche per la linguistica moderna si tratta di abbreviazione per *eujruvcwro~" (op. cit., p. 143). Su questo verso torneremo.  

[11] In effetti tra le diverse città  che si vantavano di avere dato i natali a Omero le più accreditate erano Smirne e Chio situate  sulla costa dell'Asia Minore, nella parte più settentrionale dell'area centrale ionica, , al confine con quella eolica .

[12]Paradiso , XXV, 2.

[13]G. Pascoli, L’ultimo viaggio, XXIV,  Calypso , v. 42

[14]L'anello di Clarisse , p. 6.

[15]Poetica  , 1459b.

[16]  Baudelaire, Les Fleurs du Mal, LXXVI, 3.

[17]Inferno , XXVI, 94-100

[18]I. Calvino, Perché leggere i classici , pp. 15-16.

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