mercoledì 16 aprile 2025

Senofonte (Atene, 430 a. C.? - 355 a. C.?): Storico o Romanziere? (di Giuseppe Moscatt)

  1. Vita, opere e fortuna
Com'è noto, fra il V e il VI secolo a. C., fino ai primi analisti romani, la parola Storia riguardava la narrazione delle azioni umane e degli effetti relativi, un genere letterario sempre presente nella letteratura greca, come nel caso di Erodoto e Tucidide, mentre per il periodo latino basta citare analogamente Livio e Tacito. E non era solo narrazione e interpretazione dei fatti connessi dagli uomini, ma era anche la Storia oggettiva stessa sia che fosse o meno la semplice connessione di eventi, purché redatta per iscritto rispetto al racconto orale del Mito. Storiografia quest'ultima depurata da qualsiasi valutazione riservata alla tradizione. Distinzione che la critica moderna del Nietzsche ha ben scolpito in storia dei fatti e in storia dei valori. Di più: la cultura antica - e in ispecie i commentatori greci ionici dei citati secoli - i dattilografi, ovvero i cronisti di oggi - qualificava la Storiografia meramente individualista, per non dire biografica (per esempio, Plutarco).
E già Aristotele chiamava Storico chi si interessava del particolare realmente avvenuto, mentre lo Scrittore o il Poeta doveva occuparsi dell'evento leggendario e universale, come nel caso di Omero. Da tutte queste distinzioni, Senofonte ci pare alquanto divergere, per non dire esulare. Naturalmente, prendiamo le mosse dal poco che possediamo di dati biografici (di recente messa in dubbio da Luciano Canfora, vd. Il corriere della sera del 16.3.2025). Figlio di famiglia alto borghese - visto che il padre Grillo viveva nel quartiere attico di Atene ritenuto il principale - forse nacque nel 430 a. C. perché nell'opera più famosa - l'Anabasi - si autodichiarava avere circa 30 anni (l'opera è sicuramente del 401 a. C.). Solo nel 404 si hanno altre notizie di lui, anche se un suo biografo - Diogene Laerzio - con una certa teatralità avesse narrato che già a 18 anni Socrate lo aveva avuto come discepolo e che con lui discutesse di equitazione, caccia e agricoltura, temi che erano propri dei simposi socratici del tradizionalismo conservatore e dei conviti frequenti tenuti dal grande filosofo.
Del resto, dalle Elleniche, da lui scritte nel 384 a.C., sappiamo che Atene, proprio nel citato 404 a. C., in piena occupazione di Sparta, guidata dal generale Lisandro, era governata da un collegio di trenta membri filospartani, alle cui dipendenze come Cavaliere militava il giovane, già amico di Crizia rettore di quel collegio, entrambi discepoli di Socrate. Che Senofonte si intendesse di equitazione e che già avesse scritto un breve trattato sull'ottimo Comandante di Cavalleria, lo si ricava dalle vicende della guerra civile che i Cavalieri, agli ordini dei 30 tiranni, orchestrarono contro i democratici di Trasibulo e nei disordini contro la cittadina vicina di Eleusi. Anzi, Trasibulo nel 411 attaccò gli oligarchi che si rifugiarono proprio a Eleusi. Atene ritornò democratica e la fidata cavalleria dai 30 passò alla parte dei 10, la coorte aristocratica che il Re spartano Pausania attivò contro il traditore Lisandro. Di qui la pace di Pausania con Trasibulo, la caduta di Lisandro - un emulo del vecchio Alcibiade - anche se i Cavalieri - come la decima Mas fascista di Salò - non mancò di infierire sulla popolazione inerme. Si trattava di una vera e propria compagnia di ventura che si offriva agli oligarchi o ai democratici a seconda della migliore proposta monetaria, come oggi sembra fare il Gruppo Wagner nella guerra russo-ucraina.
Sia come sia, quella pace fra Pausania e Trasibulo sembrò sciogliere la banda di ventura dei Cavalieri e Senofonte, storico di quelle vicende dal vivo, perché spesso sembra parlarne di persona come se ne facesse parte anche in episodi violenti, si interrompe e salta all'improvviso alla Storia dell'Anabasi, lasciando interrotte quelle Elleniche, la cui tessitura è altrettanto confusa quanto lo fu la tela dei fatti, anche se qui la partecipazione soggettiva già lo rende singolare nel panorama degli storici del V° secolo, come se le Elleniche fossero una continuazione del tutto alternativa alla Guerra del Peloponneso di Tucidide, che era sicuramente molto più chiara e coerente. In realtà, era la sua persona alquanto diversa e profetica per il genere di Letteratura che si prefisse di fare, data invero l'opera che qui ci apprestiamo a esaminare, l'Anabasi.
Va rilevato fin d'ora che in essa emergono il suo spirito fortemente ribelle, la vita peregrina del soldato di ventura e il desiderio romantico dell'avventura. Caratteri che lo rendono speculare per esempio a Plutarco, moralmente opposto, ma stranamente letto con quest'ultimo in splendida alternativa, tanto da divenire nelle scuole classiche europee di fine '800 e di buona parte del '900, i due autori greci più letti nei Licei. L'Anabasi - cioè la spedizione di Ciro verso l'interno della Persia - è l'opera di lui più famosa. Divisa in 7 libri, descrive, in terza persona, una strana impresa a lui prospettata da un compagno di ventura, tale Prosseno di Beozia, che lo indusse ad abbandonare Atene, ormai governata da Trasibulo e poco sicura per quel giovane caposquadra aristocratico amico di Crizia e di Socrate, un politico e un filosofo di destra, tacciato cioè di un essere un eversore violento, vale a dire quello che Hitler e Rosenberg saranno per il neonazionalsocialismo nella Repubblica Federale tedesca dopo il 1945. Ma chi era Ciro, il giovane fratello dell'imperatore persiano Artaserse II a lui ribellatosi? Era lo stesso Ciro che aveva sovvenzionato gli spartani nelle ultime fasi della guerra del Peloponneso, istruendo e pagando i marinai di Atene, sottraendole così la supremazia sui mari. Prosseno altro non era che uno scafista, un procacciatore di mercenari per sollevare l'impero e abbattere Artaserse, naturalmente nel silenzio delle strade di Atene, piena di scontenti per il nuovo governo democratico.
Sbarcate in Pisidia, regione a nord dell'attuale Siria, le forze ribelli e quelle realiste vennero in contatto presso Cnosso. Quando stavano per vincere i Greci, Artaserse venne alle spalle di Ciro e lo uccise con le sue mani. I mercenari allora si dispersero. Fra essi c'era Senofonte, ormai in fuga da Atene e viaggiatore clandestino per Sardi, dove stazionava Prosseno pronto a partire. Fatto si è che ben 10.000 greci, perduta a Cnosso la vita dell'aspirante imperatore, rimasero senza compenso in pieno territorio nemico. Uno di loro, col grado di colonnello, era proprio Senofonte e la situazione stava per precipitare. Erano circondati dalle forze di Artaserse, mentre il generale greco Clearco e il suo stato maggiore per di più erano caduti in una trappola ordita da Tissaferne, un generale persiano che aveva complottato con Sparta contro Atene e che era stato complice di Alcibiade durante l'esilio per farlo rientrare ad Atene.
Senofonte, preso il comando dell'armata, un po' come Cesare e Napoleone - ma anche come il nostro Armando Diaz all'indomani di Caporetto - organizzò una ritirata dei mercenari passando per l'Armenia fino a Trebisonda sul Mar Nero. In particolare, il ruolo di Senofonte è essenziale dopo la strage dei comandanti superiori, ivi compreso l'amico Prosseno. Si disse di Tissaferne: questi li convocò per trattare una tregua e invece li massacrò appena giunti nel suo campo senza che il comandante supremo Chirisofo potesse reagire. La critica moderna, da Carlyle, a Foscolo, da Leopardi a De Sanctis, fino a Churchill e perfino a Moshe Dayan, loda la sua semplicità del linguaggio e la scorrevolezza delle sue considerazioni in quel grave momento, sia per la descrizione dello stato d'animo dello scrittore, specchio del sentimento dei soldati; sia per la viva attenzione delle osservazioni geografiche ed etnografiche, non minori di un Alexander von Humboldt per l'America meridionale.
Chi non ricorda il brano evocativo O mare, O mare! del IV libro? E poi ... ho maturato questo principio: coloro che in guerra cercano di salvare la pelle a ogni costo, spesso muoiono di una morte innominabile e silenziosa. Al contrario, chi ha dato alla morte un valore assoluto e senza scusanti, non solo combatte nobilmente fino allo stremo delle forze, ma anche riesce a diventare vecchissimo e felice. Data questa verità e visto che siamo al momento più grave, occorre essere valorosi e incitare a chi è pauroso alla lotta! E poi al V libro raddoppia: se anche noi morissimo senza speranza, basta ciò ad arrenderci per essere vivi come già sepolti?
Per spiegare quest'eccezionale messaggio - già fonte di eterno coraggio anche per coloro che combatterono i Turchi nel 1825 a Sfacteria, durante la rivoluzione greca come il nostro Santorre di Santarosa dimostrò morendo per la libertà, aderendo all'ideale romantico di Byron e Mazzini. Ma occorre approfondire come e perché nel mondo antico i mercenari andassero in terre lontane a combattere, vale a dire se fosse veramente la povertà a spingerli per mare. Prendiamo ancora il caso della guerra intentata da Ciro contro Artaserse. Premesso che la spedizione era motivata dal contrasto di successione al trono dei figli di Dario II; Artaserse era il maggiore e il generale Ciro il minore, più esperto di politica governativa il primo, ma bravissimo militare il secondo. Alla morte di Dario, il testamento era chiaro a favore di Artaserse, soprattutto perché Ciro aveva dato segni di amicizia con l'antica alleata Sparta, tanto da averla aiutata nella guerra del Peloponneso contro Atene, favorendo Alcibiade attraverso il suo rappresentante Tissaferne, un Satrapo ambiguo nei suoi rapporti come è noto. Ciro aveva in mano la Lidia e buona parte dell'Asia Minore di colonizzazione ateniese.
Il 404 a. C. è l'anno della successione di Artaserse. Ciro allora passò all'azione. Con l'aiuto di Tissaferne e di un amico influente di Senofonte, il citato Prosseno, ex tebano ora ricco commerciante di Schiavi a Sparta, cominciò ad assoldare mercenari nelle città greche del continente e nelle isole. Erano passati 80 anni dalle guerre persiane, dove non erano mancati molti mercenari dall'una e dall'altra parte, anche Greci contro Greci e Persiani contro Persiani. I due caporali di Ciro raccolsero ben 10.000 Greci, fra Spartani, Macedoni, Ateniesi, Corinzi e Milesi, senza contare non pochi fidi Persiani. Lo storico A. G. Russell, già nel 1942, suggestionato dalle vicende della Guerra Civile Spagnola, in un suo saggio della Cambridge University, durante la seconda guerra mondiale, studiò le fonti della guerra persiane in esame - Senofonte e Arriano in particolare - evidenziando che il mercenario greco non disdegnava di far parte di un esercito di altre città fuori dalla Patria, per la semplice ragione che da bracciante, liberto o schiavo che fosse preferiva combattere al soldo di potenti piuttosto che morire di fame (Aristofane nelle sue commedie lo aveva ben chiarito attraverso non pochi personaggi dalla Pace agli Acarnesi). La povertà - dice Russell e lo motiva con dati economici - aveva assillato le campagne e le città continente durante la lunga guerra del Peloponneso, come avverrà con la Guerra dei trent'anni nel '600 e poi anche nell'Italia Meridionale fra il 1940 e il 1945. L'austriaco Martin Zimmermann, nel secondo dopoguerra del suo paese ridotto male dai bombardamenti degli alleati, riesaminò e approfondire e valutazioni del Russell. Alla fine della Guerra del Peloponneso (405 a. C.), quando a Egospotami il generale spartano Lisandro vinse in mare sorprendentemente la flotta ateniese, tutte le Città/Stato erano in condizioni disperate, scriveva: la soluzione mercenaria degli ultimi combattenti era l'unica scelta per non morire di stenti ... I Capitani militari divennero Capitani di quell'industria ... le guerre di ventura divennero il terreno per la formazione di nuovi Stati, dove le nuove Polis erano fondate su costituzioni di guerra atte a mantenere una classe di guerrieri, un ceto speciale rivolta alla vita militare. L'ingrandimento delle federazioni di città più piccole e un esercito basato sulla coscrizione obbligatoria era ancora al di là da venire. Piuttosto - continua lo Zimmermann - era prassi normale che compagnie di ventura prestassero la loro opera da una città contro l'altra, dietro compenso che il gruppo armato valutava di volta in volta.
Un fenomeno che avverrà in Italia nel XV secolo e che solo nel secolo seguente consentì ad alcuni valenti condottieri di ampliare lo spazio conquistato in Stati più organici, passando dalla Signoria locale al Principato. E così già fu per la Grecia del terzo secolo, in mano a manipoli di guerrieri che abbandonarono la vecchia polis civile e vagarono di città in città, contrattando incarichi e compensi, spesso rapinando e violentando, uccidendo e saccheggiando quando il riscatto o l'aumento di paga non li soddisfaceva. Così avvenne per Senofonte. Abbiamo visto che l'avventura non lo spaventava, che qualche delitto non lo aveva neppure disertato nelle scorrerie contro i democratici nelle campagne dell'Attica e che un po' di stenti li aveva avuti quando la democrazia con Trasibulo era ritornata al potere. E quindi, fuggito a Sparta, ma senza un soldo da emigrato, la proposta di essere un ufficiale al soldo del generale Clearco fu per lui una soluzione di vita. Del resto, l'insegnamento di Socrate, suo maestro, lo aveva toccato nel profondo, soprattutto quel conosci te stesso che gli aveva prodotto una straordinaria domanda di solidarietà virile e di capacità comunicativa col compagno che spesso gli morirà accanto. Sentimento che il suo diario della guerra contro Artaserse - l'Anabasi appunto - originalmente presentava pagina per pagina. Per esempio, l'episodio che motivò la sua scelta di guidare la ritirata dei 10.000 mercenari dalla Persia.
A Cnosso, nell'estate del 401 a. C., a 70 km. da Babilonia, i Greci furono essenziali per la vittoria di Ciro, ma persero la guerra, perché i loro comandanti, privi di scorta e convocati dal generale Tissaferne - ora divenuto Capo di stato maggiore di Artaserse con spregevole trasformismo - li fece trucidare, simulando di proporre la pace. Del resto, Ciro, proprio per mano di Artaserse, venne ucciso e dunque la truppa all'improvviso perse lo Stato Maggiore, come avvenne a Katyn in Polonia nel maggio del 1940, quando i Tedeschi - o i Russi? - trucidarono con lo stesso inganno 22.000 soldati e ufficiali polacchi. Senofonte narra l'antefatto e la strage, ma anche la organizzazione della fuga. Dalle sue accorate parole, emerge un eroico esodo per la Mesopotamia e l'Armenia, poi lungo le coste dell'Anatolia del Nord fino alle coste della Tracia. Due anni di marcia fra pericoli, malattie e stenti che la penna abilissima dello Storico rese leggendaria. Una condotta scaltra e autorevole per la sequenza dei fatti, scritti dallo stesso colonnello, che seppe accattivarsi la stima della truppa infondendo speranza e prospettive di vittoria, operazione che qualche decennio dopo fu ripetuta da Alessandro il Macedone, che ritornò al contrario per quelle vie, sconfiggendo i Persiani fino ad arrivare al Gange. E' altrettanto singolare la storia narrata da Senofonte, sia quando arrivano al Mar Nero, gridando mare, mare, piuttosto che pregare gli Dei. I mercenari ringraziarono quel colonnello divenuto ora il loro Dio.

 

  1. La posizione di Santi Mazzarino e la rilettura in chiave letteraria
Uno storico, italiano, Santi Mazzarino, superando la retorica storiografica di Regime, che relegava Senofonte nel ruolo marginale di uno scrittore di romanzi d'avventura; negli anni '60 ne sottolineò invece la relazione essenziale fra storia politica e personale nel modello di De Sanctis. Scelta che il Mazzarino derivava dalla rilettura dei Commentari di Cesare, che Nietzsche aveva interpretato come l'unico modo per capire la Storia, vale a dire la lettura soggettiva e la sua opinione sui fatti e perfino la tattica militare. Infatti proprio nel libro V della Anabasi; Senofonte disobbedisce ai suoi superiori che giudica incapaci e si pone a influenzare i soldati, modificando lo stile dalla terza persona al tu diretto, per fare propaganda di sé e col senno del poi dimostrare la propria ragione. Dialettica narrativa che lo distingue così da Tucidide, il cui distacco dai fatti è notorio ma certamente freddo e poco coinvolgente. Già la questione era emersa nella Apologia di Socrate, precedente all'Anabasi.
Al di là delle citate perplessità di Canfora sulle rispettive datazioni della nascita e sulle possibili revisioni di entrambi le opere da parte dello stesso autore; certo si è che la sua opera sul Socrate storico rispetto al Socrate letterario risponde all'esigenza di spiegare al popolo il grande filosofo e la sua concezione sulla classe dirigente derivava dall'acquisire il consenso dei cittadini governati. Un embrione di pensiero che combinava la responsabilità del Capo con il convincimento morale dello Storico. Un'idea profetica della Scienza della Politica moderna, acutamente ampliata da Max Weber, che non per caso citava quella Apologia nelle sue lezioni. Ma riprendiamo la biografia dello scrittore di Atene. Tornato a Bisanzio dopo il viaggio periglioso or ora descritto, si sofferma a Sparta dal Re Agesilao, di cui scriverà una biografia il cui stile sembra anticipare quello di Plutarco, proprio in armonia con le sue idee che esulavano dalla pratica storiografia asettica di cui si disse. E così non gli mancò di confermare le sue simpatie spartane, malgrado che a Coronea nel 394 a. C. si avesse una vittoria ateniese contro Tebe alleata di Sparta. Fu la goccia che fece traboccare il vaso degli Ateniesi contro la sua persona, visto che lo esiliarono e gli sottrassero ogni sua proprietà. Agesilao, che da tempo lo stimava come storico militare, però lo ricompensò concedendogli in proprietà un fondo agricolo a Scillinunte, vicino Olimpia, dove visse per un ventennio un periodo di studi e di ampia riflessione sulla sua vita avventurosa e sulle ideologie che aveva praticato, cioè l'odio per la Democrazia e l'amore per l'oligarchia.
Nel 371 la vittoria dei Tebani a Leuttra sulla coalizione ateniese e spartana, ruppe la sua tranquillità familiare e lo riportò a una nuova peregrinazione, ormai in età avanzata, a Corinto. Per sua fortuna, la vecchia contesa con Atene - peraltro nei decenni precedenti da lui stesso minimizzata, malgrado qualche scapestratezza giovanile a favore degli oligarchi legati al primo Alcibiade - era sfumata, facendogli ottenere dal nuovo governo democratico una revoca dell'esilio. Il ritorno successivo degli oligarchi al potere gli aprirono le porte ad Atene, testimoniata dalla militanza nell'esercito ateniese dei figli Grillo e Diodoro. Tuttavia a Mantinea nel 362 il figlio maggiore Grillo Junior morì e il vecchio Senofonte ottenne per il figlio un doveroso encomio. Oltre non si sa. Negli ultimi anni sembra che la sua vita fosse quella del gentiluomo di campagna che dismetteva a sera la veste di uomo di mondo di piccolo borgo agricolo, per indossare la sera i panni dell'uomo di pensiero, votato all'analisi storica e filosofica della sua vita passata e del futuro del mondo. Non è un caso che Machiavelli, dopo dieci secoli, gestirà la sua seconda vita allo stesso modo: da giovane segretario immerso nella politica del suo tempo, studioso della nascente società moderna.
Proprio la lettura dello Ierone Siracusano di Senofonte lo influenzerà. Per esempio, il cap. VI del Principe e il cap. XXX, par. 6, dei Discorsi, anche il fiorentino non cesserà di esternare le sue opinioni critiche sui governanti dell'epoca. Invero, lunga è la schiera dei filosofi che dialogano di Storia, dal Maestro Platone, al satirico Luciano, dal biografo Plutarco, e giù giù da Seneca ad Agostino, fino a Leopardi. Ma è il dialogo fra Ierone e il poeta Simonide di Ceo - immaginato nel 476 a.C., quando a 80 anni il poeta venne chiamato alla festosa corte del Siracusano cui volle affidare al poeta ormai celebre la celebrazione della sua prima vittoria olimpica. Fu l'occasione estetica dove esporre i motivi per cui il tiranno rimane melanconico, aspirando, piuttosto a pensare che essere un uomo qualunque è la forma di vita più serena del Principe. Ma Simonide gli oppone che il tiranno ha un modo per ritrovare quella felicità che gli appare perduta, vale a dire perseguire il bene dello Stato e dei Cittadini. Non è mancato, come il citato Mazzarino, che ha voluto rinvenire un canone della cultura ellenistica, quando proprio un oligarca d'hoc come Senofonte propaganda il governo di uno solo al comando, a patto che abbia fatto del bene al popolo.
Del resto, quel dialogo sarà letto da uno storico conservatore dell''800 come Carlyle e da un politico filoimperialista come il Bismarck. Ma ci sovviene anche la quasi parallela vicenda di Platone - sicuramente conosciuta da Senofonte, ma altrettanto certamente non molto amato malgrado la comune vicinanza con Socrate - che nei notissimi viaggi a Siracusa fra il 388 e il 386 a.C. presso il pari despota Dionisio il vecchio e poi del figlio, non riuscì a dare quei giusti consigli che i tiranni pretendevano per superare le angustie del governo dei pochi. E più di recente, il politologo moderato Leo Strauss ha preso le parti di Simonide, giudicando i suoi dubbi sulla tirannide come teorie astratte che lasciano le questioni sociali irrisolte. Piuttosto, le correnti di destra moderata odierne vedono il pericolo di una democrazia incapace di reggere l'urto del governare una società aperta alle innovazioni della scienza e della tecnica proprio perché influirebbero negativamente sulla morale comune. Eppure, come dirà Weber, l'etica della convinzione, sia del governo di molti che del governo di pochi, deve cedere alla etica della responsabilità, vale a dire l'opportunità della mediazione degli interessi fra le classi. Dunque quale migliore gestione se non quella che Simonide, alias Senofonte, che suggerisce al tiranno, come sia necessaria perseguire la realizzazione concreta del bene comune. Anche se tale via non sia ancora di facile soluzione, come stiamo oggi vedendo nelle scelte di Trump, di cui il presunto Bene per quella Nazione non ci sembra ora affatto raggiunto.

 

  1. Conoscenza storica e immaginazione letteraria. Il ruolo dello scrittore che si fa storico
Il passaggio ideologico dello storico da una conoscenza storica meramente fattuale al doveroso rilievo morale non mancò proprio in Senofonte, uno storico che si fa per primo letterato. Di fronte, alla storia che si ripeteva - Atene democratica e poi oligarchica; Sparta prima oligarchica e poi democratica - andava oscillando il senso comune dei cittadini dallo scoramento alla soddisfazione di una parte in senso diametralmente opposto all'altra. Si cadeva allora nella rassegnazione di Tucidide che vedeva quanto fosse precario il sentimento della ricerca del bene comune. Oppure regnava il cieco fideismo di Demostene e l'allegra ironia senza speranza di Aristofane. Ecco perché Senofonte già nell'Anabasi propone un salto di qualità della interpretazione della storia aderendo all'immaginazione estetica e alla forma letteraria popolare, altra via che poteva confermare la verità storica vilipesa dal political correct della classe politica di turno al Potere. Senofonte, cioè, anticipa Plutarco nella biografia, a suo dire la mediazione fra fatti e valori tentata da Tucidide fino ad allora con scarsa efficacia. La Ciropedia - scritta nel periodo ateniese dopo la revoca dell'esilio (365 a.C.) - è la formula alternativa alle opere storiche di Tucidide ed Erodoto, finora uniche nella Grecia Classica. P
resa a modello pedagogico la Vita di Ciro il grande, si va sul racconto dell'educazione del re Ciro di Persia impartita dal padre Cambise durante la fanciullezza e la maturità proposte con una attenta valutazione e precisione. La vecchiaia e la tragica morte - dopo la conquista di Babilonia (540 a.C.) - invece hanno in Senofonte una natura quasi da fiction, forma che Plutarco amplierà per esempio nella sua biografia di Giulio Cesare. E qui emerge la scelta pedagogica di Senofonte - che come vedremo influenzerà la storiografa romantica ottocentesca e la letteratura moralistica di Thomas Mann - cioè che lo storico può coprire la mancanza di fonti creando la figura di una Re saggio e giusto, grande e combattente e mite in pace, il principe Augusto, modello ideale di virtù e di morale infinita, prototipo di quella democrazia autoritaria che Mussolini e Hitler - ma anche Napoleone III a metà '800 - imposero come contraltare al modello liberale di Costant e di Kelsen nelle svolte politiche e democratiche successive alla Rivoluzione Francese. Sia come sia, il messaggio di Senofonte appare profetico nel conferire alla realtà storica una cornice favolosa e nella bellezza di una Corte mitica, ma infarcita di spunti romanzeschi, mescolando toni avventurosi e stimoli perfino erotici, quasi da Commedia dell'Arte.
Emerge così la fiaba di Panteia, dove l'umanità si fa epica, fino all'estremo sacrificio d'amore di Schilleriana fattura, tantoché Johann Herder nel 1774 sostenne che la Letteratura era la fonte migliore per fare Storia. Ma non era stata l'unica voce dell'epoca che aveva aperto la strada alla letteratura come luogo della verità storica. Già Pierre Bayle e Giambattista Vico avevano sviscerato il tema, l'uno con una certa acribia critica, l'altro lo aveva magnificato dando spazio alla fantasia quando le fonti storiche non consentissero la completezza della conoscenza dei fatti. Da questa triade di razionalisti moderni, nacque la costante questione se il romanzo, specie se avente uno sfondo storico, sia anche una fonte storica. Certamente chi si è addentrato lungo i secoli della modernità su quella domanda - per esempio nel '900 Georg Simmel (1907) - ha dovuto disboscare concetti e metodi alquanto intricati e di non facile scioglimento, specie se lo scrittore ha avuto un successo di pubblico o una evidente eclissi critica. Un altro dato di fatto è l'affluenza di romanzi storici dove l'invenzione narrativa scende o sale a seconda del mercato che chiede o tollera, se non impone, la prevalenza della narrativa fantasiosa, oppure una maggiore aderenza al Vero. Circostanza ondivaga testimoniata dalle sceneggiature cinematografiche o televisive dove spesso si parla di fatti ispirati o strettamente legati alla realtà. Anzi, oggi non mancano opere in dialogo con la Storia, con la Filosofia e le Scienze esatte.
Il rischio paventato dagli illustri autori del razionalismo or ora citati è che vi sia o una piatta relazione del passato, perfetta cronaca ma arida e dunque inutile a creare domande di attualità, o una elaborazione e una fervida improvvisazione che del pari allontani i lettori del messaggio ideologico che può renderne utile la riproposizione. Acribia probatoria del contesto e fantasia acrobatica sono i mostri da evitare. Se poi lo storico adotta uno stile estetico comprensibile, magari mediando un fatto singolare in proiezione di una realtà storica generale, il successo morale e politico della narrazione è possibile. Per esempio, quando Pietro Verri e Cesare Beccaria da storici scrissero il saggio storico Osservazioni sulla tortura e Dei delitti e delle pene, usarono il metodo evolutivo del Bayle e forme di linguaggio propri dalla materia; ma sarà Alessandro Manzoni a esprimere con dovizia la conoscenza dei fatti disumani effettivamente avvenuti e a farli rivivere nell'immaginario del lettore, dando una lettura critica di un evento avvenuto in particolare spesso poco conosciuto e che lo scrittore riesuma per riaprire l'archivio della memoria collettiva. La storia della colonna infame e I promessi sposi costituiscono esempi plateali di un romanzo storico equilibrato fra fatti e valori, fra cronaca e storia critica, come ebbe a dire Nietzsche nella famosa Considerazione inattuale sull'utilità e il danno della storia per la vita del 1873.
E tuttavia l’accettazione della fonte letteraria fra le fonti storiche va adeguata a cautele che non vanno dimenticate, a pena di ricostruire una serie di eventi pur avvenuti nel tempo e nello spazio, ma che non debordino nel soggettivismo più assoluto, sebbene l'autore si sforzi a ricreare una determinata verità del passato. Il rischio estetico a danno dei limiti del contesto parte dallo stesso autore ma resta il giudizio del pubblico e soprattutto del critico. Il testo letterario e il testo storiografico vanno tenuti a debita distanza, come parallele che non debbono necessariamente incontrarsi. Il binario rimane sempre quello di un attento confronto.
E se vediamo proprio una fiaba in un racconto di Heine, un romanzo di Dickens, se non addirittura una novella di Calvino, non dobbiamo mai dimenticare il contesto storico. Infatti, proprio Senofonte narra che Pantea, moglie del Satrapo Abradate (VI sec. a.C.), era un'onesta moglie e una madre di famiglia, catturata e resa schiava dei soldati di Ciro, a caccia del marito traditore del Re. Pantea, ottene però da Ciro non solo di essere rispettata nel suo pudore, ma appena liberata convinse il ribelle marito e allearsi al Re e ad affiancarlo nella guerra contro gli altri Satrapi in rivolta. Ma quando seppe che il marito era morto in battaglia, da eroina di Alfieri si uccise. Una vergine immolatasi per sconforto o per amore? Degna di una protagonista di moderna di Anouilh o di un Pirandello? E alla domanda se Senofonte sia uno storico o un romanziere; se anche la storiografa antica appartenga con coscienza alla purezza dei fatti o sia inficiata da valori estetici, come pare per quella romantica e decadentista; se cioè il Senofonte scolastico sia veramente uno storico, o uno scrittore pedagogo come Platone; se sia biografo della persona o delle masse; non possiamo che aderire al suo spirito mediatore di interessi opposti. E' una storiografia realista e materialista di fine '800 che fu adottata dal Simmel, cioè l'adattamento di un fattore spirituale che meglio potesse chiarificare e giustificare una storia molteplice di fatti non sempre armonizzabili. Dove ogni evento è un tassello di un intero affresco, ivi compreso il particolare umano che ci dà la totalità dell'evento per come è verosimilmente accaduto. Un metodo che autorizzerebbe lo storico contemporaneo a essere lo strumento di lettura dei fatti del passato e di confrontarli col presente, quasi un pedagogo della società, sapendo di dare a questa una guida, anche in forma di romanzo, che impedisca la deriva cui spesso questa possa cadere, magari ripetendo gli errori del passato, rischio quotidiano e attuale.
 
Giuseppe Moscatt


 Note bibliografiche:
  • Per una biografia e per le opere di Senofonte, vd. SANTO MAZZARINO, Il pensiero storico classico, vol. I, Bari, 1966, pagg. 343 e ss.
  • Per un commento storico moderno sull'Anabasi e sul fenomeno antico delle Compagnie di Ventura, vd. A.G. RUSSELL, The Greek as a Mercenary soldier, Greece e Rome, 1942; nonché MARTIN ZIMMERMANN, Die griechische Polis: alte Geschichte, ed. komplett- media, ebook, 2011.
  • Su Senofonte politico,cfr. LEO STRAUSS, Ueber Tyrannis: eine Interpretation von Xenophons Hieron, Berlino, 1963.
  • Sulla fortuna di Senofonte, scrittore, cfr. LUCA BIASARI, Nello scrittoio di Machiavelli. Il Principe e la Ciropedia di Senofonte, Carocci editore, 2021.
  • Vd. di Alessandro Manzoni, il saggio Opere varie, 1845, Del romanzo storico ed in genere dei Componimenti misti di storia ed invenzione, che nega l'assolutezza del rispetto scrupoloso della verità storica da parte dalla poesia e plaude alla autonomia dell'arte.
  • Sul pensiero di come scrivere la storia, vd. MASSIMO CACCIARI, Introduzione a Georg Simmel, Saggi di estetica, Padova, 1970, nonché MARCO VOZZA, I confini fluidi della reciprocità: saggio su Simmel, ed. Mimesi, Milano, 2002.

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