Nell’ultimo pomeriggio della gita scolastica, a Montefiascone, ascoltai una ragazzina di una classe non mia, una che diceva di assumere droghe leggere.
Le domandai perché lo facesse. Rispose che aveva iniziato per imitare una sua amica. Diceva che l’ammirava in quanto l’aveva trovata più interessante di tanti altri giovani che deplorano lo squallore della società però vi si adattano e combinano affari meschini. Parlava stancamente e con una tristezza che contrastava con lo scherzare e il ridere dei suoi compagni.
Cercai di dissuaderla dal procedere sulla via dell’autodistruzione.
Le dissi: “prova a osservare la vitalità delle gemme, dei fiori, i colori della terra e del cielo, i voli degli uccelli contenti, l’ordine del firmamento, la luce del sole, e cerca di essere più naturale, più viva, più alllegra anche tu”.
Replicò che voleva dimenticare i dolori sofferti, le delusioni patite, i tradimenti subiti.
Obiettai che bisogna rammentare le sofferenze piuttosto che scordarle.
Ricordare il dolore per trarne intelligenza e amore della vita.
Quando soffriamo, significa che abbiamo sbagliato strada: ci siamo traviati o lo siamo stati. Come ce ne accorgiamo, dobbiamo tornare indietro fino al trivio dell’errore. Quindi bisogna trovare o ritrovare la strada che è nostra, quella dove procediamo bene. Per tornare su quel crocicchio è necessario non scordare il percorso dei passi sbagliati.
Mi ringraziò e promise che avrebbe cercato di emanciparsi dalla schiavitù della droga.
Oggi penso che quanti si drogano lo fanno perché non trovano a casa né a scuola modelli di forza mentale, caratteriale e di pulizia morale; viceversa la debolezza, il vuoto spirituale e la prepotenza di cui tanti adulti e ragazzi danno spettacolo osceno da diversi palcoscenici e pulpiti, contagiano gli animi dei poveri d’identità personale, la miseria più esposta al rischio della mortificazione.
La sera finalmente telefonai a Ifigenia dicendole che mi mancava la sua presenza vitale e radiosa. Ne fu contenta e si rassicurò sul mio amore per lei. Fui certo a mia volta del suo per me. Rimasto solo, pensai che non mi avrebbe lasciato o tradito neppure se Giove stesso o Gesù Cristo o l’onesto Giovanni in persona le avessero fatto la corte.
Invece un paio di anni più tardi mi abbandonò per seguire un trombone circense in una notte di mezza estate.
Ora so che questo è stato un bene, ma allora ne piansi al lume della luna, bianco sulla spiaggia e tremulo sul mare di Riccione.
Ogni amore finisce quando non ha più ragione di essere.
Questo si dovrebbe insegnare agli uomini che ammazzano le donne stanche di loro. Dovrebbero ringraziare chi se ne va. Lo scrivo per i miei lettori recenti, degli antichi già ognuno lo sa.
Bologna 24 aprile 2025 ore 18, 04 giovanni ghiselli.
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