Cosa seria fu la lettera del 20 marzo. Voglio trascriverla senza correzioni sebbene sia poco curata nella forma poiché è situata sopra la vetta più alta della nostra storia, scivolata poi e decaduta tra pianure nebbiose, burroni, fratte, macerie, pantani infetti finché è rovinata in una cisterna la tragica notte fra il 12 e il 13 giugno del 1981 durante le orribili ore del pozzo di Vermicino dove finì ante diem la vita del piccolo Alfredo con una morte spettacolarizzata dalla televisione che rallentava i soccorsi.
Quella mattina di marzo scrivevo mentre i miei ginnasiali facevano il primo compito di latino.
Ifigenia è chiamata Nike perché sentivo che alleato con lei potevo vincere la gara davvero olimpica contro l’incapacità di amare inoculatami da familiari imperiosi, certi preti maligni e stupidi e alcuni maestri pessimi.
La concupiscenza ridondante e recrudescente, mischiata ad angoscia, a esibizionismo, a capriccio, doveva perdere quanto aveva di teatrale, di spettrale e di sadico per diventare amore.
La grazia di Priapo abbondante e continua non era ancora bastata a debellare le due erinni crudeli: la lurida vergine figlia dell’Odio e la meretrice avida, mai sazia di possedere.
Queste furie dal ventre appestato, pur temporaneamente confutate, erano ancora presenti e vive negli interstizi ancora infetti dell’anima mia.
La dolce stagione incipiente mi stava aiutando, ma già nel mese di agosto quando la forza del Sole Iperione cominciò a declinare e la mia splendida Nike iniziò a spennacchiarsi, oscurarsi, ingrugnirsi insomma a deformarsi, le due Erinni intonarono l’orrendo alalà della loro vittoria e mi ritolsero la Nike oramai degradata a misera cosa mortale debole, bugiarda, infingarda.
Erano mancate nell’uno e nell’altra l’intelligenza e la forza morale necessarie a trasformare e sublimare la libido in affetto, attenzione, cura della persona umana, la propria e quella dell’amante.
Diventammo invece una coppia scellerata: due amanti che, pur copulando, simulavano e dissimulavano continuamente, per mutua sfiducia e per odio reciproco, come vedrai lettore. Ma intanto ti trascrivo la lettera del 20 marzo.
Cara Nike,
uso uno pseudonimo perché tu agli occhi miei significhi la Vittoria sulle tristezze miei e su i mali del mondo. Con te ho sconfitto tante precedenti miserie della mia vita. Negli ultimi anni, e l’estate scorsa in particolare, mi sono disperso in parecchie relazioni prive di profondità emotiva e mentale comportandomi da festivus amasius , da desultor amoris non abbastanza attento ai sentimenti e all’umanità delle mie diverse amanti. Con te invece ho trovato un’intesa che ha modificato il mio sentimento amoroso rendendolo sensibile, delicato e vibratile come le ali di una farfalla o di un colibrì.
Tu hai la forza della natura e scegliendo me hai donato all’ umbraticus doctor, e pure al saltimbanco amoroso che ero, la forza di uno studioso vivo, l’efficacia di un educatore egregio, la soddisfazione di un uomo contento di sé, in quanto molto contento di te”.
Ho riletto queste righe con attenzione e le ho copiate senza correggerle, anche se lo faccio sempre quando mi rileggo perché correggendo le parole che ho scritto, correggo me stesso
Mi firmai e aggiunsi questo post scriptum: “Remissa erunt peccata mea multa quoniam dilexi multum, te solam dilexi multum et diligam semper”.
Nel pomeriggio di quel 20 marzo, mentre ero seduto al tavolo del mio lavoro e vedevo il sole calare tra gli alberi delle colline, quindi sparire con un ultimo sorriso intorno alle 18, 10, scrissi una preghiera piena di gratitudine all’astro degno di farsi esempio di Dio[1]
“dio, ti ringrazio perché sono sano, perché mi piaccio, perché amo Ifigenia.
Ti ringrazio per questa tua presenza nel cielo dopo le sei di sera, una borsa di studio dopo il buio dell’inverno.
Ti ringrazio per avere illuminato e svelato con i tuoi raggi santi me a Ifigenia e Ifigenia a me.
Oggi pomeriggio ho corso i 5000 metri. Ali sembravan le mie gambe snelle abbronzate e vivificate dalla tua luce eroica. Dedico questa fatica gioiosa a te, Mente dell’universo, mio luminoso Signore.
Non posso nominarti senza gioia e riconoscenza a Te e alla tua splendida luce divina.
Ti prego Signore del mondo, aiutami a diventare migliore, tu che sei il primo di tutti gli dèi, e nutri la vita. Conservami e accrescimi i magnifici doni elargiti dalla tua grazia che avrà la mia gratitudine in saecula saeculorum”
Non ho cambiato nessuna di queste parole recuperate dal mio antico autografo dilavato e graffiato perché quello fu un giorno di tanta pienezza vitale e soddisfazione mentale che ho voluto ricordarlo come l’ho pensato vivendolo e buttandolo giù nel quaderno.
Bologna 23 aprile dicembre 2025 ore 19, 30 giovanni ghiselli.
p. s.
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