L’olivo e la vite sono più umani dell’alloro.
Bloom cammina lungo Dorset street di Dublino e legge su Agendath Netaim: società di piantatori. Legge o ricorda
“Aranceti e immensi campi di meloni a nord di Giaffa” (Joyce, Ulisse, p. 83). La sua mente va verso ambienti mediterranei, israeliani in particolare. Vegetazione mediterranea: “gli ulivi costano meno: per gli aranci ci vuole l’irrigazione artificiale”, Olives cheaper: oranges need artificial irrigation 53
Tornerà il tema della carenza d’acqua della sua preziosità
Un tema diffuso nel poema The Waste Land, la terra desolata di T. S. Eliot uscita nel 1922 come l’Ulisse di Joyce.
Bloom, ebreo, è attirato dal mediterraneo forse nostalgicamente in maniera filogenetica.
Spagna, Gibilterra, Mediterraneo, il Levante. Cassette in fila a Giaffa”
L’olivo è umile e prezioso come certe persone.
“incipriati olivi argentei”-Silvered powdered olive trees”.
Excursus: l’olivo, l’alloro e la vite.
Gli olivi cominciano a comparire anche a Bologna. Fino a pochi anni orsono qui non c’erano. Mi mancavano. La zia Giulia mi ha lasciato un piccolo oliveto di tre ettari a Montegridolfo. Uso quell’olio come regalo eletto per gli amici più cari e preziosi.
Ho sempre amato gli olivi “i fratelli olivi-che fan di santità pallidi i clivi-e sorridenti”[1].
Quando preparavo l’esame di matuturità, 61 anni or sono, mi colpì il giambo IV di Callimaco con la contesa- nei`ko~ -tra l’olivo e l’alloro avvenuto sullo Tmolo, monte della Lidia
L’alloro è sprezzante verso l’olivo: le tue foglie, dice, sono su un lato bianche come ventre di biscia, l’altro lato è arso dal sole. L’olivo viene chiamato oh stolto- ejlaive w[frwn-, mentre l’alloro si qualifica come ijrhv-, sacro e puro ajgnhv- non contaminato da funerali e becchini.
Con l’alloro venivano incoronati i vincitori delle gare Pitiche a Delfi.
Poi l’olivo che genera unguenti hj tekou`sa to; cri`ma rispose all’alloro.
La gara di Olimpia intanto è più grande wJgw;n ouJn jOlumpivh/ mevzwn di quella di Delfi hJ jn toi`~ Delfoi`~.
Callimaco riferisce quanto ha sentito dire da due uccelli loquaci
Pallade la figlia prediletta di Zeus ha trovato l’olivo quando gareggiava con Poseidone.
Qual è il frutto dell’alloro? Tiv th`~ davfnh~ oJ karpov~; A che mi serve? ej~ tiv crhvswmai; Non a mangiarlo né a berlo né ad ungermi.
Quello dell’olivo invece è un bel boccone popolare.
Insomma prevale la pianta utile su quella ornamentale.
Il Giambo più noto dei 13 di callimaco è questo dove i due alberi si cimentano in una contesa che vede prevalere l'utilità e l'umiltà del primo sulla pretenziosità del secondo il quale viene ridicolizzata dall'ironia del poeta.
L’alloro (davfnh) rivendica la sua sacra presenza a Delfi, in quanto albero amato da Apollo.
Invero dal santuario di Delfi si vede un oliveto che si estende nella valle sottostante per diversi chilometri.
L’alloro spregia l’olivo la cui foglie hanno un lato bianco wJ~ u{drou gasthvr, come ventre di biscia (IV, 22) e uno arso dal sole (hJlioplhvx).
I raggi del sole toccano i fortunati e li rendono belli, armoniosi come il plettro di Apollo che tocca le corde della lira.
I Giambi di Callimaco non presentano la consueta aggressività del metro e possono essere ascritti al nuovo genere spoudogevloion, seriocomico,
Cfr. Giacomo Zanella (1820-1888) che invece
Contrappone l’ Alloro alla Vite
Odio l’allor, che quando alla foresta
Le nuovissime fronde invola il verno,
avviluppato nell’intatta vesta
verdeggia eterno,
pompa de’ colli; ma la sua verzura
gioia non reca all’augellin digiuno;
ché la splendida bacca invan matura
non coglie alcuno.
Te, poverella vite, amo, che quando
Fiedon le nevi i prossimi arboscelli,
tenera l’altrui duol commiserando
sciogli i capelli.
Tu piangi, derelitta, a capo chino
Sulla ventosa balza. In chiuso loco
Gaio frattanto il vecchierel vicino
Si asside al foco,
Tien colmo il nappo: il tuo licor gli cade
Nell’ondeggiar del cubito sul mento;
poscia floridi paschi ed auree biade
sogna contento”.
In un altro campo della nonna Margherita partecipavo al lavoro della vendemmia imparando molto dai contadini,
Credo che questi siano ottimi esempi anche per noi umani.
Cfr. Seneca:" Vivit is qui multis usui est, vivit is qui se utitur " (Epist. ad Luc, 60, 4) vive chi si rende utile a molti, vive chi si adopera.
L’olivo e la vite sono piante più utili all’uomo e più benefiche dell’alloro, dunque più umane
Torniamo a Bloom. Ricorda: “Molly le sputava di bocca” 83 Molly spitting them out 53. Sputava le olive. Ora sa che sapore hanno. Knows the taste of them now. Probabilmente sputava solo i noccioli delle olive,
Quindi arance avvolte in carta velina in casse. E cedri. Venuti da terre lontane: Spagna, Gibilterra, Mediterraneo, il Levante. Desiderio di evasione in terre soleggiate,
Nel cielo di Dublino invece una nuvola comincia a coprire il sole. Grigia Lontana. Nuvole che offuscano il cielo e a volte anche i cervelli umani. Necessarie però. Se no: una terra arida, desolata.
L’Oriente però non viene ricordato come un luogo tutto ameno
Gli viene in mente il mar morto 84 The ded sea: no fish, weedless 53, niente pesci, niente vegetazione, affondato giù nella terra. La terra desolata è senza vita, senza acqua chiara che rigenera: acque dalle nebbie venefiche poisons foggy waters 54. Sodoma, Gomorra, Edom, tutti nomi morti.
A dead sea in a dead land, grey and old, un mare morto in una terra morta, grigia e vecchia. Poi si corregge: vecchia ora. Ha generato la più antica razza, la prima. Old now. It bore the oldest, the first race. La gente più antica. The oldest people. E’ il sentimento ambivalente di tanti Ebrei verso la propria stirpe: penso a Woody Allen.
Questo popolo ha errato lontano per tutta la terra, di cattività in cattività, moltiplicandosi, morendo, nascendo dovunque
Bloom vede una vegliarda curva che attraversa la strada e fa una contaminatio tra l’anziana e la terra infeconda. Ora non poteva più generare. Morta: quella d’una vecchia: la grigia vulva affossata del mondo 84. Now it could bear no more. Dead: an old woman’s the grey sunken cunt of the world 5
Desolation54desolazione. 84
Antigiudaismo di Tacito. Va conosciuto per confutarlo.
Tacito e l’excursus sulla Giudea nel V libro delle Historiae
Anche Tacito rappresenta la regione del Mar Morto come una terra desolata.
La Giudea viene descritta da Tacito, in un celebre excursus delle Historiae, come una regione corrotta abitata da gente corrotta: “Moyses quo sibi in posterum gentem firmaret, novos ritus contrariosque ceteris mortalibus indidit. Profana illic omnia quae apud nos sacra, rursum concessa apud illos quae nobis incesta” (Historiae, V, 4), Mosè, per tenere legato a sé il popolo nell’avvenire, introdusse riti inauditi e contrastanti con quelli degli altri mortali. Empio è là tutto quanto da noi è sacro e, viceversa, lecito tutto quanto da noi è impuro.
Lo storiografo ricorda alcune usanze e riti giudaici giustificati dalla loro antica tradizione, come il panis Iudaicus nullo fermento, il pane azzimo, il riposo del settimo giorno e del settimo anno, dedicato alla pigrizia (ignaviae datum). Già questa parte non è priva di malevolenza.
Quindi Tacito rincara la dose e aggiunge: “cetera instituta, sinistra, foeda, pravitate valuere” (V, 5), altre costumanze, sinistre, ripugnanti, si affermarono per la depravazione. I Giudei sono solidali tra loro, sed adversus omnis alios ostile odium, ma nutrono un odio da popolo nemico nei confronti di tutti gli altri.
Per distinguersi dagli altri popoli e riconoscersi tra loro, si circoncidono.
Nel testo non mancano le contraddizioni, come sempre quando si hanno pregiudizi e si fa propaganda. Questo popolo, oltre disprezzare gli dèi, non ama la patria, né i genitori, né i figli, né i fratelli. Tuttavia, per accrescere il proprio numero non sopprimono la prole. In conclusione di capitolo, Tacito respinge l’analogia che si è voluta trovare tra Libero, latore della religione dionisiaca e alcuni aspetti della cultura giudaica: “Quippe Liber festos laetosque ritus posuit, Iudaerom mos absurdus sordidusque” (Historiae, V, 5), Libero infatti ha istituito riti festosi e lieti, mentre il costume dei Giudei è assurdo e squallido.
La stessa terra di questa gente presenta aspetti sinistri: il Mar Morto e il territorio circostante sembra corrispondere al carattere malsano e alla cultura degenerata di questo popolo. Tacito descrive un lago grande quanto un mare ma sapore corruptior ( Historiae, V, 6), molto guasto al sapore, e portatore di peste agli abitanti con la pesantezza del cattivo odore. Non c’è vita in quel sudiciume quasi solido dove le cose gettate non vanno a fondo, e nemmeno gli uomini, anche se non sanno nuotare: periti imperitique nandi perinde attolluntur. Vicino a quest’acqua orrenda ci sono campi ora desolati, ma una volta popolosi con grandi città che si dice, fulminum ictu arsisse (V, 7), bruciarono colpite dal fulmine
Nella Genesi (19, 24) si legge di due città bruciate dall’ira divina poiché nemmeno dieci giusti vi si trovavano: “ Il signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco”. Gli abitanti di Sodoma volevano abusare dei due angeli ospiti di Lot.
Una storia che ha avuto larga risonanza nella letteratura europea.
Proust premette queste parole al IV volume della sua Ricerca: “ Prima apparizione degli uomini-donne, discendenti da quegli abitanti di Sodoma che furono risparmiati dal fuoco celeste”[2].
Di queste città distrutte ictu fulminum resta qualche traccia ma la terra stessa, dall’aspetto bruciato, ha perduto la forza di produrre frutti: “terramque ipsam, specie torridam, vim frugiferam perdidisse” (V, 7).
Tutto quello che viene alla luce spontaneamente ( cuncta sponte edita) o è seminato ( manu sata), atra et inania velut in cinerem vanescunt, divenuto nero e vuoto, svanisce come in cenere. Il fulmine celeste (ignis calestis), commenta Tacito, può esserci anche stato, ma è a causa del cielo e del suolo ugualmente guasti che imputridiscono i frutti delle messi e dell’autunno: “eoque fetus segetum et autumni putrescere reor, solo caeloque iuxta gravi”.
Il determinismo geografico presente nella letteratura antica trova delle corrispondenze tra il clima, il suolo e le forme dell’esperienza umana.
Il nesso tra l’ empietà della gente e la sterilità della terra si trova accennato anche nel Satyricon che “dipinge in una lingua da orafo i vizi d'una civiltà decrepita"[3].
Ganimede, chiacchierando con altri liberti ospiti di Trimalchione afferma, dando voce a una credenza popolare:" quia nos religiosi non sumus, agri iacent" (44, 18), poiché non abbiamo religione, i campi sono abbandonati.
Tacito procede facendo la storia dei Giudei e aggiungendo altre maledizioni: sotto gli Assiri, i Medi e i Persiani furono despectissima pars servientium (V, 8), i più disprezzati tra gli assoggettati; quindi, dopo Alessandro Magno, il re Antioco[4] tentò di sradicarne[5] il fanatismo et mores Graecorum dare, e dare loro dei costumi greci. Ma quella taeterrima gens, quella razza davvero ripugnante, non poté essere emendata a causa della guerra dei Parti.
In seguito i Giudei si diedero dei re i quali in un primo tempo vennero cacciati dal popolo ma poi tornarono.
Si tratta della dinastia sacerdotale degli Asmonei. Costoro racconta Tacito, avendo osato perpetrare bandi di cittadini, distruzioni di città, stragi di fratelli, spose, genitori e altre infamie usuali per i re, favorivano la superstizione poiché la dignità sacerdotale era assunta come fondamento del potere –fugas civium, urbium eversiones, fratrum , coniugum parentum neces aliaque solita regibus ausi, superstitionem fovebant, qui hono sacerdotii firmamentim potentiae adsumebatur (Tacito, Historiae, V, 8)
Le Storie di Tacito proseguono con la sottomissione dei Giudei da parte di Pompeo (63 a. C.). Segue la rivolta sotto Vespasiano e la distruzione del tempio operata nel 70 da Tito che nel 71 celebrò il trionfo. Da imperatore dovette rinunciare all’ebrea Berenice malvista a Roma quale novella Cleopatra Berenicem statim ab urbe dimisit, invitus invitam (Svetonio, Titi Vita )
Da imperatore Tito divenne amor ac deliciae generis umani (Titi Vita, 1)
Se un giorno non aveva fatto del bene a nessuno, diceva: “Amici, diem perdidi” (Titi Vita, 8)
Il racconto si interrompe con l’assedio di Tito a Gerusalemme che poi si concluse con centinaia di migliaia di Ebrei uccisi. Tacito però fa in tempo a ricordare che il popolo giudaico, gens superstitioni obnoxia, religionibus adversa (V, 13), gente soggetta alla superstizione, contraria alla religione, considera empio scongiurare i prodigi con sacrifici e preghiere (neque hostiis neque votis piare fas habet).
C’è un uso fazioso, malevolo nei confronti degli Ebrei, dei termini religio e superstitio.
E’ la forte, tenace cultura di questo popolo che suscita tanta incomprensione e tanto odio. Si tratta infatti di una gens restia a farsi assimilare, incapace di di "tener l'occhio fisso ai calzari dei Romani che sono al di sopra del capo", come Plutarco consiglia ai Greci di fare.[6]
Avvertenza: il blog contiene 6 note e il greco non traslitterato.
Bologna 14 aprile 2025 ore 18, 33 giovanni ghiselli
p. s.
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