giovedì 17 aprile 2025

Ifigenia XLII. la casa di Pesaro. Prima parte.


 

Il 24 dicembre andai a Pesaro. La casa dove ho abitato dal 1946 al 1963 può essere paragonata al Tartaro dei poeti greci e latini. Negli anni Cinquanta con me e mia sorella ci abitavano stabilmente i nostri nonni materni e  due delle loro figliole diffidando ciascuno degli altri, di se stesso e dell’intero genere umano. I più anziani, la nonna Margherita e il nonno Carlo  detto Carlino, litigavano quasi sempre e venivano spesso ingiuriati dalle figliole presenti: la più attempata e la più giovane delle loro cinque figlie. Avevano avuto anche un maschio come sesto, Luigi detto Gigi, che però come ogni uomo che mettesse piede in casa nostra era poco considerato. Da noi vigeva un matriarcato tirannico. Fin dalle elementari avevo capito che per salvarmi, per non essere schiacciato come uno scarafaggio dovevo primeggiare a scuola. La zia Rina che in casa nostra comandava su tutti con piglio autoritario e sprezzante aveva fatto la maestra all’estero durante il fascismo e continuava a farlo nelle elementari Carducci di Pesaro dove ero scolaro e quando lei veniva a sapere dai colleghi che suo nipote era il più bravo ne era contenta e mi gratificava di elogi. Tra tutti i miei consanguinei è stata quella che mi ha influenzato di più probabilmente perché avevo preso da lei più che dagli altri.

Era bella e aveva avuto diverse relazioni con parecchi uomini ma non si era mai sposata. Quando le domandai perché non lo avesse fatto, rispose: “perché mi sarei ritrovata a fare la serva di un uomo.

La ammirai. In questo l’ho sempre avuta come modello e pure nell’importannza che dava alla “scola” come diceva lei con la sua bella parlata aretina

La vittima bersagliata da tutti era suo padre  Carlino: il povero vecchio ogni giorno durante i pasti veniva assalito dalla moglie, poi dalle figlie che imitavano la madre, una donna piena di risentimento  contro il marito perché lui nel 1900 aveva sottratto lei diciottenne a una cospicua famiglia di proprietari terrieri. Il padre della nonna, Guglielmo Scattolari  possedeva più di 500 ettari tra Montegridolfo, Tavullia e il Tavollo.

Aveva sei figli il bisnonno e altri 6 la nonna con diversi altri nipoti sicché a me sono arrivati 18 ettari. Non ho mai voluto vendere nemmeno un metro di questa terra che amo molto più del denaro.

Vivo da povero e ne sono fiero.

La nonna Margherita aveva tenuto stretta la roba e maltrattava il marito che da tale connubio mal calcolato non aveva tratto vantaggi bensì umiliazioni. Per giunta era gelosa perché il nonno da giovane era stato un donnaiolo e la moglie credeva che pure da vecchio si desse da fare recandosi a ghermire ogni notte la fantesca che dimorava da noi, la povera Pina. Ogni tanto la nonna maltrattava anche la presunta amante del marito e quando le domandavo perché lo facesse, rispondeva: “domandalo a lei o al tuo nonnaccio. Quei due lo sanno”.

Questo è l’ambiente dove sono cresciuto in assenza di padre. La madre mia l’aveva lasciato tornando nella casa dei suoi genitori  e portandomi con sé. Avevo un anno e cinque mesi.

Da queste vicende derivano le mie malattie spirituali e pure  l’accanimento nel volere rifarmi, cioè recuperare l’Amore, la Bontà e l’Intelligenza  che mi erano stati negati quando vivevo in quella bolgia, prima senza aiuto, poi  con il conforto delle gare ciclistiche vinte sulla Panoramica e degli ottimi risultati scolastici nelle elementari Carducci, nelle medie Lucio Accio e nel Liceo ginnasio Terenzio Mamiani.

Dopo la maturità partìi per Bologna dove rimasi a studiare Lettere antiche.

Durai fatica a intessere una vita adatta alle mie capacità ma infine vi sono riuscito. Una vita normale non sapevo che cosa fosse e a dire il vero non mi attirava: cercavo di vivere una vita speciale,

La pena di cui mi ero investito per anni è la più grave di tutte: non con l’enorme macigno che pende dal cielo sul capo, non con gli avvoltoi che penetrati nel petto divorano il cuore, non con il terrore del cane tricipite dal ringhio metallico, né delle fetide Arpie, delle Erinni odiose che rinfacciano tutte le colpe con ira recrudescente, non con l’orrore del Flegetonte tartareo che rumoreggia travolgendo anche le rupi nella sua rapina, non con l’attesa di questi tormenti pagano il fio quanti prendono a calci l’altare santo della Giustizia, ma con l’insaziabile fame e l’inestinguibile sete di amore

Discite iustitiam moniti et non  temnere divos[1].

Le  sofferenze  patite personalmente e viste soffrire, talora anche inflitte ad altri, mi hanno insegnato la solidarietà con i sofferenti della terra.

Mio nonno Carlino era un uomo buono, e pure bello da giovane, eppure maltrattato da vecchio. Anche da me che imitavo le prepotenze di chi comandava e me ne vergogno ancora.

 Ero bravo a scuola ma non capivo.  

Ora comprendo e credo, ne  sono anzi certo, che il nonno Carlo mi ha perdonato. Se non sono del tutto cattivo lo devo al suo esempio. Ho preso da lui l’amore per le donne, il sole e la bicicletta.

Oggi sono grato a tutti “li maggior miei”

  La zia Giulia  tutti gli anni  tra il 1948 e il 1959 in agosto mi portava a Moena e mi imponeva la disciplina di cui avevo bisogno.

Anche lei aveva fatto la maestra all’estero e dava importanza alla scuola.  Dopo il fascismo insegnava a Roma.

Mi influenzò anche questa  zia, però meno della Rina siccome la frequentavo solo in estate, poi era sposata e senza amanti. Non era una vita fatta per me. L’ha fatta invece mia sorella e dice di esserne contenta.

E’ proprio vero quanto scrive Thomas Mann: Figli e nipoti guardano padri e nonni per ammirare, e ammirano per imparare  e perfezionare quello che in loro è già predisposto dall’ereditarietà”(La montagna incantata, secondo capitolo). Ciascuno di noi prende qualche apetto del fisico e del carattere da uno o da un altro dei  consanguinei, e se trova qualcosa che gli piace  riconoscendovi alcunché di se stesso sviluppa tali lasciti traendo un’identità da questo mosaico di tessere scelte e messe insieme.

 

 

 

Bologna 17 aprile 2025 ore 10, 34 giovanni ghiselli

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[1] Virgilio, Eneide, VI, 620, imparate la Giustizia una volta avvisati e non disprezzare gli dèi.

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