Sommario
Anche quando , con il girare degli anni, arrivò il tempo del suo ritorno, neppure allora, nemmeno a Itaca tra i suoi cari, erano finite le prove.
Tutti gli dèi ne avevano pietà, ma non Poseidone che serbava rancore per Odisseo poiché gli aveva accecato il figlio Polifemo.
Traduzione e commento
v. 16 "ma quando venne l'anno con il volgere delle stagioni"-.
Odisseo era partito da Itaca diciannove anni prima, un tempo enorme in una vita umana come rileva Buzzati parlando di un periodo molto più breve:"ventidue mesi sono lunghi e possono succedere molte cose: c'è tempo perché si formino nuove famiglie, nascano bambini e incomincino anche a parlare, perché una grande casa sorga dove prima c'era soltanto prato, perché una bella donna invecchi e nessuno più la desideri[1]" e così via.
Ma Odisseo e Penelope sono cambiati poco. Nel primo capitolo di Mimesis , La cicatrice di Ulisse , Auerbach, com'è noto, istituisce un confronto tra gli stili e i contenuti dei poemi omerici e quelli del Vecchio Testamento i cui personaggi "sono assai più soggetti a uno sviluppo continuo, assai più gravati dalla storia della loro propria vita e hanno un'impronta individuale più profonda che gli eroi omerici.
Achille e Ulisse sono descritti eccellentemente con molte parole bellissime, ad essi s'attaccano epiteti, le loro passioni si manifestano interamente nei loro discorsi e nei loro gesti, ma non hanno alcun sviluppo e la loro storia presenta un unico aspetto. Gli eroi omerici sono tanto poco rappresentati nel loro divenire che, per la maggior parte, Nestore, Agamennone, Achille, appaiono in un'età della vita fin dal principio immutabile. Perfino Ulisse, che nel lungo corso del tempo e durante le molte avventure offre tanta ragione per uno sviluppo individuale, non ce ne fornisce quasi nessun esempio. Sì, certamente Telemaco nel frattempo è cresciuto, come ogni fanciullo diventa giovinetto, e anche nella digressione sulla cicatrice si parla idillicamente della fanciullezza d'Ulisse e della sua prima giovinezza. Ma Penelope in vent'anni non è mutata quasi per nulla; nello stesso Ulisse la vecchiaia puramente corporale viene velata dal frequente intervento d'Atena, che lo fa apparire giovane o vecchio, a seconda che richieda la situazione. Al di là di ciò che è corporale manca assolutamente qualunque accenno, e in fondo Ulisse al suo ritorno è perfettamente lo stesso di quando aveva lasciato Itaca vent'anni prima.
Ma quale cammino e qual destino s'interpone fra quel Giacobbe, che carpiva la benedizione della primogenitura, e il vecchio a cui una fiera dilania il figlio prediletto, fra quel Davide, che suona l'arpa perseguitato dall'amore e dall'odio del suo signore, e il vecchio re circondato d'intrighi[2]...".
-periplomevnwn ejniautw'n: genitivo assoluto. Il verbo è participio aoristo II sincopato da *peripevlomai, “mi volgo attorno”. C'è in questa espressione l'idea del "ciclo" che abbiamo incontrato nella storia greca (l'ajnakuvklwsi" di Polibio) e romana (l'orbis di Tacito); una concezione ripresa dal "cerchio" di Machiavelli.
Nell'Odissea il ritorno ciclico, se non altro delle stagioni, è espresso più chiaramente in XI 295:"a]y peritellomevnou e[teo" kai; ejphvluqon w|rai", volgendosi l'anno anche le stagioni tornarono indietro. Così Sofocle riprende questa idea di base:"tiv moi nevon-h] peritellomevnai" w{rai" pavlin-ejxanuvsei" crevo" ( Edipo re , vv. 155-157) che cosa, o di nuovo/o con il volgere delle stagioni un'altra volta/effettuerai per me.
Questo girare del tempo e degli eventi, siccome la vita e la storia sono composite e varie come le stagioni appunto, comporta paura ( jamfi; soi; aJzovmeno", dice il coro dell'Edipo re pregando Apollo, intorno a te ho sacro timore[3]) ma anche speranza: oltre Archiloco (fr. 67 a D) che consiglia di non affliggersi troppo nei mali, Saffo si consola di una pena amorosa ricordando un successo favorito da un aiuto divino precedente e pregando Afrodite di rinnovare la sua teofania:" [elqe moi kai; nu'n"(fr. 1 D, v. 25), vieni anche ora.
Virgilio rende l'immagine con "volventibus annis " (Eneide , I, 234). Non è la prima volta che associamo il nome di Omero a quello di Archiloco, e non sarà l'ultima: intanto riporto un altro caso di questa iunctura :" JvOmhron a[xion ejk tw'n ajgwvnwn ejkbavllesqai kai; rJapivzesqai kai; jArcivlocon oJmoivw""(Eraclito, fr. 84 Diano), Omero merita di essere cacciato dagli agoni a frustate e Archiloco lo stesso. Troppo "superbo"[4] in questo caso il filosofo di Efeso:"Eraclito era superbo e quando un filosofo monta in superbia, è questa una grande superbia. Il suo operare non lo rinvia mai ad un "publicum ", all'applauso delle masse e al coro giubilante dei contemporanei. Andare per la propria strada si identifica con l'essenza del filosofo"[5].
v. 17 tw'/...nevesqai:" nel quale a lui filarono gli dèi che in patria tornasse. ejpeklwvsanto: aoristo medio di ejpiklwvqw.
La Parca che presiede a questa filatura della vita umana è Klwqwv, la filatrice appunto cui attribuisce un ruolo importante Platone nel X libro della Repubblica (617c): le figlie di Ananche, le Moire vestite di bianco, con serti sul capo, Lachesi e Cloto e Atropo, cantavano sull'armonia delle Sirene: Lachesi il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro.
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-oi\kovnde: corrisponde al latino domum..-nevesqai: attico nei'sqai. Abbiamo già detto che le contrazioni generalmente non sono presenti nel testo omerico pur se in alcuni casi "-ei- è insostituibile: macei'tai, fobei'tai, ecc.: dove puoi osservare che la forma non contratta faceva difficoltà metrica"[6].
v. 18 eij"...ajevqlwn: a Itaca, neppure là era sfuggito alle prove".-eij" jIqavkhn: in enjambement : inarcatura, o unità sintattica che scavalca quella metrica, ossia oltrepassa la fine del verso.
-pefugmevno" h\en (v. 18): piuccheperfetto perifrastico formato dal participio perfetto medio di feuvgw+l'imperfetto di eijmiv (attico h\n). Regge ajevqlwn genitivo da a[eqlo" corrispondente all'attico a\qlo": è la prova, la gara cui il nobile non può sottrarsi in quanto gli viene imposta non solo dal destino ma anche dal proprio carattere che poi secondo la sentenza di Eraclito coincide con il destino:"h\qo" ajnqrwvpw/ daivmwn"(fr. 91 Diano).
In vista della confrerenza del 9 giugno che terrò nella biblioteca Ginzburg di Bologna dove non tutti i presenti saranno specialisti del greco, ho ridotto al minimo le note grammaticali e metriche.
Nel canto dei morti l’anima di Tiresia profetizza a Odisseo che una volta tornato a Itaca, tardi e male (ojye; kakw'~ , Odissea, XI, v. 114), perduti tutti i compagni, su nave altrui, troverà pene (phvmata, v. 115) in casa, e nemmeno il suo viaggiare sarà terminato.
Dovrà ripartire con un remo in spalla e giungere a genti (oi{ ouj i[sasi qavlassan, v. 122), che non conoscono il mare, non si cibano di cibi conditi col sale, non conoscono le navi dalle guance purpuree, né i maneggevoli remi tav te ptera; nhusiv pevlontai (v. 125) che sono ali alle navi.
Quindi Tiresia preannuncia a Odisseo un sh'ma…ajrifradev~ (v. 126), un segno chiarissimo: “
quando un altro viandante ti dirà che porti sulla spalla un ventilabro (ajqhrhloigovn, v. 128), ossia un arnese per separare il grano dalla pula, allora piantato in terra il remo e o fatti bei sacrifici a Poseidone, un ariete, un toro e un verro che monta le scrofe, torna a casa e compi sacre ecatombi per i numi, a tutti con ordine”. Allora finalmente ci sarà pace per Odisseo. Arriverà la morte ejx aJlov~ (v. 134), dal mare, o fuori, lontano dal mare, una morte (ajblhcrov~) naturale, non violenta, che lo coglierà consumato da una splendida vecchiaia. Intorno ci saranno popoli prosperi.
Questa morte di vecchiaia è un’eccezione per l’eroe.
“Quasi sempre, gli eroi greci muoiono giovani: come Achille, che non può consumarsi, ma spezzarsi al suo culmine. Ulisse muore vecchio, forse vecchissimo: “consunto da splendente vecchiaia”. Come muore? Resta l’ultimissimo mistero, il mistero definitivo, col quale il “secondo Omero” sigilla una storia piena di segreti rivelati e nascosti. La morte coglie Ulisse “lontano dal mare”? O viene “fuori dal mare”? Se lo coglie “lontano dal mare”, il senso è semplice: il re non naviga più, resta a Itaca, e muore nel suo palazzo.
Se invece la morte viene “fuori dal mare”, il testo è quasi incomprensibile, secondo il linguaggio profetico di Tiresia. Non dobbiamo immaginare nulla di violento o drammatico: nessuna ferita di lancia, nessun aculeo di animale marino, come credevano i tardi lettori di Omero. La morte di Ulisse è “dolce”, come la mano di Afrodite. Forse una lenta, immensa e soavissima onda di quel mare, dove Ulisse ha tanto viaggiato e che ha amato ed odiato, supera la riva, il porto di Forco, l’ulivo dalle foglie sottili, la grotta delle Naiadi, e trascina via, per sempre, l’uomo pieno di dolori e colori. Forse è un dono di Posidone, il dio riconciliato”[7]. E’ comunque l’ultima prova.
L'uomo eroico deve provare la sua identità eccezionale attraverso continui cimenti. Nel XII canto dell'Iliade Sarpedon spinge Glauco a rischiare la vita ricordandogli che in Licia tutti concedono speciali privilegi e onori ad alcuni " ejpei; Lukivoisi mevta prwvtoisi mavcontai"(v.321), poiché tra i primi Lici combattono. Così avviene anche tra i Germani di Tacito:"et duces exemplo potius quam imperio, si prompti, si conspicui, si ante aciem agant, admiratione praesunt " (Germania , 7, 1) e i capi piuttosto con l'esempio che con il grado di comandante, se sono capaci, se si mettono in luce, se stanno davanti alla schiera, comandano poiché sono ammirati. E più avanti (14):" Cum ventum in aciem, turpe principi virtute vinci ", ogni volta che si è giunti alle armi, è vergognoso per il capo essere superato in valore. In un ambito non specificamente guerresco, nel De Providentia , Seneca fa derivare queste prove dalla volontà di Dio che vuole temprare l'uomo buono per assimilarlo alla propria natura:"Idem tibi de deo liqueat: bonum virum in deliciis non habet; experitur, indūrat, sibi illum parat " (1, 6), lo stesso ti sia chiaro di dio: non tiene l'uomo buono in mezzo ai piaceri, lo mette alla prova lo indurisce, lo prepara per sé.
Gli uomini capaci dunque vengono nobilitati dalle dure prove superate.
“Uomo del dolore, Odisseo, si capiva bene perché gli antichi Cristiani avevano visto in lui legato all’albero davanti alle Sirene una figura di Cristo crocefisso”[8].
v. 19 " anche in mezzo ai suoi cari. Gli dèi ne avevano pietà tutti quanti".-oi\si: è aggettivo possessivo di terza persona, corrispondente all'attico oi\".-fivloisi: dativo ionico (attico=fivloi") dell'aggettivo sostantivato.-ejlevairon: imperfetto senza aumento (in attico è hjlevairon) da ejleaivrw il cui nomen actionis è e[leo". La compassione entra anche nell'epos, pur se, a detta di Aristotele è uno dei sentimenti (con il terrore) dai quali possiamo purificarci, dopo averli provati assistendo ad una rappresentazione drammatica (Poetica 1449b).
Nietzsche dà un'interpretazione interessante di questa riflessione aristotelica:" Scopenhauer era ostile alla vita: per questo la compassione divenne per lui virtù...Aristotele, com'è noto, vedeva nella compassione una condizione morbosa e pericolosa della quale uno farebbe bene a liberarsi di quando in quando con un purgativo: egli intende la tragedia come una purga"[9]. a{pante": composto da aJ-intensivo+pa'".
v. 20: "tranne Poseidone: questi furiosamente era adirato".-novsfi: avverbio e preposizione con il genitivo. Su questa si forma il verbo nosfivzw, “separo”. –fi (“da parte”), è terminazione di locativo e strumentale.
Dunque Poseidone è isolato tra gli dèi come suo figlio Polifemo tra i mortali, sicché i suoi piani non possono avere successo-ajspercev": avverbio formato da aj- intensivo +spercw= infurio.-menevainen: imperfetto senza aumento da meneaivnw. Il sostantivo corrispondente è mevno" che significa potenza capace di conquistare nobile fama come quella che Diomede riceve da Pallade Atena in Iliade V 1-3, ma anche furore incapace di raggiungere i suoi scopi come in questo caso. D'altra parte se un'ira crudele e implacabile non si addice a un re , come scrive Seneca, tanto meno si addice a un dio, e non c'è bisogno di arrivare allo stoicismo per affermarlo, poiché nei versi successivi (32- 34) Zeus terrà una lezione di filosofia morale.
v. 21 "con Odisseo simile a un dio prima che giungesse alla sua terra".-ajntiqevw/: dativo che dipende dall'imperfetto menevainen. Il prefisso ajnti- significa che quest'uomo è “confrontabile con” gli dèi. E' questa una linea di non incommensurabilità che, prolungata dal “sacrilego” Euripide, arriverà a rappresentare personaggi che affermano la propria superiorità morale sugli dèi: così Anfitrione nell'Eracle quando rinfaccia a Zeus di avere abbandonato i suoi nipoti:"ajrhth'/ se nikw' qnhto;" w]n qeo;n megan: pai'da" ga;r ouj prouvdwka tou;" JHraklevou"" (vv. 342-343),
io, pur essendo un mortale supero in virtù te che sei un grande dio: infatti non ho tradito i figli di Eracle.
Ancora più avanzato nella direzione della blasfemia è Tamburlaine the Great (1588) Christopher Marlowe fa dire a Tamerlano:" A God is not so glorious as a King " (II, 5), un Dio non raggiunge la gloria di un Re! - jOdush'ï: è la prima presenza del nome del protagonista. Tanto nel dialetto omerico quanto in attico ( jOdus(s)ei') esso si può trovare con un solo s o con due (forma geminata). C'è pure la variante jOlus(s)euv" da cui il latino Ulixes .
Più avanti, nel XIX canto quello della cicatrice che svela a Euriclea l’identità di Odisseo, si trova un'etimologia fantasiosa e arbitraria di questo nome: Autolico chiede alla figlia Anticlea e al genero Laerte di chiamare il loro figliolo jOduseuv" (v. 409) poiché, disse il nonno materno del neonato giunto a Itaca dal Parnaso per vedere il nipotino:"polloi'sin ga;r ejgwv ge ojdussavmeno" tovd j iJkavnw,-ajndravsin hjde; gunaixi;n ajna; cqovna polubovteiran"(vv. 407-408), vengo qui provando odio per molti, uomini e donne sulla terra nutrice. Abbiamo detto che l'etimologia non ha valore scientifico; eppure ne ha uno educativo: questo bambino nato sotto l'insegna dell'odio, cresciuto con un nome che contiene l'odio, diviene un atleta in difesa della vita.
Un indirizzo ricevuto in casa allora non è incotrastabile; anzi, se è cattivo,è doveroso contrastarlo. Una malizia umana quale quella di Autolico, come d'altra parte "l'umana probitate" di Dante, "rade volte risurge per li rami"[10] e ogni figlio di mascalzoni può diventare un santo. L’odio deve essere elaborato.
Bologna 30 aprile 2025 ore 18, 26 giovanni ghiselli.
p. s.
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[1]Il deserto dei Tartari , p. 84.
[2]E. Auerbach, Mimesis , pp 20-21.
[3]E' la prima parte di v. 155
[4]Cfr. Diogene Laerzio:"megalovfrwn de; gevgone par& oJntinaou'n kai; uJperovpth""( IX, 1), fu per natura orgoglioso verso chiunque e sprezzante.
[5]Nietzsche, La filosofia nell'età tragica dei Greci , capitolo 8.
[6] Cantarella-Scarpat, op. cit., p. 202.
[7] P.Citati, La mente colorata, p. 285.
[8] P. Boitani, Sulle orme di Ulisse, p. 265.
[9]Nietzsche, L'anticristo , p. 29.
[10]Purgatorio , VII, 121-122.
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