Dopo pranzo, fatti gli auguri alle zie, mi avviai verso la riva del mare, il confidente antico dei miei dolori e delle mie gioie. Come le montagne a Moena e la grande foresta nelle estati di Debrecen.
Soffrivo e cercavo di raccapezzarmi. Certo: la telefonata era stata quella di una nemica che voleva inquietarmi. Rimuginavo cercando una via di uscita. Disprezzavo quella donna che aveva cercato di ingelosirmi, tuttavia avevo paura di perdere la ragazza che mi donava il suo corpo fiorente, saporito, odoroso e mi riempiva di gioia in alcune giornate.
Le mostruosità di quella vigilia di Natale andavano confutate e sconfitte con la forza della delicatezza.
Dovevo imparare a impiegarla sempre durante le crisi. L’alternativa era la guerra con la nemica fino alla distruzione di uno dei due, o di entrambi gli amanti avvinti nella morte.
Giunsi sulla spiaggia dove mi rifugiavo fin da bambino quando la confusione rabbiosa delle persone di casa mi faceva scappare in cerca di quiete. D’estate mi confortavano i sorrisi del sole riflessi e immillati dal tremolare della marina.
Ma quel 24 dicembre il mare in burrasca era battuto da venti contrari tra loro che spingevano ad accavallarsi grandi onde giallastre che poi si rompevano come mucchi di uova marce sul lido coperto di spazzatura e di bestie affogate, prive di vita e di memoria. Quel giorno la confusione sembrava eccessiva. Si sentiva un fragore come di urla gridate dal mare e dal vento. Mi tornavano in mente le tante liti sofferte fin da quando ero bambino: in casa, per strada, a scuola. Era stata maltrattato gran parte della mia persona: “dove i venti soffiano per possente necessità e colpo e contraccolpo e pena su pena ai posa. Dice queste parole la Pizia”. Le avevo lette in Erodoto e mi erano rimaste impresse nell’anima.
Quindi pensai: “travagliosa era mia vita: ed è, né cangia stile”
Trassi una strana consolazione da queste amicizie celesti.
La letteratura mi salvava ancora una volta dalla disperazione.
Un compagno mi scuola poi collega mi accusava di essere ipersensibile fin da quando si era bambini e, lo fa ancora. “Meglio ipersensibile che privo di carità e di bello stile, come sei tu”, gli rispondo ogni volta, sine ira.
La rosa dei vènti.
Il frastuono confuso non mi impedì l’individuazione di soffi diversi abituato come sono fin dall’infanzia a osservare e ascoltare le voci e i segni della natura. Il vento più odioso e deleterio era quello balordo e criminale del luogo comune.
Mi diceva: “Se ammetti che l’ami senza riserve, quella accampa pretese di nozze per portarti via tutto quello che hai”.
“Ma io sono studente e povero!” ribattevo ricordando il Duca seduttore di Gilda.
“Sì ma quella è uno squalo e sa che presto o tardi erediterai della roba. Va dicendo in giro che la tua casa di Bologna è già sua. Poi ne verranno altre due qui a Pesaro e della terra per giunta, a Tavullia e Montegridolfo, e sarà tutta roba di lei. Scialacquerà poi ti lascerà. Dunque non ammettere mai che l’ami, che le vuoi bene, che hai buoni sentimenti per lei: questo si ritorcerebbe contro di te. Tiella a distanza con aria superciliosa, sprezzante, se vuoi che ti rispetti; non attribuirle mai importanza, falle capire che dovrebbe quasi darti del lei, data la distanza di educazione e di stile tra voi due. Che stia al suo posto l’improba avventuriera, la consumata volpe, se non vuoi che occupi e usurpi il tuo eremo di uomo studioso! ”
Da altre parti della rosa dei vènti però giungevano soffi dalle voci diverse e mi rimescolavano il sangue.
Uno era l’uragano della grande passione per Ifigenia la giovane femmina bella, prosperosa mai sazia, mai stucchevole, né annoiata, né noiosa almeno quando si faceva l’amore; un altro era l’alito dolce del tenero affetto per la ragazza che avrei voluto educare quale figlia adottiva, il terzo era il fiato velenoso del sospetto più putrido delle pantegane immonde allineate a marcire lì sulla riva; era il risentimento per la telefonata terroristica che mi aveva reso più geloso di Otello, più pazzo di Aiace, più torturato di Prometeo sulla rupe scitica. Tornai a casa per leggere parole consolatòrie in un mio libro buono.
Bologna 17 aprile 2025 ore 17, 51 giovanni ghiselli
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