lunedì 14 aprile 2025

Ifigenia XXXIV. Pinuccia, Ifigenia e il roveto ardente.


 

Quel 30 novembre dunque fu un giorno davvero ricco di casi dies opimus casibus  che mi indussero a fare una scelta. Decisi che dovevo proseguire sulla via favorita dal vento senza zavorre  né ostacoli né deviazioni, bensì seguendo  la stella polare  dell’amore con la donna che Eros mi aveva inviato. Da quando il giovane dio, ammaestrato dalla madre sua Afrodite,  aveva colpito con i suoi dardi contemporaneamente me e Ifigenia,  adoravo sopra tutti i numi questa  bella divinità che impugna il fulmine   {Erwta keraunofovron per incenerire i deboli rinunciatari e corroborare i forti desiderosi e capaci di gioia e bellezza. 

Avrei fatto incidere la sua immagine santa sullo scudo  se ne avessi avuto uno.

Era una decisione necessaria quella maturata sulla seconda amante rimasta in campo dopo l’addio a Esculapia. Nemmeno Pinuccia infatti mi piaceva del tutto, né potevo educarla a diventare la mia donna ideale, siccome non ne aveva la stoffa. Non possedeva tutte le qualità naturali che mi inducono ad amare una femmina umana della mia levatura, e avevo oramai compreso che l’educazione può valorizzare e potenziare le persone ma non può né deve cambiarle.

Pinuccia non era cattiva, anzi aveva qualche cosa di buono: soprattutto faceva  l’amore  volentieri e in questo mi somigliava. In alcuni dettagli ci si comprendeva.

In mancanza del grande amore tipo quelli, del resto mensili, per Helena, Kaisa e Päivi, avevo discretamente gradito la compagnia questa amorosa amica  le sere di tutti i mercoledì tranne le settimane dei mesi estivi quando eravamo entrambi lontani da Bologna e l’uno dall’altra. Il suo pregio più grande era una certa mitezza non senza bontà fatta di compassione per le umane sventure. Mi recava soccorso quando cadevo dalla bicicletta e mi ferivo portando con sé a casa mia garze cerotti e disinfettanti che non avevo. Perciò la chiamavo anche la mia buona  Samaritana .

Non aveva del resto la forza di spingermi alle cose egregie che dovevo a me stesso. Credo che nella relazione tra un uomo e una donna non possa mancare lo stimolo a creare secondo l‘anima o secondo il corpo.  Intendo un’opera d’arte o dei figli. Päivi  nel’ 74 mi aveva fatto pensare a una figlia, l’aveva perfino disegnata, ma poi si era ricreduta  ritenendo  di essere più interessata a studiare. Io non le ho dato torto, anzi l’ho imitata.  Ho studiato molto per quattro anni, quasi maniacalmente dopo l’abortimento della bambina.

Quindi mi era  apparsa Ifigenia, prima come  risacimento per la figlia perduta, poi come la Musa che doveva e poteva spingermi alla creazione kata; th;n  yuchvn, secondo l’anima  data la soppressione della creatura concepita kata; to; sw`ma, secondo il corpo con Päivi.

Trovata questa occasione di rivalsa, dovevo alzarmi a volo sulle acque stagnanti e infossate dove sguazzavo stirando il collo al pari di un’oca, senza del resto vedere nulla oltre gli argini della palude fangosa.

Il 29 novembre avevo fatto l’amore con una gioia che non provavo da anni e il giorno dopo, durante l’assemblea studentesca, avevo visto in quella giovane collega che parlava agli studenti il mio completamento e accrescimento di essere umano speciale: nella voce calda e sicura, nelle parole forti e precise, negli occhi suoi fiammeggianti avevo colto un segno che mi fece venire in mente il roveto ardente dell’Esodo biblico. Parlava politicamente piuttosto che retoricamente e la sua voce era per me la voce del fato, la parola di Dio che mi spingeva a uscire dal bunker dove mi ero chiuso per studiare e imparare parole da riferire agli studenti. Ne avevo già apprese molte e tante altre ne avrei imparate ancora, ma dovevo pure dare voce e forma, una voce chiara e una bella forma ai pensieri miei. Trovare parole politiche per educare non solo i ragazzini della mia classe ma la polis prima, poi un popolo intero. Ero certo di volere questo.

 

Bologna 14 aprile  2025 ore 10 giovanni ghiselli.

 

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