domenica 6 aprile 2025

Ifigenia XVII I forti e i belli spodestati dalla roba e dall’oro.


 

Posterius res inventast aurumque repertum,

 quod facile et validis et  pulchris dempsit honorem

 

Iniquamente  avevo diviso i compiti tra me stesso e la nuovissima amante: Ifigenia doveva tacere e obbedire agli ordini miei, io dovevo solo trovare il modo di fare il mio comodo senza essere disturbato, anzi pretendevo che la ragazza contribuisse alla mia tranquillità. Mi predisponevo a esserle un maestro cattivo: un esempio di ingenerosità. Ero non solo immorale ma anche imbecille perché ci voleva poco a capire che quanto di male insegnavo si sarebbe ritorto contro di me secondo una forma di contrappasso didattico. Avevo incarnato nella mia persona il vizio caratteristico dell’età nostra: l’egoismo. Questo, significato anche  stampato nel mio beffardo sorriso da seduttore, avrebbe inquinato il cuore e la mente della sopravvenuta giovane amante rendendola pregna di feti che sarebbero diventati i nostri figli mostruosi: dolorose soperchierie reciproche, reticenze, inganni, e pure peggio, nei due anni di decadenza continua seguiti a 9 mesi di scatenati tripudi. Nell’autunno seguente la nostra relazione, male impostata dal punto di vista morale fin dall’inizio, era già in gran parte sconciata e adulterata. Nel lungo tempo dell’agonia cercammo di trovare dei rimedi al tonfo finale ma il processo di degradazione era ormai irreversibile. La collaborazione artistica  che avrebbe dovuto creare opere educative attraverso i miei scritti recitati e abbelliti da lei, fallì quasi subito impedita dall’egoismo mio, presto imitato da quello della giovane che da collega era mutata in aspirante attrice. Anche la felicità sessuale senza il nutrimento di quella affettiva un poco per volta decadde.

L’arte e l’amore ci abbandonarono perché richiedono spirito di sacrificio e generosità invece dell’avidità appropriatrice che cerca l’utile  e rende la vita sempre più inutile siccome nega proprio l’arte e l’amore, il meglio della vita.

Noi due in quell’autunno lontano ci sentivamo eccezionali, invece eravamo i tipici prodotti  di un’epoca di compiuta peccaminosità, di razionalismo cinico e falso, un’età del ferro che periodicamente ritorna, un’epoca la cui legge suprema e iniqua è il diritto del più forte economicamente o fisicamente, un tempo che valuta il misero  denaro  più dei valori autentici: la bellezza, la bontà, l’intelligenza e la cultura.

Posterius res inventast aurumque repertum, - quod facile et validis et  pulchris dempsit honorem” (Lucrezio, De rerum natura,V, 1113-1114), quindi si scoprì il possesso della roba e l’oro che facilmente tolse il potere ai forti e ai belli.

 

Bologna 6 aprile 2025 ore 12, 35 giovanni ghiselli

p. s.

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