lunedì 7 aprile 2025

Ifigenia XX. L’amore d’inverno. Un ricordo dell’amore d’estate.


 

Mercoledì ventinove novembre, fin dalle prime ore del pomeriggio, su Bologna, dove lunghi sono gli inverni, cadde a fiocchi grandi la neve, che in poco tempo rese canuta la terra.

Ifigenia fece suonare il campanello verso le cinque, quando era già buio; corsi ad aprire il portone,  siccome ero impaziente di fare l’amore; ma, come la vidi, mi fermai stupito, senza toccarla, senza invitarla a entrare, né dire parola: non avevo mai visto una tale unione di inverno, colore e calore di vita: i capelli bruni bruni, bagnati, a tratti innevati, le scorrevano giù per le spalle come un ruscello montano cupo di gelide ombre , e aspro di pietre biancastre, facendola rabbrividire, ma gli occhi violacei, lucenti mi versavano addosso una morbida luce che fluiva calda dal cuore. La osservavo in silenzio, mentre i fiocchi larghi continuavano a caderle addosso, evidenziandosi sulle ciocche scure, come sulle chiome perenni degli abeti montani, e trasformando la luminosa ragazza  in una creatura dei boschi: una dolce cerbiatta dalla pelle screziata, oppure una bella baccante che dopo la dolce fatica della corsa sui monti si riassetta la nebride multicolore onorando il dio suo, Bacco, signore della gioia di vivere, della festa lieta, delle grazie tutte, del desiderio.

Mentre nella fredda oscurità della notte precoce contemplavo la vivida fiamma della mia giovane amante, mi riempivo e scaldavo di gioia. Dopo qualche momento di stupito silenzio, la ragazza disse: “mi fai entrare? Sento un poco di freddo”.

Mi scostai dall’ingresso: Ifigenia entrò senza indugiare e, poiché l’ascensore non funzionava, cominciò a salire i cinque piani di scale spedita, facendo ondeggiare la testa, e le anche, sulle gambe robuste molleggiate dalle caviglie sottili, mentre i piccoli piedi, nello sforzo di ascendere i molti gradini di corsa, si appoggiavano e sollevavano con leggerenza, potenza e agilità. La seguivo ammirato e felice. Quando fummo davanti alla porta dell’appartamento, la aprìi con la destra un poco tremante, poi con la sinistra le feci segno di entrare. Ero pieno di desiderio amoroso. Lo sentiva concordemente anche lei, poiché procedette fino alla sponda del mio grande letto dove si svestì con rapide mosse. Mentre, con le vesti cadeva sul pavimento la neve, la splendidissima amante mi chiese di spogliarmi subito e di abbracciarla senza i preamboli solitamente graditi: il marito, assai sospettoso, non poteva crederla a spasso nel caos bianconero della notte nevosa, né, tanto meno, doveva immaginarsi che passasse il tempo nell’alcova di un uomo: perciò era necessario che rientrasse non oltre mezz’ora dopo la lezione di yoga, che finiva alle sei e distava un chilometro circa da casa sua. Ci eravamo spogliati. L’abbracciai senza dire parola: il seno si era già intiepidito, anzi conservava gli odori della terra fiorita, variopinta,  lietificata dal cielo estivo: pensai che non era il tepore domestico a renderla così calda e vivace appena si era sottratta all’iniqua, mortificante stagione, ma il suo giovane sangue fervido sotto la pelle ancora abbronzata e profumata dal sole che durante la nuda estate l’ aveva baciata con lucida forza amorosa, lasciandole addosso indelebili segni di bellezza, di salute e di gioia. La baciai anche io per succhiare una parte di quel calore celeste e pure terreno; quindi la distesi sul letto inclinando il mio corpo avido, scuro e magro su quello armonioso di lei: ne trassi piacere e voglia di vivere, eppure pensai a quando le sue magnifiche membra, coperte dall’ultima veste, la nera terra, l’avrebbero fatta fiorire di sanguigni papaveri, o di rose rosse, odorose della sua carne.

Bologna  7 aprile ore 9, 42 giovanni ghiselli

 

p. s.

Questa pagina mi sta  a cuore. Racconta e mitizza una delle ore più belle di questa mia vita mortale. La avvicino alla notte dell’agosto del 1971 quando mi giustificai con Helena Augusta  che mi perdonò, mi amò, poi, giunta l’alba, andammo a passeggiare nell’orto botanico dell’Università tra i fiori e gli alberi strani. Helena cantava Summer time, when the living is easy e io sentivo la pienezza della felicità nella vita mia e nella sua di magnifica ragazza madre.

Ma questo l’ho già raccontato. Potete trovare tutta la storia di Helena nel libro Tre amori a Debrecen. Non compratelo: si trova in prestito nella biblioteca Ginzburg di Bologna.

 

 

 

 

 

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