Riporto alcune posizioni maschiliste espresse anche da personaggi femminili presenti nella letteratura greca. Sono quasi tutte note ai miei lettori abituali che possono dare una scorsa e saltare il già noto. Le ripubblico per i nuovi arrivati
Nelle Fenicie di Euripide, il pedagogo avverte Antigone, il giovane, glorioso virgulto (kleinovn…qavlo" , v. 88) che per le donne è un piacere non dire niente di buono nel parlare le une delle altre:"hJdonh; de; ti"-gunaixi; mhde;n uJgie;" ajllhvla" levgein" (vv. 200-201).
Parecchi secoli più tardi il seduttore intellettuale di Kierkegaard auspica che la ragazza cresca nella solitudine e nel silenzio:"Se dovessi figurarmi l'ideale di una fanciulla, questa dovrebbe sempre essere sola al mondo e quindi dedita a se stessa, ma anzitutto non dovrebbe avere amiche. E' ben vero che le Grazie furono tre, ma certamente neppure venne mai in mente ad alcuno di figurarsele a parlar tra loro; esse compongono nella loro tacita triade una leggiadra unità femminile. A tal proposito sarei quasi tentato di suggerire delle gabbie per le vergini, se tale costringimento non agisse invece in senso negativo. E' sempre augurabile per una giovinetta che le venga lasciata la sua libertà, ma che non le venga offerta occasione di servirsene"[1].
La moglie perfetta dunque non deve frequentare, non diciamo dei maschi che sarebbe una nefandezza meritevole di ripudio, ma nemmeno altre femmine con le quali potrebbe ordire congiure e progettare sconcezze.
Nel Duvskolo" di Menandro, Sostrato, l'innamorato e pretendente della figlia del misantropo Cnemone, in un breve monologo elogia l'educazione presumibilmente ricevuta dalla ragazza:"Se questa fanciulla non è stata educata tra le donne e non conosce nessuno di questi mali nella vita, e non è stata terrorizzata da qualche zia e balia, ma è venuta su liberamente con questo padre selvaggio che odia il male, come potrebbe non essere la mia felicità unire la mia sorte alla sua?" (vv. 384-389).
E' proprio vero quanto affermava B. Shaw: essere innamorati significa esagerare smisuratamente la differenza tra una donna e un'altra.
Il silenzio e la tranquillità come virtù femminili vengono indicate anche da un'altra eroina e martire euripidea: Macaria che negli Eraclidi[2] dà la propria vita per salvare quella dei fratelli:"gunaiki; ga;r sighv te kai; to; swfronei'n-kavlliston, ei[sw q j h{sucon mevnein dovmwn"(vv. 476-477), per la donna infatti il silenzio e l'equilibrio sono la dote più bella, poi rimanere in tranquillità dentro la casa.
"La donna, piaccia, taccia e stia in casa", pontificava il Duce che non aveva toccato il fondo.
Infatti uno potrebbe aggiungere: " ma non nella mia".
L'indicazione del silenzio come pregio delle donne, non manca nel padre della tragedia: Eschilo nella tragedia I sette a Tebe (del 467) rappresenta Eteocle, l'eroico difensore della città assediata, mentre prescrive al coro di ragazze tebane :" so;n d j au\ to; siga'n kai; mevnein ei[sw dovmwn" (v. 232), il tuo compito invece è tacere e rimanere dentro casa. Questa espressione fa parte della misoginia di Eteocle sulla quale possiamo fermarci un poco
Il Coro della tragedia è formato da ragazze tebane le quali nella Parodo lanciano grida di spavento per l’assalto degli Argivi, non urla da comari del resto, ma espressioni tutt’altro che pedestri e piuttosto ricche di metafore:"attraverso le mascelle equine/le briglie arpeggiano strage"(vv.122-123).
Sono invocati gli dèi olimpii:"ascoltate, ascoltate come è giusto/le preghiere dalle mani tese delle ragazze"(171-172).
Le suppliche delle giovani donne però non incontrano l'approvazione del re difensore della città, il quale anzi prorompe in una delle più aspre tirate antifemministe della letteratura greca:
"Domando a voi, animali insopportabili (qrevmmat' oujk ajnascetav),/sono forse questi gli incoraggiamenti migliori/ per questo popolo assediato ed è la salvezza della città/il vostro urlare e gridare, cadute davanti alle statue/degli dèi protettori, odio dei saggi che siete?/Che io non conviva, né in brutte situazioni/e nemmeno nel caro benessere con la razza delle donne./Infatti quando prende il sopravvento è di un'audacia intrattabile,/quando ha paura è un male ancora più grande nella casa e nella città".(vv.181-189).
Le ragazze terrorizzate diffondono viltà tra i difensori: dunque si chiudano nelle case:"infatti stanno a cuore agli uomini le faccende di fuori,/non le decida la donna: e tu, rimanendo dentro, non fare danno"(vv. 200-201).
Eteocle esige di essere obbedito subito, senza repliche:"la disciplina infatti è madre del successo (peiqarciva gvr ejsti th'" eujpraxiva"-mhvthr) /che salva, o donna; il discorso sta in questi termini" (vv. 224-225). Quindi:"il tuo compito è tacere e rimanere dentro casa"( so;n d’ au\ to; siga'n kai; mevnein eisw dovmwn, 232).
La stessa disciplina che Creonte pretende da Antigone e dal proprio figlio Emone nell’Antigone di Sofocle.
Ma non è finita: Eteocle inveisce ancora contro il Coro di ragazze:"vai in malora, non sopporterai queste difficoltà tacendo?"(v.252), e, poco più avanti,(v.256):"o Zeus, quale dono ci hai concesso, con la razza delle donne!".
Torniamo a Euripide. Ancora più feroce verso la cosiddetta "razza delle donne" è il "puro folle" Ippolito che abbiamo già incontrato e del quale riferisco qualche altro verso :"La situazione più facile è per quello cui tocca una nullità, ma la donna/ inutile per la sua stupidità viene collocata in casa./La saccente la odio (sofh;n de; misw' , v. 640): non stia nella mia casa /quella che pensa più di quanto debba pensare una donna./Infatti Cipride genera maggior malizia/nelle saccenti (ejn tai'" sofai'sin, 643); mentre la donna semplice/ è privata della pazzia amorosa dalla sua corta mente./Inoltre bisognerebbe che nessuna serva si recasse da una donna/ma che si mettessero ad abitare con loro muti morsi/di fiere, affinché non potessero rivolgere la parola ad alcuno/né ricevere parole di rimando da chicchessia./Ma ora le scellerate dentro le case macchinano/scellerati disegni, e le serve li portano fuori[3]" (Ippolito , 638-650).
Vediamo alcune espressioni della fantasia contraria alla natura di generare figli senza l'unione tra l'uomo e la donna.
Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne, ingannevole male per gli uomini (" kivbdhlon ajnqrwvpoi" kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[4] ("ajthrovn[5]...futovn", v. 630), che, come abbiamo visto, auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.
Traduco alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:
"O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini ? Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).
Su questo, sentiamo anche Giasone nella Medea di Euripide :"Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;"-pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai gevno": -cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 573-575), bisognerebbe in effetti che gli uomini da qualche altro luogo/generassero i figli e che la razza delle femmine non esistesse:/e così non esisterebbe nessun male per gli uomini.
Insomma il male è la femmina.
Un motivo presente anche nel Paradise Lost (1658-1665) del "puritano d'incrollabile fede"[6] John Milton (1608-1674). In questo poema Adamo si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo grazioso difetto di natura ( this fair defect [7] of Nature ) e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X, 888 e sgg.).
Questo desiderio del maschio deluso è stato realizzato per sé dal Dio biblico che crea il mondo senza alcuna presenza femminile, come fa notare Fromm:"Il racconto non ha inizio con le parole:" In principio era il caos, in principio era l'oscurità", bensì, "In principio Dio creò...."-dunque lui solo, il dio maschile, senza intervento né partecipazione da parte della donna-cielo e terra. Dopo l'interruzione di una frase in cui risuonano ancora le antiche concezioni, il racconto prosegue:"E dio disse:"sia la luce", e la luce fu (Gn. 1, 3). Qui in tutta chiarezza compare l'estremo della creazione solamente maschile, la creazione per mezzo esclusivo della parola, la creazione attraverso il pensiero, la creazione attraverso lo spirito. Non si ha più bisogno del grembo materno per generare, non più della materia: la bocca dell'uomo che pronuncia una parola ha la capacità di creare la vita direttamente e senza bisogno d'altro (...) Il pensiero che l'uomo sia in grado di creare esseri viventi soltanto con la sua bocca, con la sua parola, dal suo spirito, è la fantasia più contronatura che sia immaginabile; essa nega ogni esperienza, ogni realtà, ogni condizione naturale, spazza via ogni vincolo posto dalla natura per raggiungere quell'unico scopo: rappresentare l'uomo come assolutamente perfetto, come colui che possiede anche la capacità che la vita sembra avergli negato: la capacità di generare"[8].
Come si vede in confronto all’Ippolito di Euripide, l' Eteocle di Eschilo è un moderato. Infatti, quando, dopo l'ennesima richiesta di silenzio:"taci, disgraziata, non spaventare gli amici"( Sette a Tebe, v.262), la corifea glielo promette ("taccio: con gli altri sopporterò il destino", v. 263), il re e difensore di Tebe risponde placato:"io preferisco da te questa parola piuttosto che quelle di prima./Inoltre, stando lontana dalle statue,/rivolgi agli dèi la preghiera migliore: che ci siano alleati"(264-266).
Anche Sofocle impiega il tovpo" dell'opportunità del silenzio femminile quando Aiace in procinto di suicidarsi ingiunge di tacere all'amante Tecmessa con il solito ritornello:"guvnai, gunaixi; kovsmon hJ sigh; fevrei"[9], donna, alle donne il silenzio porta ornamento. Uno zittimento perentorio utilizzato qualche regime fa dall' eterno Andreotti alla deputata radicale Adele Faccio nel parlamento della nostra Repubblica.
Una volta i parlamentari difficilmente conoscevano l’inglese o il tedesco però molti di loro sapevano di greco e di latino. Dico che dovremmo conoscere alla perfezione la nostra lingua madre, il che non è possibile se non si sa di greco e di latino. Poi bisognerebbe conoscere l’inglese tanto da essere capaci di capire e di farsi capire. Senza del resto arrivare a una mikth; glw`ssa mescolando cioè un pessimo italiano con un pessimo inglese. E senza mutilare nessuna lingua con acronomi e sigle varie.
Certamente molti uomini oppressi da donne troppo loquaci e petulanti approverebbero Aiace, sebbene sconvolto.
Su questo argomento sentiamo Steiner:" In tutte le culture conosciute, gli uomini hanno sempre accusato le donne di essere ciarliere, di sprecare le parole con folle prodigalità. La femmina chiacchierona, borbottona e pettegola, la donna che non fa che cianciare, la bisbetica, la vecchia sdentata con la bocca piena del vento delle parole sono immagini più antiche delle fiabe. Giovenale[10] nella satira sesta, presenta come un incubo la verbosità femminile:"cedunt grammatici, vincuntur rhetores, omnis/turba tacet, nec causidicus nec praeco loquetur,/altera nec mulier; verborum tanta cadit vis,/tot pariter pelves ac tintinnabula dicas/pulsari; iam nemo tubas, nemo aera fatiget:/una laboranti poterit succurrere Lunae", (vv. 438-443) si arrendono i grammatici, sono sconfitti i retori, tutta/ la folla tace, né l'avvocato né il banditore parlerà,/ né un'altra donna; cade una colossale quantità di parole,/che si direbbe che altrettanti catini e sonagli/ vengano percossi; nessuno oramai affatichi le trombe e gli ottoni:/una donna soltanto potrà soccorrere la luna in travaglio[11].
La loquacità femminile è messa in rilievo anche da Polibio[12] il quale del resto nota come questo vizio servì a propagare la fama della generosità di Scipione Emiliano che aveva rinunciato a un'eredità lasciatagli dalla nonna adottiva in favore della madre Papiria: allora la già buona reputazione della sua nobiltà morale andò crescendo grazie alle donne che chiacchierano fino alla nausea su qualsiasi argomento nel quale si siano gettate ("a{te tou' tw'n gunaikw'n gevnou" kai; lavlou kai; katakorou'" o[nto" , ef o{ ti a]n oJ rmhvsh/", XXXI, 26, 10). In questo caso le chiacchiere delle femmine umane furono uno degli strumenti della buona Fortuna che assecondò l' ottima indole dell'eroe polibiano.
Chi pala troppo, uomo o donna che sia, facilmente è una persona che, vuota di tutto, teme le domande cui non sapebbe rispondere. Oppure è “tutto sesso andato a male” come tanti alti difetti di uomini e donne.
Torniamo alla tragedia attraverso Senofonte nel quale si può trovare un' altra corrispondenze con un'altra Andromaca euripidea.
Iscomaco insegna alla moglie-ragazza che il pregio della donna agli occhi del marito non dipende tanto dalla gioventù e dall'avvenenza quanto dalla virtù (Economico , VII, 43).
Leggiamo alcuni versi dell'Andromaca[13] di Euripide , la moglie sottomessa che può costituire un utile contrasto con la Medea del medesimo autore. La vedova di Ettore, divenuta schiava e amante di Neottolemo, spiega a Ermione la legittima moglie del figlio di Achille, sterile e non amata dal marito, con quali mezzi una sposa può acquistare e mantenere l'affetto dello sposo.
"Non certo per i miei farmaci[14] ti odia lo sposo/ ma se non sei adatta a vivere con lui./ E' un filtro amoroso anche questo: non la bellezza, o donna,/ ma le virtù fanno felici i mariti."- ( vv. 205-208 ).
Anche la svalutazione della bellezza è un’operazione sospetta, tipica di chi non è bello né intelligente. Chi è davvero bello conta sull’aspetto, chi è davvero intelligente conta su questa forza e nessuno dei due sente il bisogno di svalutare l’altro.
Ovidio nei Medicamina faciei (1 d. C.) : sostiene che l'aspetto piace se anche il carattere è attraente (ingenio facies conciliante placet, v. 44) il poeta raccomanda la tutela morum (v. 43), la cura del comportamento:"Certus amor morum est, formam populabitur aetas,/ et placitus rugis vultus aratus erit" (45-46), sicuro è l'amore del costume, la bellezza verrà devastata dall'età, e il volto piacente sarà solcato da rughe
Certamente la bellezza è meno stabile e più rapidamente peritura, tuttavia credo che tra queste due doti supreme possa esserci una sinergia: per lo meno l’intelligenza contribuisce a conservare a bellezza, talora perfino a costruirla.
Ma torniamo all’Andromaca di Euripide. Tra le virtù della donna la moglie dell'eroe troiano mette una totale abnegazione in favore dello sposo. La competizione va abolita per lasciare la vittoria all'uomo: "Bisogna infatti che la donna, anche se viene data in moglie a un uomo da poco/lo ami e non faccia gare di pensieri"(Andromaca, vv. 213-214). In nome della sottomissione Andromaca suggerisce di abbassare la testa e reprimere ogni sentimento e pensiero che non sia di devozione nei confronti dello sposo. Quindi, poco più avanti, aggiunge:: "O carissimo Ettore, io per compiacerti / partecipavo ai tuoi amori[15], se in qualche occasione Cipride ti faceva scivolare,/e la mammella ho offerto già molte volte ai tuoi bastardi/, per non darti nessuna amarezza. / E così facendo attiravo a me lo sposo / con la virtù ; tu neppure una goccia di celeste rugiada/ lasci che si posi sul tuo sposo per paura" (vv. 222-228).
L'abnegazione di Andromaca arriva al punto di accettare le amanti di Ettore condividendo gli amori di lui, ossia amandole. Se questo le dava amarezza (pikrovn , v. 225) non importa: bastava toglierla allo sposo.
Andromaca anzi conclude l'episodio (il primo) scagliando un anatema contro tutte le donne immorali, o contro tutte le donne esclusa se stessa, se vogliamo dare credito alla nomea di antifemminismo del suo creatore:"E' terribile che uno degli dèi abbia concesso rimedi
ai mortali anche contro i morsi dei serpenti velenosi,
mentre per ciò che va oltre la vipera e il fuoco,
per la donna, nessuno ha trovato ancora dei rimedi
se è cattiva: così grande male siamo noi per gli uomini"(269-273). tosou`tovn ejsmen ajnqrwvpoi~ kakovn (Andromaca, v. 273).
Un antifemminismo certamente professato da Andromaca nel secondo episodio:
"non bisogna preparare grandi mali per piccole cose
né, se noi donne siamo un male pernicioso, (ajthro;n kakovn)/gli uomini devono assimilarsi alla nostra natura"( Andromaca, vv.352-354).
Più avanti Ermione, la moglie legittima, parlando con Oreste, deplora la rovina subita dalle visite delle comari maligne:" kakw'n gunaikw'n ei[sodoi m ' ajjpwvlesan" ( v. 930).
La sposa che permette a tale genìa di guastare la sua intesa coniugale, viene come trascinata da un vento di demenza.
Sentiamo la figlia di Menelao pentita di essersi lasciata montare la testa da queste Sirene maligne che hanno provocato la rovina del suo matrimonio con Neottolemo:" Ed io ascoltando queste parole di Sirene[16],/ scaltre, maligne, variopinte, chiacchierone,/ fui trascinata da un vento di follia. Che bisogno c'era infatti che io/controllassi il mio sposo, io che avevo quanto mi occorreva?/grande era la mia prosperità, ero padrona della casa,/e avrei generato figli legittimi,/quella[17] invece dei mezzi schiavi e bastardi[18] servi dei miei./ Mai, mai, infatti non lo dirò una sola volta,/ bisogna che quelli che hanno senno, e hanno una moglie,/ lascino andare e venire dalla moglie che è in casa/ le donne: queste infatti sono maestre di mali:/ una per guadagnare qualcosa contribuisce a corrompere il letto,/ un'altra, siccome ha commesso una colpa vuole che diventi malata con lei,/ molte poi per dissolutezza; quindi sono malate/ le case degli uomini. Considerando questo, custodite bene/ con serrature e sbarre le porte delle case;/ infatti nulla di sano producono le visite/ dall'esterno delle donne ma molte brutture e anche dei mali (vv. 936-953).
Inserisco una riflessione di Nietzsche sulla difficoltà dell’uomo e della donna di comprendersi reciprocamente.
“Nell’uomo come nella donna le passioni sono identiche, ma hanno un ritmo diverso: per questo l’uomo e la donna non cessano di fraintendersi”[19]
La sfasatura talora è iniziale perché uno dei due non piace all’altro, altre volte capita per dei cambiamenti delle circostanze. Una amante molto gradita-Kaisa per chi legge la mia narrativa- dopo un mese passato meravigliosamente insieme mi disse: “torno da mio marito: tu come amante in vacanza sei ottimo, come compagno di vita non lo so”. Compresi che aveva ragione, che se ne intendeva e non feci obiezioni.
Il non truccarsi e il non spogliarsi fanno parte della virtù della donna, almeno in ambito e ateniese e ionico[20]. In questa stessa tragedia si trova un pesante biasimo delle donne spartane: Peleo, sempre nell'Andromaca , critica tutte le Lacedemoni per i loro costumi dicendo: neppure se lo volesse potrebbe restare onesta ("swvfrwn", v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude ("gumnoi'si mhroi'"", v.598) e i pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili.
Torniamo di nuovo Nietzsche
“Maschere. Ci sono donne che, per quanto la si cerchi in loro, non hanno interiorità, sono pure maschere. E’ da compiangere l’uomo che ha a che fare con tali esseri quasi spettrali, necessariamente insoddisfacenti, ma proprio esse possono eccitare al massimo il desiderio dell’uomo: egli cerca la loro anima-e continua a cercare”[21].
“Vi sono donne che, ovunque le si scavi, non hanno interiorità, ma sono sempre maschere, quasi esseri spettrali, succhiatori di sangue, che non soddisfano mai”[22].
“Onorabilità e onestà. Quelle ragazze che vogliono procurarsi col solo loro fascino giovanile una sistemazione per tutta la vita e la cui furberia viene ancora più aizzata da madri smaliziate, vogliono esattamente la stessa cosa delle etere, solo che sono più intelligenti e più disoneste di queste ultime”[23].
La donna nei poemi omerici
Sulla condizione della donna nei poemi omerici riferisco due interpretazioni. Alla fine del primo canto dell’Odissea scende la sera, i Proci vanno a dormire nelle loro case e pure Telemaco va a letto, accompagnato dalla saggia Euriclea che Laerte aveva comprato quando era giovanissima per venti buoi, e pertanto doveva essere stata anche bellissima, e l'aveva onorata come una sposa, però non si era mai unito a lei nel letto, ed evitava la gelosia della moglie:"eujnh'/ d j ou[ pot j e[mikto, covlon d j ajleveine gunaikov"" (433), ossia di Anticlea, madre di Odisseo.
Ho citato il verso 433 poiché può dirci qualche cosa sulla condizione della donna nell'Odissea . Queste parole si possono confrontare con il consiglio che Nausicaa dà a Ulisse nel VI canto: di chiedere aiuto non al re suo padre, ma alla regina sua madre se vuole vedere il dì del ritorno (vv. 310-311).
Alta dunque è la considerazione e la situazione della donna nei poemi omerici: anche nell'Iliade, Amintore, il genitore di Fenice, dovette pagare caro il tradimento della sposa che gli mise contro il figlio spingendolo a diventare amante dell'amante del padre il quale lo maledì (IX, vv. 450 e sgg.).
"La posizione sociale della donna non fu mai più, presso i Greci, così elevata come sul declinare del periodo cavalleresco omerico. Arete, la consorte del principe dei Feaci, è onorata dal popolo come una dea. Ne compone i litigi col suo presentarsi e determina le decisioni del marito col suo intervento o col suo consiglio[24]
. Per ottenere di ritornare ad Itaca con l'aiuto dei Feaci, Odisseo, dietro suggerimento di Nausicaa, non si rivolge in primo luogo al padre di lei, al Re, ma abbraccia implorando le ginocchia della sovrana, ché decisiva è la benevolenza di questa per far esaudire la preghiera[25]. Quanta sicurezza nel contegno della stessa Penelope, così sola e abbandonata, di fronte allo sciame dei pretendenti che tumultuano protervi: ella infatti può sempre contare sul rispetto assoluto della sua persona e della sua dignità di donna[26]. I modi cortesi dei nobili signori con le donne del loro ceto è prodotto di un'annosa cultura e di un'alta educazione sociale. La donna è rispettata e onorata non solo quale essere socialmente utile, come nella famiglia contadina secondo l'insegnamento d'Esiodo[27], né solo quale madre della prole legittima, come nella borghesia greca posteriore, per quanto anche per i nobili, appunto, fieri del proprio albero genealogico, la donna debba avere importanza quale genitrice di un'eletta stirpe[28]. Essa è la rappresentante e la custode d'ogni elevato costume e tradizione. Questa sua dignità spirituale influisce anche sul comportamento amoroso dell'uomo. Nel primo canto dell'Odissea, che rappresenta in tutto idee morali più raffinate che le parti più antiche dell'epopea, troviamo un tratto notevole quanto alla relazione tra i due sessi. Quando Euriclea, la fida e onorata servente, scorta con la fiaccola Telemaco sino alla stanza da letto, il poeta, al modo epico, ne narra brevemente la vita. Il vecchio Laerte la comperò un giorno, quand'era una bella fanciulla, a carissimo prezzo. Per tutta la vita la tenne nella sua casa in onore pari a quello in cui era la nobile consorte, ma, per riguardo a questa, senza mai divider con essa il letto"[29].
Eva Cantarella non condivide questa interpretazione e riporta dei versi che contraddicono quelli citati sopra. Ma sono versi avulsi dal contesto dell’Odissea e non lo contraddicono. Mi sento di contraddire la Cantarella.
“La donna omerica non è solo subalterna, ma è anche vittima di un’ideologia inesorabilmente misogina. Sotto il paravento di un affetto paternalistico, peraltro assai fragile, l’eroe omerico diffida della donna, foss’anche la più devota e sottomessa. Ulisse, tornato a Itaca, aspetta di aver ucciso i Proci, prima di rivelarsi alla moglie.
Egli si rivela a Telemaco, a Euriclea, a Eumeo: a Penelope, invece, solo dopo che la vendetta è stata compiuta. E non a caso
“…con la donna non essere mai dolce,
non confidare ogni parola che sai,
ma dì una cosa, e lascia un’altra nascosta”
gli aveva consigliato l’ombra di Agamennone nell’Ade[30]. Agamennone (ucciso dalla moglie Clitennestra), aveva, questo è vero, i suoi buoni motivi per pensarla così. Ma dalla sua esperienza personale aveva tratto una generalizzazione:
“Altro ti voglio dire e tu mettilo in cuore:
nascosta, non palese, alla terra dei padri
fa approdare la nave: è un essere infido la donna”[31].
Neanche Penelope, dunque (che, pure, Agamennone loda per la sua fedeltà), è al riparo dal sospetto”[32].
Commento la Cantarella e altri studiosi che cercano di rendere funzionali alle loro tesi i testi conosciuti poco o compresi male con questa osservazione di Nietzsche. “E’ terribile morire di sete in mezzo al mare. E’ proprio necessario che voi mettiate tanto sale nella vostra verità, dal renderla del tutto incapace di estinguere la sete?”[33]
Sentiamo ancora Nietzsche e cocludiamo er ora
“Spirito libero e matrimonio. Gli spiriti liberi vivranno con le donne? In generale io penso che essi, simili ai profetici uccelli dell’antichità, come coloro che nel presente pensano il vero e parlano la verità, debbano preferire volar soli.”[34]
Eppure ci sono momenti nei quali l’aiuto di una donna è indispensabile: “Una malattia degli uomini. Contro la malattia maschile del disprezzo di sé giova nel modo più sicuro l’essere amati da una donna intelligente”[35]
Bologna 31dicembre 2022 ore 18, 48 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] S. Kierkegaard, Diario del seduttore (del 1843), p. 53.
[2] Del 430 ca..
[3] Si può pensare a quella della moglie di Eufileto dell'orazione di Lisia.
[4] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.
[5] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunaikev~ ejsmen ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.
[6] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.
[7] Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo più avanti.
[8]E. Fromm, Amore sessualità e matriarcato , trad. it. Mondadori, Milano, 1997. p. 104 e 105.
[9] Aiace (del 456), v. 293.
[10] 50/60-140 d. C.
[11]Il rumore di catini e campanelli doveva cacciare gli spiriti cattivi che provocano l'eclissi.
[12] 200 ca-118 ca a. C.
[13] Composta tra la Medea del 431 e l'Ippolito del 428, ossia nei primi anni della guerra del Peloponneso.
[14] Con i favrmaka (v.205) e il fivltron (v. 207) Andromaca allude ai filtri e alle droghe delle maghe del mito e della letteratura: Circe, Calipso, Medea.
[15] Cfr. Amarcord di Fellini.
[16] Sono mostri che adescano i naviganti con la malìa del loro canto per poi ucciderli. Per attirare Odisseo gli dicono che chi fa sosta da loro riparte pieno di gioia e conoscendo più cose ("kai; pleivona eijdwv"", Odissea, XII, 188). Ma il figlio di Laerte, unico tra gli uomini, riesce a udire il canto delle Sirene senza esserne sedotto. Come nel caso di Circe, come in quello dell'accesso all'Ade, egli sa che cosa deve fare, e di fronte alle Sirene escogita uno stratagemma: tappa gli orecchi dei suoi marinai e si fa legare all'albero della nave.
[17] Andromaca.
[18] Si può pensare all'elogio dei bastardi pronunciato da Edmondo, il figlio illegittimo (di Gloster) che nel Re Lear si presenta come devoto adoratore della dea natura."Thou, Nature, art my goddess". Bastardo dunque, secondo la natura, è un titolo onorifico:" noi nel gagliardo furto di natura prendiamo una tempra più solida e maggior fierezza di carattere rispetto ai gonzi generati tra il sonno e la veglia in un letto freddo, frollo e fiacco (I, 2).
[19] Di là dal bene e dal male, Aforismi E interludi, 85
[20] Erodoto fa gridare a Gige:" Jvama de; kiqw'ni ejkduomevnw/ sunekduvetai kai; th;n aijdw' gunhv" (I, 8, 3) con il levarsi di dosso la veste, la donna si spoglia anche del pudore".
[21] Umano, troppo umano, I, La donna e il bambino, 405
[22] Frammenti postumi 1876, 13
[23] Umano, troppo umano, I, La donna e il bambino, 404
[24]h 71-74.
[25]Per il suggerimento di Nausicaa, v. z 310-315. Cfr. h 142 sgg. Anche Atena parla a Ulisse della riverenza di Alcinoo e dei suoi figli per Arete: h 66-70.
[26]a 330 ss.; p 409-451; s 158; f 63 ss.
[27]La casa, il bove e la moglie sono i tre elementi fondamentali della vita del contadino in Esiodo, Opp. 405 ( citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252 b 10, nella sua famosa trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo considera l'esistenza della donna da un punto di vista economico, non solo nella sua versione della storia di Pandora, con cui vuole spiegare l'origine del lavoro e della fatica tra i mortali, ma anche nei precetti sull'amore, il corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.; Theog. 590-612).
[28]Il "medio evo" greco, mostra, più chiaramente che altrove, il proprio interesse a questo lato del problema nella abbondante produzione poetica in forma di catalogo dedicata alle genealogie eroiche delle antiche famiglie, e più di tutto nei cataloghi di eroine famose, da cui quelle derivavano, del tipo delle jHoi'ai, giunteci col nome di Esiodo.
[29]Jaeger, Paideia 1, pp. 63-64.
[30] Od., 11, vv. 441-443.
[31] Od., 11, vv. 454-456.
[32] Eva Cantarella, L’ambiguo malanno, p. 46.
[33] Di là dal bene e dal male , Aforismi E Interludi, 81.
[34] Umano, troppo umano, I, La donna e il bambino, 426
[35] Umano, troppo umano, I, La donna e il bambino, 384