Il matrimonio come ostacolo del filosofo. Sposarsi ironicamente. L’eterno marito.
“Il filosofo aborre dal matrimonio, come tutto quello che potrebbe persuadervelo. Il matrimonio come ostacolo e sventura nel suo cammino verso l’optimum. Quale grande filosofo è stato sposato? Eraclito, Platone, Cartesio, Spinoza, Leibniz, Kant, Schopenhauer non lo furono, anzi, non possiamo nemmeno pensarli sposati. Un filosofo sposato è un personaggio da commedia, questa è la mia teoria : e quell’eccezione di Socrate- il maligno Socrate sembra si sia sposato solo ironice, solo per dimostrare questa teoria ”[1].
La società “onora il matrimonio in quanto questo costituisce una forma di sottomissione a essa”[2].
“Se i coniugi non vivessero insieme, i buoni matrimoni sarebbero più frequenti”[3].
A proposito di sposarsi ironice
Dostoevskij inserisce nella confessione del principe dei suoi demoni, Stavrogin, il matrimonio, almeno un certo matrimonio, come sconciatura della vita e sua degradazione ultima:" mi venne appunto l'idea di storpiare la mia vita in qualche modo che fosse ripugnante il più possibile. Già da qualche anno meditavo di spararmi; mi si presentò qualcosa di meglio. Un giorno, guardando la zoppa Maria Timofejevna Lebjakdin, che faceva anche la serva agli inquilini, allora non ancora impazzita, ma semplicemente un'idiota entusiasta, innamorata di me in segreto alla follia (dagli indizi raccolti dai nostri), decisi a un tratto di sposarla. L'idea di un matrimonio con una creatura così infima solleticava i miei nervi. Non si poteva immaginare nulla di più mostruoso"[4].
Ricordo anche Parini
“D’altra parte il Marito ahi quanto spiace
E lo stomaco mov ai dilicati
Del vostr’Orbe leggiadro abitatori,
Qualor de’ semplicetti avoli nostri
Portar osa in ridicolo trionfo
Ls rimbambita Fe’, la Pudicizia
Severi nomi! )
( Il Giorno, Il Mattino, 292-297)
Sentiamo Ovidio
Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx" (Amores III, 4, 37), è davvero rozzo quello che una moglie adultera offende.
Ora vediamo il marito di Emma Bovary
"C'eran tutte le lettere di Léon. Questa volta nessun dubbio era più possibile! Le divorò sino all'ultima riga, frugò in ogni angolo, in ogni mobile, in ogni tiretto, dietro i muri, singhiozzando, urlando, smarrito, impazzito. Scoprì una scatola, la sfondò con un calcio. Il ritratto di Rodolphe gli balzò davanti, tra un disordinato profluvio di messaggi d'amore" (Flaubert, Madame Bovary, p. 279).
Fa coppia con questo L'eterno marito (1871), Pavel Pavlovič, di Dostoevskij:"Un individuo simile nasce e si sviluppa unicamente per ammogliarsi e, una volta ammogliato, per trasformarsi unicamente in un'appendice della moglie, anche quando egli abbia una personalità sua, ben determinata. La proprietà essenziale di un simile marito è quel certo ornamento. Egli non può non essere cornuto, così come il sole non può non risplendere, però non soltanto non ne sa mai nulla, ma non potrà mai saperlo per le leggi medesime della natura…E a un tratto, in modo del tutto inatteso, Pavel Pavlovic si fece con due dita le corna sulla fronte calva, e ghignò piano, a lungo. Rimase così, con le corna e ghignando, per mezzo minuto almeno, guardando Vel' caninov[5] negli occhi in una specie di ebbrezza della più perfida insolenza"[6].
A questa specie di spregiatori del matrimonio e con la presunzione di appartenere a una razza superiore appare Vrònskij, almeno fino all'incontro fatale con la Karenina, :"Nel suo mondo di Pietroburgo tutte le persone di dividevano in due specie assolutamente opposte. Una specie inferiore: persone volgari, stupide e soprattutto ridicole, che credono che un marito solo debba vivere con una moglie sola, con la quale è sposato; che una ragazza debba essere innocente, la moglie pudica, l'uomo virile, temperato e fermo; che bisogna educare i figlioli, guadagnarsi il proprio pane, pagare i debiti e altre sciocchezze del genere. Questa era la specie degli uomini fuori di moda, e ridicoli. Ma c'era un'altra specie di uomini, uomini veri, di cui facevano parte loro tutti, nella quale bisognava soprattutto essere eleganti, belli, magnanimi, audaci, allegri, darsi a ogni passione senza arrossire, e ridere di tutto il resto"[7].
Diverse espressioni contrarie e alcune favorevoli alle nozze.
“Come non vedere che ciò che è più biologico-la nascita, il sesso, la morte-è nello stesso tempo ciò che è più imbevuto di simboli e di cultura: nascere, morire, sposarsi sono anche atti fondamentalmente religiosi e civili”[8]. Sposarsi è un atto che si può sperimentare, mentre la nascita e la morte sono “due cose estranee alla vita. La mia nascita è un racconto, un mito che altri mi raccontano ma al quale io stesso non ho potuto assistere e che è precedente alla realtà che chiamo vita. Quanto alla mia morte, è un racconto che neppure mi possono raccontare”[9].
Vediamo allora lo sposarsi cos’è.
Contro le nozze Euripide si esprime già nell'Alcesti [10] dove pure la protagonista è un'ottima sposa, anzi il corifèo la definisce "gunhv t j ajrivsth tw'n ujf j hJlivw/ makrw'/ " (v. 151), di gran lunga la più nobile tra le donne che vivono sotto il sole. Tuttavia il Coro, formato da vecchi di Fere, amici del re, concludendo il primo stasimo canta: “ou[pote fhvsw gavmon eujfraivnein-plevon h] lupei'n, toi'" te pavroiqen-tevkmairovmeno"[11] kai; tavsde tuvca"-leuvsswn basilevw", o}sti" ajrivsth"-ajplakw;n[12] ajlovcou th'sd j, ajbivwton-to;n e[peita crovnon bioteuvsei”, (vv. 238-242), non dirò mai che le nozze portino gioia più che dolore, argomentandolo dai fatti passati e vedendo questa sorte del re, il quale, persa l'ottima sposa, vivrà in futuro una vita non vita.
Più avanti Admeto ribadisce: “zhlw' d j ajgavmou" ajtevknou" te brotw'n :-miva ga;r yuchv, th'" uJperalgei'n-mevtrion a[cqo".-paivdwn de; novsou" kai; numfidivou"-eujna;" qanavtoi" kerai>zomevna"-ouj tlhto;n oJra'n, ejxo;n ajtevknou"-ajgavmou" t j ei\nai dia; pantov"” (Alcesti, vv. 882-888), invidio quelli senza nozze e senza figli tra i mortali: infatti una sola è la vita e l’angoscia per questa è un peso sopportabile. Le malattie dei figli invece e i letti nuziali devastati dalle morti non sono tollerabili da vedere, quando è possibile rimanere del tutto privi di figli e di nozze.
Le nozze di Medea e Giasone sono raccontate nel poema di Apollonio Rodio: i due devono anticiparle rispetto al loro desiderio di celebrarle una volta giunti a Iolco, poiché Alcinoo, il re dei Feaci, avrebbe consegnato Medea ai Colchi che la inseguivano, se Medea, rifugiatasi con gli Argonauti a Scheria, fosse stata trovata ancora vergine. Ci fu dunque la festa nuziale con i canti accompagnati dalla cetra di Orfeo, poi i due sposi si stesero sul letto preparato nell’antro feacio detto prima di Macride, la figlia di Aristeo che scoprì il lavoro delle api e il succo dell’oliva che costa molta fatica, poi, da quel giorno, chiamato antro di Medea. Sopra il letto venne steso il vello d’oro, mentre le ninfe portavano mazzi varipinti di fiori. Tutto molto bello e gioioso. Però, è l’ amaro commento di Apollonio, noi stirpi di infelici mortali, non possiamo mai entrare nel piacere con piede intero (o{lw/ podiv, Argonautiche, 4, 1166); l’amaro tormento si insinua sempre in mezzo alle gioie. In questo caso i due sposi temevano di essere traditi da Alcinoo. Il re dei Feaci invece, diversamente da come farà Giasone, rispettò i giuramenti (4, 1205).
L'ostilità nei confronti del matrimonio del tragediografo antico viene ribadita molti secoli più tardi da Schopenhauer:" Nel nostro continente monogamico, sposare significa dividere a metà i propri diritti e raddoppiare i doveri (...) Nessun continente è così sessualmente corrotto come l'Europa a causa del matrimonio monogamico contro natura"[13].
Nel medesimo secolo nemmeno Leopardi considera naturale il matrimonio monogamico se non per il periodo necessario alla prima crescita dei figli. Dopo è una esigenza della società:"Giacchè la necessità del concubitu prohibere vago, non prova nulla in favore della società, perché anche gli uccelli si fabbricano il talamo espressamente e convivono con legge di matrimonio finché bisogna all'educaz. sufficiente dei prodotti di quel matrimonio, e nulla più; e non per questo hanno società. Né la detta necessità, riguardo all'uomo, si estende più oltre di questo naturalmente, ma artifizialmente, e a posteriori, cioè posta la società, la quale necessita la perpetuità dei matrimoni, e la distinzione delle famiglie e delle possidenze"[14].
La citazione latina è tratta dall' Ars Poetica [15] di Orazio- Questa, contestualizzata, dice:"Fuit haec sapientia quondam,/ publica privatis secernere, sacra profanis,/concubitu prohibere vago, dare iura maritis,/oppida moliri, leges incidere ligno" (vv. 396-399), un tempo la sapienza fu questa: separare la proprietà privata dalla pubblica, il sacro dal profano, impedire gli accoppiamenti sregolati, imporre i doveri ai coniugi, fondare città, incidere le leggi nel legno.
Per quanto riguarda i doveri imposti ai mariti, non dimentichiamo che Orazio asseconda con i suoi versi le leggi augustee tese a incoraggiare il matrimonio, al punto che nella seconda satira[16] del primo libro sconsiglia l'adulterio con le matrone[17] raccomandando piuttosto la "sana" frequentazione delle cortigiane e dei bordelli.
Engels cita Fourier: “Come in grammatica due negazioni costituiscono una affermazione, così nella morale del matrimonio due prostituzioni fanno una virtù”[18].
La monogamia dunque da alcuni autori non è considerata un fatto di natura. In L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884) Engels sostiene che la famiglia monogamica “si fonda sul dominio dell'uomo, con lo scopo manifesto di generare figli di paternità indiscussa, paternità richiesta in quanto questi figli possano, in qualità di eredi naturali, entrare in possesso del patrimonio paterno" (p. 86). E più avanti:"Il dominio dell’uomo nella famiglia e la procreazione di figli che fossero indiscutibilmente suoi e che fossero gli eredi destinati del suo patrimonio-questi furono i soli ed unici fini della monogamia espressi con franchezza dai greci…il primo conflitto di classe che si presenta nella storia coincide con lo svilupparsi dell’antagonismo tra uomo e donna nella monogamia[19], e la prima oppressione di classe con quella esercitata dal sesso maschile su quello femminile (pp. 89-90)
Quindi: “la monogamia nasce dalla concentrazione di più ricchezze in una mano sola, precisamente quella di un uomo, e dal bisogno di trasmettere in eredità tali ricchezze ai figli di quest'uomo e a nessun altro"(pp. 99-100).
Se una vita felice è impossibile forse non lo è quella eroica “Una vita felice è impossibile: il massimo che l’uomo può raggiungere è una vita eroica. Conduce questa vita colui che, in una maniera o per un motivo qualsiasi, combatte per ciò che in qualche modo giova a tutti, contro le più grandi difficoltà e alla fine vince, ma nel fare ciò è male, o niente affatto, ricompensato”[20].
Ebbene alcuni autori sostengono, forse non a torto, che il matrimonio non è conciliabile con la vita eroica o artistica.
Mircea Eliade individua una riattualizzazione del modello eroico nello scrittore che non si sposa:"Un esempio fra mille: Achille e Soeren Kierkegaard. Achille, come molti altri eroi, non si sposa, quantunque gli sia stata predetta una vita felice e feconda purché si ammogli; senonché, in questo caso, avrebbe dovuto rinunciare a diventare un eroe, non avrebbe realizzato l'"unico", non avrebbe conquistato l'immortalità.
Kierkegaard attraversa lo stessissimo dramma esistenziale rispetto a Regina Olsen; respinge il matrimonio per rimanere se stesso, l'"unico", per poter aspirare all'eterno, rifiutando la modalità di un'esistenza felice nel "generale". Lo confessa chiaramente in un frammento del suo Giornale intimo (VIII, A 56) :"Sarei più felice, in senso finito, se potessi allontanare da me questa spina che sento nella mia carne; ma, in senso infinito, sarei perduto"[21].
Vittorio Alfieri nella Vita ricorda un fallimento matrimoniale con una ragazza plausibile: ebbene le nozze non fatte furono comunque un bene per entrambi gli sposi mancati: “Io fui dunque solennemente ricusato, e mi fu preferito il suddetto giovine. La ragazza fece ottimamente per il bene suo, poiché ella felicissimamente passò la vita in quella casa dove entrò; e fece pure ottimamente per l’util mio, poiché se io incappava in codesto legame di moglie e figli, le Muse per me certamente erano ite” (Vita, 3, 7).
Contro il matrimonio quale esperienza inconciliabile con ogni grandezza si esprime il principe Andrej di Guerra e pace che suggerisce all'amico Pierre:" Non ti venga mai in mente di sposarti, mio caro; questo è il mio consiglio, non prender moglie finché non avrai potuto dire a te stesso che hai fatto tutto il possibile per evitarlo, finché non avrai smesso di amare la donna che hai scelto, finché non la vedrai come in trasparenza, altrimenti sbaglierai crudelmente e senza rimedio. Sposati da vecchio quando non sarai buono a nulla (...) Altrimenti andrà perduto tutto ciò che in te è buono ed elevato. Tutto si disperderà in piccolezze"[22] .
Il timore del rischio di perdere una possibilità di vita, se non eroica, certo meno insignificante di quella del marito borghese, viene manifestato anche da Kafka nella Lettera al padre :"Perché, dunque, non mi sono sposato? L'impedimento essenziale, purtroppo indipendente da ogni singolo caso, era che io, non v'è dubbio, sono spiritualmente incapace di sposarmi (...) ho già accennato che con lo scrivere e tutto ciò che vi si ricollega ho fatto alcuni mediocri tentativi di indipendenza e di evasione, ottenendo scarsissimi risultati (...) Ciò nonostante è mio dovere, o piuttosto è la mia vita stessa a vegliare su essi, impedire per quanto sia in me che un pericolo, anzi la sola possibilità di un pericolo, li possa sfiorare. Il matrimonio è la possibilità di un tale pericolo"[23].
Non che la vita dello scapolo sia facile.
Kafka nei Diari , in data 19 gennaio 1922, denuncia la fatica di vivere dello scapolo:"Felicità infinita, calda, profonda, redentrice, di star vicino alla cesta del proprio bambino di fronte alla madre. C'è anche un po' del sentimento che dice: Tu non conti più, a meno che tu lo voglia. Per contro il sentimento di chi non ha figli dice: Tu conti sempre, volere o no, ogni istante sino alla fine, nello strazio dei nervi, sempre tu conti e senza risultato. Sisifo era scapolo"[24].
Svevo, nel racconto Corto viaggio sentimentale, rappresenta un uomo anziano, il signor Aghios, che pensa alla libertà negata dal matrimonio:"Venticinque anni prima il signor Aghios s'era scelta la consorte. Quale gioia quando, vincendo ogni difficoltà, egli era arrivato a dirla sua, trovando naturale che, in compenso, egli appartenesse a lei. Egli era stato felicissimo. Oh! tanto! Nella grande libertà del viaggio egli tuttavia pensò che se venticinque anni prima, invece che sentire il bisogno di sposarsi, egli avesse sentito l'istinto del malfattore e l'avesse soddisfatto con un omicidio, certo a quest'ora, a forza di amnistie, egli sarebbe stato del tutto libero, magari di viaggiare"[25].
“Padron Fortunato stette un po’ a fregarsi il mento, e poi lasciò andare-il matrimonio è come una trappola di topi; quelli che sono dentro vorrebbero uscire, e gli altri ci girano intorno per entrarvi”[26].
Ricordo pure C. Pavese il quale nega ogni possibilità di benessere nello stare con la donna:"E' carino e consolante il pensiero che neanche l'ammogliato ha risolto la sua vita sessuale. Lui credeva di godersela ormai virtuoso e in pace, e succede che dopo un po' viene il disgusto della donna, viene un sòffoco come di prostituzione soltanto a vederla. Ci si accorge allora che con la donna si sta male in ogni modo"[27].
E ancora:"Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate le compagnie-torna la feroce gioia, il refrigerio di esser solo. E' l'unico vero bene quotidiano"[28].
Nietzsche distingue matrimonio da matrimonio: “Matrimonio: così io chiamo la volontà di creare in due quell’uno che è qualcosa di più dei due che lo crearono. Io chiamo matrimonio il venerante rispetto reciproco di coloro che hanno una tale volontà. Questo sia il senso e la verità del tuo matrimonio. Ma che nome darò io a ciò che i troppi-questi superflui-chiamano matrimonio? Questa miseria dell’anima in due! Questa sporcizia dell’anima, in due! Questo miserabile benessere, in due!...Questo uomo mi sembrava degno e maturo per il senso della terra: ma quando vidi la sua donna, la terra mi sembrò un asilo di dementi. Sì io vorrei che la terra tremasse in convulsioni, quando un santo e un’oca si accoppiano…Un altro cercava una serva con le virtù di un angelo. D’un tratto è diventato lui la serva di una donna…”[29].
Bologna 30 dicembre 2022 ore 11, 38 giovanni ghiselli
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[1] Genealogia della morale, Saggio terzo, Che significato hanno gli scritti ascetici?, 7
[2] Frammenti postumi, autunno 1887, 88.
[3] Umano, troppo umano (1878); I, La donna e il bambino, 393.
[4] F. Dostoevkij, I demoni,IX –Da Tichon (La confessione di Stavrogin) 2,p. 451.
[5] Questo è l'eterno amante.
[6] F. Dostoevkij, L'eterno marito, p. 39 e p. 65.
[7] L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 117.
[8] E. Morin, L’identità umana, p. 33.
[9] J. Ortega Y Gasset, Idea del teatro, p. 110.
[10] Del 438 a. C.
[11] Trarre conclusioni congetturando dagli indizi offerti dal passato è un elemento che accomuna Euripide a Tucidide il quale procede appunto attraverso prove e indizi: cfr " ejk de; tekmhrivwn" di I, 1 o "tekmairovmeno"" di I, 21.-.
[12] participio aoristo II di ajmplakivskw, "fallisco, perdo", con il genitivo.
[13]Parerga e paralipomena, Tomo II, p. 832 e ss.
[14] Zibaldone 250.
[15] E' il titolo che Quintiliano diede all' Epistola ai Pisoni composta intorno al 15 a. C.
[16] I due libri di Satire di Orazio uscirono nel 35 e nel 30 a. C.
[17] Ne paeniteat te,/desine matronas sectarier , vv. 77, 78, se non vuoi pentirtene, smetti di cercare le matrone.
[18] Friedrich Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, p. 96.
[19] A questo proposito sono istruttive le tragedie di Eschilo ndr
[20] F. Niietzsche, Schopenhauer come educatore, III delle Inattuali, p. 61
[21]Trattato Di Storia Delle Religioni , pp. 440-450.
[22]L. Tolstoj, Guerra e pace , p. 41.
[23]F. Kafka, Lettera al padre , trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1976, p. 144 e sgg.
[24]F. Kafka, Diari , p. 592.
[25]In Italo Svevo, I Racconti, Rizzoli, Milano, 1988, p.438.
[26] G. Verga, I Malavoglia, p. 276.
[27] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 8 agosto 1944.
[28]C. Pavese, Il mestiere di vivere, 25 aprile, 1946. La gioia feroce della solitudine è anche quella del Misantropo di Menandro: Cnemone, come vede Sostrato davanti alla porta di casa sua invoca il suo bene supremo:" ejrhmiva" oujk e[stin oujdamou' tucei'n " (v.169) non è possibile ottenere la solitudine da nessuna parte!
[29] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dei figli e del matrimonio,
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