venerdì 23 dicembre 2022

1971. La storia di Elena. 16. La dipartita delle due donne più amate

La dipartita delle due donne più amate
Qual rugiada o qual pianto,
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna
di cristalline stille un puro nembo
a l'erba fresca in grembo?
Perché ne l’aria bruna
s'udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l'aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?
 
Torquato Tasso 
 

Due giorni più tardi, mercoledì 28 luglio 1971, dopo avere parlato a lungo, dopo avere provato sempre più forte il desiderio reciproco e avere sentito la nostra empatia fino alla trasfusione  delle anime, alle dieci di sera facemmo l’amore nel mio letto della camera numero 4 lasciata a nostra disposizione dai tre compagni con i quali la dividevo. Quello fu il giorno della mia seconda data di nascita.
La nostra felicità era  di assai “breve intervallo superata da quella divina”[1].
Correvo il rischio di non poterla smaltire e che l’indigestione mi portasse a commettere qualche errore, come successe a Tantalo[2]. 
Non ci sembrava e non fu un atto contrario alla morale o alla natura, poiché eravamo innamorati, e lei diceva che non aveva deciso se lasciare maturare nel ventre suo il seme ricevuto in tempo lontano, in luogo remoto, da un uomo scordato.
 
Tuttavia tre settimane più tardi tornò da quell’uomo, poi  lasciò maturare il seme ricevuto da lui.
A me, che continuavo ad amarla, mandò, in ottobre, le fotografie della nostra estate che non poteva essere dimenticata e non lo sarà. Da me mai.
Vi aggiunse queste parole:
Hej Gianni,
I have just got these photo of the last summer, memories of it.
The colours are not very good. Now my life is all right. I am married (2,9) and happy. I love very much my husband and now we together only wait for our baby. I am always working as teacher in a middle school and I have much to do: 30 hours week only for lessons. But Saturday and Sunday I am free and I can see my man. Now he is working in another town. But in the spring we shall live again together in Yväskylä and in february we shall get the boy. I wish you the most happy time! Good bye.
26-10-71                                 Helena
A queste sue frasi brevi, per niente ambigue, anzi molto chiare, aggiungo una traduzione per chi non conoscesse l’inglese, oramai diventata una lingua franca del resto.
Ciao Gianni,
ho appena ricevuto queste foto dell’ultima estate, ricordi di lei.
I colori non sono molto buoni. Ora la mia vita va molto bene. Io sono sposata (2, 9) e felice. Io amo molto mio marito e ora noi due insieme pensiamo solo ad aspettare il nostro bambino. Io lavoro sempre come insegnante in una scuola media e ho molto da fare: 30 ore alla settimana solo per le lezioni. Ma sabato e domenica sono libera e posso vedere il mio uomo. Adesso lui lavora in un’altra città. Ma in primavera noi vivremo di nuovo insieme in Yväskylä e in febbraio avremo il bambino. Ti auguro una vita del tutto felice! Arrivederci
Helena
 
Lì per lì ci rimasi male.
Il 20 agosto, quando ci separammo alla Keleti Pályaudvar, la Stazione Orientale di Budapest da dove partono i treni sui quali vidi salire in lacrime le finniche mie, e vidi la fine di gioie tra le più luminose di questa mia vita mortale, Elena era afflitta e piangeva come le prossime due, ma non contraccambiò il mio indirizzo. Disse che non aveva ancora deciso che cosa avrebbe fatto in Finlandia: avrebbe visto e ci avrebbe pensato. Poi mi avrebbe fatto sapere. Aggiunse che aveva pure problemi di cambiamento d’alloggio. Io non piangevo. Pensavo che quel pianto era consolatorio per lei, per la vita probabilmente mediocre cui andava incontro, una vita piatta, forse, come un marciapiede. Io avrei fatto tesoro di quel mese paradisiaco, lo avrei conservato nello scrigno dell’anima, ne avrei acquistato potenza[3], capacità di agire e  magari un giorno ne avrei pure ricavato  parole ricche di bellezza e di forza.
 Le dissi soltanto: “spero di incontrarti ancora”, ma immaginavo che non l’avrei vista più in questa vita terrena e mortale.
 
La stessa cosa capii  all’alba  del 17 ottobre del 2011, un lunedì, quando salutai la mamma morente e partìi da Pesaro per fare lezione a Bologna. Sentivo che non le avrei più viste per chissà quanto tempo  e comprendevo che era bene così. Elena non poteva trapiantarsi in Italia: non avrebbe avuto di che riempirsi la vita stando al mio fianco senza un lavoro suo. Pensando a questo, non piansi. Anzi, la guardai con occhi pieni di riconoscenza, grato alla vita di avermela fatta incontrare,  a lei di avermi accolto, di avermi donato un mese di gioia.
 La mamma novantottenne aveva avuto una serie di ictus da aprile in avanti e non ne poteva più di soffrire. Aveva smesso di mangiare da tre settimane.
Dopo  la prima settimana le avevo detto: “mamma mangia, ti prego, altrimenti muori”
“A me non dispiace morire” rispose. “Ne ho paura, non credere che non ne abbia paura, ma stai certo che non mi dispiace”
“Dispiace moltissimo a me” replicai “io voglio che tu viva!”
“Ti sembra vita questa?” mi domandò, con intonazione retorica.
Era stata indipendente e autonoma per oltre novant’anni e non sopportava di non esserlo più.
Risposi soltanto: “a me basta che tu non muoia, mamma”.
“A me non basta, ma ti ringrazio” concluse. Era contenta che io ci tenessi tanto alla sua sopravvivenza, ma non se la sentiva di continuare  perché non era più vita la sua, assistita da due badanti, una di giorno, l’altra di notte, lei che fino a novantadue anni andava a fare la spesa in bicicletta e fino a novantacinque non aveva avuto bisogno di nessuno, nemmeno dei figli. Quando io e mia sorella la portavamo a cena fuori, le piaceva molto andare al Pesce azzurro di Fano, era tutta contenta, era felice, ma non era mai lei a chiederlo. Una sera due fratelli circa cinquantenni vennero a domandarci se eravamo  madre  e figlio come sembrava. Quando ebbi risposto mi dissero: beato te, noi abbiamo perso la mamma che eravamo adolescenti. Non sai quanto sei fortunato”.
Avevano visto che stavamo bene insieme. Risposi: “vi ringrazio ragazzi, ma vi contraddico: so di essere fortunato ad avere ancora la mamma qui con me. Mi dispiace per voi che siete care persone e da troppo tempo non avete la vostra”.
Anche la madre mia li ringraziò, grata della giusta felicitazione ricevuta.
Conservo un caro ricordo di queste due belle persone.
 
Ma torniamo alla dipartita delle due donne amatae mihi quantum amabuntur nullae.
Una vita priva di autonomia non era vita per lei, non le si addiceva.
   Come non sarebbe stata confacente alla Sarjantola la vita che poteva fare in Italia.
Volerle ancora con me le due donne benedette sarebbe stato egoismo mio.
A tutte due sono grato: una mi ha dato la vita e mi ha sostenuto fino a che ne ho avuto bisogno, l’altra mi ha reso più felice, più sicuro, più bello nell’aspetto e più buono nell’anima. Mi hanno dato i due amori più gratuiti, della mia vita. La mamma mi ha fatto nascere, Elena rinascere, e l’hanno fatto senza alcun secondo fine.
Martedì pomeriggio, quando dopo la scuola tornai da Bologna a Pesaro,
la mamma era morta da un paio di ore. Per lei invece ho pianto e mi succede di piangere ancora: con lei ho smarrito una parte grande della mia stessa vita. Mi consolai, mi consolo pensando di ritrovarla. La ritrovo già dentro me stesso.
La baciai sulle labbra, cosa che non avevo mai fatto prima, nonostante fosse, e sia, la prima delle mie donne, quella che mi ha partorito e che ho amato più di tutte le altre.


Bologna 23 dicembre 2022 ore 21, 08
giovanni ghiselli
 
p. s.
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[1] Cfr. Leopardi, Storia del genere umano.
[2] Pindaro afferma che Tantalo era l'uomo più amato dagli dèi che lo onoravano frequentando la sua mensa; egli però non seppe smaltire la grande felicità:" se mai i protettori dell'Olimpo onorarono un uomo/mortale, era Tantalo questo; però/ di fatto non seppe/digerire la grande felicità, e con la sazietà attirò/un accecamento pieno di prepotenza, e su di lui/il padre sospese un macigno pesante,/che egli desidera sempre stornare dal capo/ed erra lontano dalla gioia. (Olimpica I, vv. 54-61).
[3] Non è il potere, come la sapienza non è il sapere.

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