“L’uomo vuole la donna arrendevole –ma la donna nella sua essenza, è proprio tutt’altro che arrendevole, è simile al gatto, per quanto si sia esercitata a darsi un’apparenza pacifica”[1]
“Tanto nella vendetta quanto nell’amore, la donna è più barbara dell’uomo”[2].
Si pensi a Medea della cara tragedia di Euripide e di Seneca. E’ una barbara allieva di Ecate.
La Medea di Seneca invoca Ecate triforme[3], (vocetur Hecate, Medea, v. 577), la dea nera, a presiedere i sacra letifica (Medea, 577) i riti mortali. Questa divinità infernale sembra essere la principale vindice delle donne abbandonate.
La Medea di Euripide invoca Ecate come alleata: "
Infatti per la signora che io venero
più di tutti e mi sono scelta come alleata xunergovn
Ecate , che abita nei penetrali del mio focolare,
nessuno di costoro rallegrandosi farà soffrire il mio cuore (Medea, vv. 395-397).
Simeta, l'amante che nell’Idilio II di Teocrito. Le incantatrici, vuole avvincere l'uomo in fuga , il bell'atleta Delfi, con filtri (favrmaka) degni di Circe (vv. 15- 16), di Medea, nipote di Circe, figlia el sole, e della maga Perimede, nel prepararli chiede l'assistenza di Ecate tremenda, Ecate sotterranea che atterrisce anche i cani (v. 12) .
Pure Didone, lasciata da Enea, invoca, con l'Erebo e il Caos, Ecate triplice ( tergeminamque Hecaten, Eneide IV, 511) la dea "nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes " (Eneide, IV, 609) chiamata a ululati nei trivi notturni per le città.
Ecate compare anche nel Macbeth: si rivolge alle streghe (the weird women, the weird sisters, le donne, le sorelle fatali) rimproverandole di non averla consultata, dato il suo ruolo:"And I, the mistress of your charms,/the close contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the glory of our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra?
D’altra parte: “Tutte le donne sono un po’ fattucchiere quando sono innamorate”[4].
La donna e i mostri.
“Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare te”[5].
Si pensi a Deianira
Nelle Trachinie di Sofocle Deianira è la moglie infelice, sposa dell'infedele Eracle. Sin da ragazza, quando abitava con il padre, ebbe una dolorosissima paura delle nozze (v. 7-8). Infatti ricorda:"Mnhsth;r ga;r h\n moi potamov", jAcelw'/on levgw" (v. 9), il mio pretendente era un fiume, dico l'Acheloo. Insomma era corteggiata da un mostro.
"Deianira appartiene ancora, in qualche modo, al regno dei mostri: è stata richiesta in sposa da uno di essi, desiderata da un altro[6], che l'ha toccata, che si confida con lei e ne fa una sua complice. E nella lotta contro Acheloo, Eracle ha fattezze ferine. Da questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e come fremito, Deianira non potrà uscire"[7].
La lotta da cui Eracle esce vincente è un fragore di mani, di archi di corna taurine insieme confuse (Trachinie , vv. 517-518).
La Deianira delle Heroides[8] di Ovidio, lontana da Eracle occupato a inseguire terribili fiere, è ossessionata dal pensiero dei mostri con i quali il marito deve lottare:"inter serpentes aprosque avidosque leones/iactor et haesuros terna per ora canes " (IX, 39-40), mi aggiro tra serpenti e cinghiali e leoni bramosi, e cani[9] pronti ad attaccarsi con tre bocche. Senza contare gli amori con le straniere:" peregrinos addis amores "(v. 49).
Invidia e speranza.
“I più antichi Greci hanno avuto, riguardo all’invidia, un sentimento diverso dal nostro; Esiodo l’annovera tra gli effetti della buona, benefica Eris[10], e non c’era niente di urtante nell’attribuire agli dèi qualcosa di connesso con l’invidia (…)“ Similmente i Greci erano diversi da noi nell’apprezzamento della speranza; la si sentiva come cieca e insidiosa; Esiodo si è espresso su di essa, in una favola, con i termini più forti, ed in verità ha accennato qualcosa di così inusitato che nessun esegeta moderno lo ha compreso. Infatti ciò va contro lo spirito moderno, che con il sorgere del cristianesimo ha imparato a credere alla speranza come ad una virtù (…) per i Greci…la speranza dovette subire una certa retrocessione di valore e sprofondare nel malvagio e nel pericoloso”[11].
L’affermazione dell’ "l'invidia degli dèi" è attribuita a di Erodoto ma non è sua esclusiva: nell'Alcesti di Euripide, Eracle, dopo avere restituito la sposa all'amico, lo avverte :" e[cei": fqovno" de; mh; gevnoitov ti" qew'n"(v. 1135), ce l'hai: non ci sia però alcuna invidia degli dèi.
Platone invece nega l’invidia degli dèi: “fqovno~ ga;r e[xw qeivou corou' i{statai” (Fedro, 247), l’invidia infatti rimane fuori dal coro divino.
Per quanto riguarda la speranza che i Greci valutavano diversamente da noi, Nietzsche si richiama al mito di Pandora, l’Eva dei Greci. Esiodo racconta che Ermes infuse in lei un animo sfacciato e un costume da ladro ( Opere, 67), menzogne, discorsi seducenti e un carattere scaltro, inoltre le diede la parola e la chiamò Pandora poiché tutti le avevano dato un dono (v. 81). Epimeteo non ascoltò il consiglio di Prometeo di non accettare doni da Zeus e si lasciò rifilare Pandora. Ella tolse il grande coperchio dell'orcio "pivqou mevga pw'ma" e fece disperdere i mali che vi stavano racchiusi. Dentro rimase solo la Speranza (v. 96). Questa dunque può essere considerata un male.
I giuramenti d'amore non sono credibili.
“si dovrebbero dichiarare pubblicamente invalidi i giuramenti degli innamorati e interdire loro il matrimonio, e proprio perché si dovrebbe prendere il matrimonio indicibilmente più sul serio (…) il figlio è il capro espiatorio”[12].
L'inaffidabilità riguarda tanto gli uomini quanto le donne.
Lo afferma pure Sofocle in un frammento (811 Pearson):" o{rkon d j ejgw; gunaiko;" eij" u{dwr gravfw", giuramento di donna io lo scrivo sull'acqua. E se tali solenni promesse penetrano da qualche parte, certo non dentro gli orecchi degli immortali, sostiene Callimaco in un epigramma:" ajlla; levgousin ajlhqeva, tou;" ejn e[rwti-o{rkou" mh; duvnein ou[at j ej" ajqanavtwn" (A. P. V, 6), ma dicono il vero che i giuramenti in amore non entrano negli orecchi degli immortali.
Ovidio echeggia questo motivo, sia per quanto riguarda Arianna tradita e la scarsa tenuta della parola dei maschi, sia per la non credibilità della femmina umana che è una creatura varia e sempre mutevole,"varium et mutabile semper/femina ", come aveva già detto Virgilio [13].
L'Arianna dei Fasti [14] toglie fiducia a tutti gli uomini:"dicebam, memini, " periure et perfide Theseu" :/ille abiit; eadem crimina Bacchus habet : /nunc quoque "nullo viro" clamabo " femina credat " (Fasti , III, 475-477, dicevo, ricordo, "Teseo spergiuro e traditore": / quello è andato via; Bacco commette lo stesso delitto:/ anche ora esclamerò:"nessuna donna si fidi più di un uomo". Poi invece Bacco la salverà.
Per quanto riguarda l'instabilità e l'inaffidabilità delle giovani donne, il poeta di Sulmona negli Amores è più comprensivo: il tradimento infatti non sciupa la bellezza e perfino gli dèi lo concedono:" Esse deos credamne? Fidem iurata fefellit,/et facies illi quae fuit ante manet...Longa decensque fuit: longa decensque manet./Argutos habuit: radiant ut sidus ocelli,/per quos mentita est perfida saepe mihi./Scilicet aeterni falsum iurare puellis/di quoque concedunt, formaque numen habet " (Amores , III, 3, 1-2 e 8-12), devo credere che ci sono gli dèi? Ha tradito la parola data,/eppure le rimane l'aspetto che aveva prima...Era alta e ben fatta; alta e ben fatta rimane./Aveva gli occhi espressivi: brillano come stelle gli occhi,/con i quali spesso la perfida mi ha ingannato./Certo anche gli dèi eterni permettono alle ragazze/di giurare il falso, e la bellezza ha una potenza divina.
Bologna 29 dicembre 2022 giovanni ghiselli ore 11, 44
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1306269
Oggi68
Ieri302
Questo mese7959
Il mese scorso8344
[1] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 131.
[2] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 139.
[3] "Divinità primitiva e trina (triformis ), essendo associata a divinità appartenenti ai tre regni: la luna (il cielo), Diana (la terra) e Proserpina (gli inferi)". (G. G. Biondi, op. cit., p. 91, n. 5.)
[4] S. Màrai, La donna giusta, p. 204.
[5] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 146.
[6] Il centauro Nesso.
[7]U. Albini, Interpretazioni teatrali , Le Monnier, Firenze, 1972, p. 59.
[8]Sono lettere d'amore. in distici elegiaci,di donne amanti di eroi, e altre lettere di uomini a donne del mito con le risposte. Il primo gruppo ( epistole I-XV) uscì secondo alcuni attorno al 15 a. C. , fra la prima (20a. C.) e la seconda edizione degli Amores (1 a. C.). Altri abbassano la data fino al 5 a. C. Il secondo gruppo di epistole doppie ( XVI-XXI) fu composto poco prima dell'esilio (tra il 4 e l'8 d. C.). Il metro è il distico elegiaco.
[9]Come Cerbero, il cane di Ades, dal ringhio metallico.
[10] Esistono due [Eride" di cui la prima è cattiva poiché fa crescere la guerra( Opere, 14), la seconda, buona, nata prima, figlia della notte, sta alla base del progresso umano ed essa sveglia al lavoro anche l'ozioso. Per questa il vasaio gareggia con il vasaio, il mendico con il mendico, e l'aedo con l'aedo ( Opere, 26).
[11] Aurora, libro pimo, 38.
[12] Aurora, libro terzo, 151.
[13]Eneide , IV, 569-570.
[14] Un calendario in distici composto fra il tre e l'otto d. C. quando fu interrotto, dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano essere. Dovevano illustrare gli antichi miti e costumi latini.
Nessun commento:
Posta un commento