sabato 24 dicembre 2022

1971. La storia di Elena. 17. Il trionfo di Eros. Il posto delle mutande e lo spirito santo di Helena

Ma torniamo a Elena che forse è ancora viva e sta bene.
Concludo questa storia ricordando un paio di episodi di quella vicenda oramai già antica, anzi classica.
 
Un pomeriggio, forse quello del primo di agosto, Elena venne al solito incontro amoroso, verso le 5 del pomeriggio, con una lettera in mano. Disse che l’aveva appena ricevuta dal suo “amico” finlandese e si scusò poiché doveva finire di leggerla. Ne tremai. Quando la ripiegò, io, con tutta la calma possibile, anzi, simulando noncuranza, le domandai: “novità?”
Rispose: “No. Ho letto parole talmente banali e scontate che potevo scrivermele da sola”.
La paura si capovolse in ardire e il mio istinto erotico ne fu potenziato.
“Andiamo a fare l’amore”, le dissi. “Subito: ho predisposto lo sgombro della camera da parte degli altri tre e ho fatto anche cambiare le lenzuola da un’inserviente. Saremo felici non una ma mille volte”.
“Voi Italiani trovate sempre il modo di arrangiavi”, commentò, compiaciuta del resto.
Io ero felice del pericolo scampato e volevo festeggiare l’evento.
Sicché andammo in camera e facemmo l’amore parecchie volte, una decina circa, non meno. Mi aiutava Priapo, un dio grande, pieno di grazia, non il viagra dei disgraziati. Sostituivo il noioso servizio militare della caserma, prestato fino a metà maggio, con il gioioso servizio erotico a Venere e a suo figlio Cupido.
 Ero comunque un soldato:"Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans "[1].
Era  anche questa un’ascesi. Ogni ascetismo è fatto di impegno e di soddisfazione, di piacere non senza tensione.
Imparai anche un piccolo artificio, io homo mulierosus, amatorius,  , istruito dalla mulier amatoria che mi insegnò a non perdere tempo prezioso frugando dappertutto in cerca delle mutande sparite: mi fece vedere che bastava infilarle sotto il cuscino.
“Sei un genio, le feci; sei più brava di me!”
Fu un grande piacere dei sensi ma fu anche una gioia spirituale. Ci sentivamo del tutto beati. “La voluttà fu concessa al verme, e il Cherubino sta davanti a Dio”, ha scritto qualcuno, forse Goethe, ma non ne sono sicuro. 
Eravamo vermi, magari nati a formar, il più tardi possibile, l’angelica farfalla, e pure già cherubini e pure serafini. La crisalide aveva cominciato a mettere le ali che solo l’amore fa spuntare.
 Dopo l’ultima di questa serie meravigliosa, Elena mi disse che io non ero normale, in meglio si intende, e che lei era un’amante comoda poiché, data la sua condizione, il rapporto amoroso non richiedeva cautele, e per giunta non c’erano le mestruazioni.
“Con te lo farei innumerevoli volte anche con le mestruazioni. Voglio fondermi con te”, replicai.
“Allora facciamolo ancora, prima di andare a cena” disse, simulando un furore non meno menadico  che erotico. Da menade iperborea.
Erano già passate le otto e io ero stremato. I tre contubernali e humiles amici[2], con Fulvio in testa, dovevano per giunta tornare in camera a momenti, secondo gli accordi. L’amico magari vedendo la porta chiusa, avrebbe capito e tenuti buoni gli altri. Ma per quanto tempo ci sarebbe riuscito? Era già quasi notte.
 “Allora non mi ami quanto sostieni e millanti”, scherzò.
If you are hungry, I could be angry, with you [3], aggiunse con lepido bisticcio.
E io: “I am hungry just  of you. Only  you can keep me from starving[4] .
Stimolato dalla sua magnifica provocazione, eccitato, come lei, dal buon umore, feci,  facemmo l’amore ancora un paio di volte, trionfalmente. Un trionfo coribantico, da orgia trieterica.
 Lo ricordo alla faccia dei drogati che prendono il viagra.
Quindi andammo a cena tutti contenti, a mangiare carne non cruda[5] e a goderci un ozio da paradiso nel ristorante dell’hotel Aranybika, nel centro della città, dove avevo dormito la notte del luglio del 1966, quando, con una scassata Seicento Fiat  arrivai  per la prima volta, spaesato e spaventato, nella sconosciuta cittadina ungherese dove avrei passato alcuni tra i mesi più belli di questa mia vita mortale. Ma allora non lo sapevo. Era già buio e non fui nemmeno capace di trovare l’Università nascosta nel grande bosco.
Un portiere losco mi aveva ingannato.
 Sicché passai in quell’albergo la prima notte di Debrecen.
Ma questo l’ho già raccontato.
 
Quella sera dell’agosto del 1971 dunque  tornai trionfalmente all’Aranybika, fiero della bella donna e delle mie prestazioni da santo atleta del sesso.
Cenammo e bevemmo il solito sangue di toro. Il vino dell’ebbrezza erotica.  Scherzammo giovanilmente, da giovani quali eravamo.
Le chiesi di fare la stessa cosa che Elena nell’Odissea: gettare nel vino un farmaco  quale antidoto a ogni tristezza e miseria[6]. Alludevo a un pizzico del suo spirito santo.


Bologna 24 dicembre 2022 ore 9, 32

p. s
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[1] Ovidio, Amores, I, 9, 1-2, è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi, ogni amante è un soldato. 
[2] Cfr. Seneca: “Servi sunt”, Immo contubernales. “Servi sunt”. Immo humiles amici. (Lettere a Lucilio, 47, 1). E’ la lettera sugli schiavi, una delle più note.
Dissi che avevo fame e che potevamo riprendere più tardi, magari subito dopo cena. 
[3] Se tu sei affamato, io potrei essere arrabbiata con te.
[4] Io ho fame solo di te. Solo tu puoi salvarmi dal morire di fame.  
[5] Come le baccanti che praticavano l’ wjmofagiva
[6] Odissea, IV, 220-221.

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