sabato 24 dicembre 2022

1971. La storia di Elena. 19. La festa al casinetto del tennis. Cori obbrobriosi contro le ragazze

L’alba in cui Elena mi insegnò a essere onesto e buono con lei, con le mie donne future, con tutti gli esseri umani, e con me stesso, era il cinque di agosto. Tra le più educative della mia vita.
 
La sera del quattro c’era una festa nella casina del tennis; eravamo in molti sulla terrazza del primo piano: il povero Fulvio corteggiava la sua futura moglie con serietà, con un successo che sembrava progresso nella vita; gli altri maschi italiani,   Danilo, il povero Alfredo, Ezio, Claudio, il povero Bruno, e il povero Silvano,  bevevano non poco e  cialtroneggiavano molto, motteggiando non finemente le femmine straniere, in italiano. Si ballava, ma ogni tanto ci si riuniva in un angolo, l’angolo degli improbi maschi frustrati, per schernire la gente, soprattutto le studentesse venute da paesi remoti. Non era santa la danza, non si cantavano inni agli dei, peani o ditirambi in onore di Apollo  o di Dioniso signore.
Parlando tra noi,  designavamo le compagne dei corsi con epiteti impietosi e oltraggiosi: “il grugno da scrofa, la sfregiata, la vecchia, il cercopiteco, la Megera dall’occhio che strega, la pessima tra le Forcidi, la più feroce delle tre Erinni; poi la calva, la canuta, l’epilettica, la lebbrosa, la  più  consumata volpe, la più svergognata pantera dell’Università estiva di Debrecen”, secondo la consuetudine infame del maschio italiano.
Eravamo anche imbevuti dell’antifemminismo illogico e immorale della tradizione cristiana[1] e pure greca purtroppo, raccolta e riproposta da diversi scrittori moderni malevoli verso la vita, per esempio il suicida Weininger, e il suicida Pavese che qualche anno prima era stato di moda. “Chi si prende in casa una donna, si prende un ladro”[2]. “Sono un popolo nemico le donne”[3]  e così via.
Infamare le donne, come dire male degli dèi, è odiosa sapienza.
Nelle scuole si dovrebbe insegnare qualche cosa sul rapporto tra i sessi.  
Si irridevano dunque le ragazze e si rideva sguaiatamente, con allegrezza pazza e malvagia. Lo “scellerato sesso”[4] veniva infamato in vari modi.
Uno gridava: “cerco piteco, cerco piteco” alludendo a un paio di ragazze dall’aspetto piuttosto primitivo che facevano sesso con una certa disinvoltura. E il coro degli altri bruti: “Trovo piteco, trovo piteco”.
E subito dopo: “scopo piteco, scopo piteco”
Quindi il solista: “schifo piteco, schifo piteco”.
C’era un colpo e un contraccolpo, e il vociare stupido si posava su altro stupido e cattivo vociare.
Poi tutto quel gruppo di gaglioffi imbestiati urlava un “peròòòò” di ripensamento, che riapriva l’orrendo canto nuziale, un imeneo zoofilo: “cerco piteco, cerco piteco. Rendiamo felici le scimmie!”. E così via in un girotondo animalesco.
Claudio, arrivato in ritardo,  reduce da un incontro con il suo inesausto “porcone” diceva di volere rifarsi la bocca con una quaglia vergine e appena un po’ cicciosetta.
 
Il  fetore del coro oltrepassava la luna.
 Beceri e stupidi assai. Io fingevo di vergognarmi e, dando a vedere un gesuitico sdegno, provavo anche a dire: “ma no, quali scimmie? Sono gatte mammone, creature generose!”. Oppure cercavo di istruire un secondo coro cantando l’aria di Figaro :"Guardate queste femmine,/guardate cosa son./Queste chiamate dee/dagli ingannati sensi/a cui tributa incensi/la debole ragion./Son streghe che incantano/per farci penar,/sirene che cantano/per farci affogar;/civette che allettano/per trarci le piume,/comete che brillano/per toglierci il lume./Son rose spinose,/son volpi vezzose,/son orse benigne,/colombe maligne,/maestre d'inganni,/amiche d'affanni/che fingono, mentono,/che amore non sentono,/ non senton pietà./Il resto nol dico./Già ognuno lo sa"[5].
   Mi divertivo assai. Ogni tanto, di nascosto e sottovoce, suggerivo  battute infernali ai gaglioffi più osceni, se rinculavano per andare a bere altre palinke alla prugna, o “brugna” come dicevano loro con un pun lascivamente allusivo
Ero uno sconcio individuo anche io, forse il più assatanato di tutti. Ma cercavo di coprire la mia nuda scelleratezza con scampoli di letteratura, e volevo sembrare tanto più raffinato e onesto quanto più, sotto sotto, ero un vero demonio[6].
 
La bella e fine Sarjantola a un tratto trovò insopportabile quel  comportamento volgare e cretino. Disse che era stanca e voleva andare in camera per riposarsi; più tardi, se si fosse sentita meglio, sarebbe tornata. Tanto quelle feste al casotto del tennis duravano tutta la notte. Non me lo chiese, ma forse sperava che la seguissi, che fossi nauseato anche io dal lezzo di quei fescennini obbrobriosi fatti di lazzi plebei, battute volgari, offese crudeli lanciate vigliaccamente, anonimamente, in una lingua incomprensibile a molte ragazze dell’Università estiva di Debrecen . Disse che se io fossi rimasto lì a lungo e lei non fosse tornata, ci saremmo visti il giorno dopo, negli intervalli tra le lezioni. Molto scortesemente non l’accompagnai, poiché provavo un piacere perverso nell’osservare quegli anatemi pieni di risentimento contro le femmine umane, il sale della terra invero.
Veniva presa di mira questa o quella donna e, il coro empio e stonato, molto peggiore di uno stormo di rochi corvi gracchianti,  ripeteva  “la sfregiata, la culone cellulitica, appena appena scopabile, il labbro leporino, la tetta già smunta, la puttana,  la sfigata di Debrecen”.
Non si finiva più: “è gobba, zoppa, debole di mente” gridava un semicoro indicando una non proprio bella.
E il secondo semicoro: “fuggiamo da costei: come ganza non varrebbe niente!”
Il più studioso e addottrinato, Luigino, un diavolo truccato pure lui,  se ne vedeva tre insieme non splendide che parlottavano tra loro anche perché nessuno le invitava a ballare, alludendo alle Forcidi[7] diceva: “a voi tre basta un occhio, basta un dente! E magari aggiungeva, battendo le palpebre con aria indolente: “Gebt mir das Auge, Schwestern dab es frage! [8]. Poi aggiungeva con un sorriso mellifluo: “datemi pure il dente: mi è venuto un po’ di appetito”.
Io, arcispietato,  aggiungevo: “non siete voi le vecchie ragazze già  nate con chiome canute, che trine in alterna vicenda, usate soltanto un occhio cisposo, un dente cariato soltanto?”[9].
 Poi grandi risate . Ma noi due raffinati, l’etero assatanato e l’omosessuale, lo  sdilinquito cinedo, no, noi non ci scompisciavamo dal ridere. Facevamo sghignazzare gli altri con sovrana noncuranza.
Io osservavo incuriosito e divertito, finché, pur nella mia stolta ed empia ingratitudine al dio ottimo e massimo che ha creato le donne proprio come sono fatte e che per giunto mi aveva donato la bella Sarjantola, a un tratto ebbi un senso di fastidio prima, poi di nausea e vergogna; ma non tanto, come avrei dovuto per ragioni morali, quanto per una questione di stile, di gusto che sentivo marcio e velenoso, quasi fisicamente e fin dentro la bocca; perciò cercai e trovai l’occasione per cambiare attività. Mi accorsi che una ragazzina francese, conosciuta solo di vista e di nome, una diciottenne piuttosto bellina e fine, Josiane[10], mi stava guardando con occhi splendenti di simpatia. L’amabile esca del suo sguardo crepitava di vita  e di grazia vivace. Mi sorrideva quasi ammiccando.
 “Per niente timida-pensai-, sana come un pesce, liscia e  magari pure lasciva. Ecco qui un bocconcino squisito, una prelibatezza ”.
Il diavolo mi suggerì che difficilmente la bellezza si accompagna alla verecondia[11].


Bologna 24 dicembre 2022 ore17, 34

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[1] “Il cristianesimo diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio” Nietzsche.,  Di là dal bene e dal male, Aforismi e interludi, 168. 
[2] Questo è Esiodo, il caposcuola.
[3] Questo è Pavese che, non per caso, si è ammazzato, come Weininger.
[4] Cfr. Ariosto, Orlando furioso, 27, 119.
[5]Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro , IV, 8.
[6] Cfr. Shakespeare, Riccardo III, I, 3. -And seem a saint, when most I play the devil
[7] Sono le figlie di Forco: tre sorelle orribili che avevano un solo occhio e un dente solo tra tutte e tre.
[8]Datemi l’occhio, sorelle, perché veda! Goethe, Faust, II, 2, Notte di Valpurga classica. 
[9] Cfr. Goethe, Faust II parte, atto III Davanti al palazzo di re Menelao a Sparta.
[10] La incontrerò di nuovo nel 1974, come racconto in un episodio della sroria di Päivi.[11]  Cfr. Faust II, 3, Davanti al palazzo di Menelao.

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