domenica 25 dicembre 2022

1971. La storia di Elena. 22. L’alba nell’orto botanico. Summertime

PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI 


“Magnifica” pensai. La stimai e l’amai ancora di più per questa
 affermazione della sua dignità di donna e di persona; quindi vidi con chiarezza maggiore quanto fossi stato volgare, crudele e immorale civettando con la ragazzetta francese.
 
“Non tutte le femmine dunque”, pensai, “sono  creature  contraffatte,  sagaci segugi a caccia di matrimonio, maschere prive di interiorità:  leziose e smancerose, o tetre e arrabbiate, parassitarie o prepotenti, istrione tragiche o guitte comiche, volgari mime arcisfrontate  o ipocrite perbeniste pudibonde, quali le considerano, e spesso le condizionano a essere, i maschi frustrati nell’amore e nel lavoro. Se ci sono nemiche, siamo noi uomini che spesso le rendiamo tali[1]. Guarda questa finlandese: una donna autentica, una creatura di Dio che ti mette addosso la vergogna di essere rozzo e sozzo, egoista, immaturo e ti fa crescere con l’esempio di un comportamento, di uno stile elevato”.
Al "genio della sensualità" alla "potenza demoniaca della sensualità"[2] di don Giovanni volevo anteporre il senso morale di gianni ghiselli generato tra alte grida da Luisa Martelli e rigenerato tra le lacrime di Helena Sarjantola. 
 
Quindi le dissi: “Elena, oltre all’amore e al rispetto, io per te provo ammirazione poiché tu sei capace di aprirmi ogni giorno nuovi spiragli sull’anima mia. Davvero tu non sei soltanto né soprattutto materia, anche se  bella e fine. Prima di tutto sei spirito: mente, cuore, stile sei.
La tua parte materiale è spiritualizzata, mentre lo spirito traspare nelle tue forme armoniose, tesoro.
 Ti prego, non andare via, non lasciarmi troppo per tempo, ante diem,  amore mio ! Da te ho imparato più che dai libri. Quello che tu mi hai insegnato lo insegnerò. Quod didici, docebo”.
 Così con l’amore le contraccambiai pure  il latino.
Rispose con un sorriso di gratitudine e di gioia. Qualche giorno più tardi mi rese felice dicendo che mi amava anche perché, quando ne avevo avuto l’occasione e la possibilità, non le avevo fatto del male. Come fa la canaglia di tutte le classi sociali, le caste, le religioni, i partiti. Gli eterni kakoiv.
Così la sera del 4 di agosto del 1971 facemmo la pace, poi parlammo a lungo e facemmo l’amore ; quindi tornammo a ballare sulla terrazza, a festa quasi finita. Eravamo felici. Prima di andare a dormire ciascuno nel suo edificio del grande collegio immerso nella grande foresta fatata di Debrecen, per stare ancora un poco insieme, sebbene oramai l’alba cedesse all’aurora, passeggiammo in mezzo alle piante strane  dell’orto botanico.
Elena cantava: “Summertime and the living is easy, fishes are jumping and the cotton is high”, con voce calma e calda; e bruna com’era, vestita della sua tunica bianca, calzata di sandali neri con fibbia, sembrava un’antica poetessa greca che recita una  lirica in lode della bella stagione, dell’amore e della vita.
“La terra è in mezzo alle stelle che ora si spengono nel bianco rosa del cielo, mentre il tuo volto si riempie di luce”, pensai.
“Il ricordo di te durerà quanto i moti degli astri, e il nostro amore sarà l’eredità delle nostre vite ”, le dissi.
Quel momento, verso le tre del mattino, è stato uno dei più chiari e luminosi della mia vita mortale.
Mentre la donna rischiarandosi alle rosee carezze di quell’aurora lontana, celebrava l’estate e la nostra felicità  con limpido canto, la luce, crescendo e propagandosi ovunque, mostrava la bellezza ordinata della vita terrena e io me la sentivo fluire dentro, nei polmoni e nel sangue pulsato dal cuore pieno di gioia. Avvertivo il richiamo dell’arte che è fusione armonica di bellezza, bontà e verità. 
Tutte le piante, i fiori e le erbe dell’orto botanico si vivacizzavano: i campanellini dell’Heuchera sanguinea trillavano di felicità, la Campanula carpatica brillava di luce azzurra, e la Tunica saxifraga dal carneo colore danzava nella brezza mattutina al canto della donna innamorata.
Sentivo l’ordine del cosmo e che il nostro amore ne faceva parte, contribuiva a formarlo. Respiravo con il mondo: ero entrato in quella unità, che è secondo natura, della mia persona con l’universo.  Credo che sia questa  la quintessenza della felicità.
“L’amore è la vita, l’amore è Dio”, pensai. “Un dio tanto umano da rendere divine le sue creature più buone e più belle, più simili a lui.”
Ancora oggi, 51 anni e 5 mesi più tardi, se per caso sento una voce femminile cantare quell’aria di Gershwin, rivedo l’estate di Debrecen con il grande bosco di alberi sacri, le querce dodonee che accarezzano le stelle del cielo, rivedo i salici che, piegati sul lago, vellicano le schiene purpuree dei pesci, rivedo la vegetazione strana dell’orto botanico, rivedo le  membra di un bianco luminoso, i  capelli bruni bruni, il volto dolce e intelligente, lo sguardo bello e buono di Helena Sarjantola che quell’estate remota, con parole piene di significato, con lo sguardo espressivo e penetrante, con la figura ben modellata, mi mostrò l’idea eterna della bellezza incarnata in un corpo e armonizzata con la nobiltà dello spirito.
Domenica 22 agosto 1971, quando partì dalla Keleti Pályaudvar, la stazione orientale di Budapest, lasciandomi l’immortale memoria di sé,  prima di salire sul treno celeste chiaro, come i laghi e il cielo un poco sbiaditi della sua terra, Elena mi ringraziò di non essere stato cattivo, né volgare, né stupido con lei. Le promisi che non lo sarei stato mai più con nessuno, perché con lei mi ero sentito bene, con lei ero stato, finalmente, me stesso. Le ripetei le parole dette da Odisseo a Nausicaa al momento del congedo: tu di fatto mi hai salvato la vita, ragazza[3].

Non ho sofferto per la sua sparizione, forse perché il desiderio ardente di Elena, più che brama della sua persona era un bisogno struggente di identità da definire e completare grazie a lei. Elena era ontologicamente necessaria al mio essere, come mia madre. Senza di loro io non sarei stato.
Quel 22 agosto la Sarjantola aveva già compiuto la sua funzione “storica”.
 Dopo la partenza del treno non l’ho più vista, nemmeno quando, nel settembre del 1974 andai a Yväskylä a trovare Päivi che aspettava una bambina da me. Eppure l’ho sempre pensata come la creatura preziosa che contraccambiando il mio amore per prima mi ha insegnato ad amare la vita, a credere nel Bello e nel Bene, ad avere fiducia in me stesso, a diventare quello che sono, qualunque piccola e poca cosa io sia.
Comunque corrispondente alle mie aspirazioni commisurate alle mie qualità.
Nei momenti più tristi e desolati di questa mia vita terrena, quando altre persone mi hanno deluso o tradito, da Päivi che, incinta di me, dopo l’incontro in Finlandia non mi mandava notizie, a Ifigenia, la figlia spirituale che la notte atroce del pozzo di Vernicino, volle gettarsi nell’abisso della sua morte con il vecchio attore famoso, sempre mi sono rifugiato nel ricordo della notte felice in cui Helena Sarjantola mi insegnò ad aborrire dall’ingiustizia; poi, mentre il sole spuntava sul giardino di quel paradiso e versava inesausto le prime luci della sua gioia, lei con angelica voce cantava che la vita è bella, serena, meritevole di riconoscenza al Creatore, degna di essere vissuta in pieno, con gioia[4].
E se dopo questa, potremo viverne un’altra in mezzo alle stelle del cielo, o se[5] avremo una seconda possibilità qui, su questa terra illuminata dal sole, io spero di incontrarti ancora, Elena, amore mio, e di amarti di nuovo.

 
Bologna 25 dicembre 2022 ore 10, 10
giovanni ghiselli


p. s
Statistiche del blog
Sempre1305158
Oggi52
Ieri189
Questo mese6848
Il mese scorso8344
 


[1] Cfr. Seneca, non habemus illos hostes sed facimus  (Lettere a Lucilio, 47, 5), non abbiamo quelli (gli schiavi) quali nemici, ma li rendiamo tali.
[2]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Primo, , trad. it. Adelphi, Milano, 1976, p. 172. 
[3] Odissea, VIII, 468 Suv ga;r mj ejbiwvsao, kouvrh, 
[4] Come ha raccomandato di recente papa Francesco: "non abbiate paura della gioia!". Parole sante. Le aveva già scritte Strabone il quale nella sua Geografia  (redatta nei primi anni del regno redatta nei primi anni del regno di Tiberio) afferma che gli uomini imitano benissimo gli dèi quando fanno del bene, ma, si potrebbe dire anche meglio, quando sono felici (" a[meinon d& a[n levgoi ti", oJvtan eujdaimonw'si", X, 3, 9). 
[5] Non sono d’accordo con gli estremisti del laicismo, compresa la peraltro buona e brava Margherita Hack, i quali che escludono questo “se” cruciale. La penso come il buffone di corte Touchstone, Pietra di paragone, che nella commedia pastorale As you like it  di Shakespeare  sentenzia: " 'If' is the only peace-maker: much virtue in 'If' " (V, 4), "Se" è l'unico paciere: c'è molta virtù nel "Se".

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CLII. Una lettera supplichevole e una canzoncina irrisoria

  Martedì 7 agosto andai a lezione, poi a correre, quindi in piscina a leggere, nuotare, abbronzarmi, e mi recai anche a comprare un d...