sabato 24 dicembre 2022

1971. La storia di Elena. 20. Josiane: la tentazione

Attirato e incuriosito, andai a domandarle perché mi osservasse e sorridesse così simpaticamente. Glielo chiesi in modo molto diretto. Fisicamente mi sentivo in gran forma, affettivamente e sessualmente avevo le spalle coperte dalla Sarjantola: potevo rischiare anche un secco rifiuto dalla luccicante fanciulla che, in tal caso, avrei considerato una bamboccetta cretina, oppure un “grazioso difetto di natura”[1].
 Otto anni di differenza non bastano a fare scattare la comprensione e l’indulgenza del padre verso la figlia.
La ragazza rispose molto benevolmente che voleva conoscermi poiché amava il greco e il latino e aveva saputo che li avevo studiati nell’antica Università di Bologna. La invitai a ballare ma avevamo poco da dirci: il suo amore per le lettere classiche era più velleitario che altro, data l’età, e io, dopo due anni di insegnamento alle medie e il servizio militare, le stavo dimenticando.
Dicevamo luoghi comuni infarinati di classicità. Però lei era bellina assai, gentile, volteggiava elegante come una giovane rondine. La trovavo molto attraente. Accordava con me l’amabile cadenza dei piedi, delle mani, dei sorrisi.
 Forse desideravo una figlia dopo avere trovato la madre. Un virgulto odoroso di carne aulentissima, lievitante, preziosa. Il desiderio della donna-figlia si sarebbe ripetuto nella mia perpetua carenza di progenie.
Soprattutto dopo l’abortimento della bambina che aspettavo da Päivi, la finnica del 1974.
  
Dopo qualche minuto di ballo, ci sentimmo stranamente legati da qualche arcano e ambiguo  vincolo culturale, o razziale, o scolastico: la fanciulla di Strasburgo, così graziosamente ornitologica,  si sarebbe iscritta a lettere classiche in autunno. O forse, più semplicemente, ci piacevamo. Fatto sta che lei mi guardava negli occhi con un sorriso per lo meno accattivante, mentre io le sussurravo lusinghe come “tu sei intelligente, bellina, colta, profumata, preziosa”. L’aroma di quel dolcissimo, giovane corpo in effetti mi inebriava.
Lei rilanciava, dicendo che mi aveva visto correre a mezzogiorno, nello stadio, classicamente, cioè seminudo, abbronzato, leggero e potente, con un ritmo e una forza che le ricordavano quelli degli agonisti celebrati dalla dorica lira di Pindaro.
Probabilmente tali complimenti sperticati corrispondevano alle spacconate con le quali cercavo di affascinarla. Non le ricordo. Anche io la adulavo, poiché le lusinghe funzionano sempre, perfino con le vergini vestali e le monache sante.
 Lei sorrideva compiaciuta e mi guardava negli occhi. Ma forse, più che attirata dalla mia persona e da quanto facevo o dicevo, la ragazzina era stuzzicata dal pensiero, caro alla sua vanità adolescenziale, che l’adulto già accoppiato con una bella donna coetanea, il professore bravo, intelligente e sportivo quale credeva che fossi, travolto dalle sue grazie fiorenti, dai suoi vezzi freschissimi e dolci, arrivasse a umiliare la bella compagna e se stesso. 
Probabilmente era vergine e, ad una mia proposta diretta di sesso avrebbe opposto un rifiuto secco. Lo immaginai, e anche per questo evitai il tentativo di affondo, nonostante sentissi montare la fregola. Era tutto un gioco, o una commedia.
A un tratto la ragazza mi domandò se cercavo una figlia.
“Non ancora”, risposi in francese usando alcune tra le poche parole che conoscevo di questo idioma ossitonico.  
Comunque ne ero molto tentato e avevo cominciato a parlarle dell’orto botanico e degli alberi strani, di fiori mostruosi dal nome latino scritto in un cartello che forse, per certam lunam sub luce benigna, poteva essere letto con piacere da noi due, amantissimi della classicità. 
Ubriacato dall’aulente fanciulla, e pure da tre palinke all’albicocca, rischiavo di perdere la donna che avevo convinto a contraccambiare il mio amore in nome della felicità e della crescita umana di entrambi. Il mio demone buono mi trattenne, ma la tentazione fu grande. Con la testa confusa sotto il cielo stellato mi domandavo se era il caso di stringermi forte al petto la graziosa che da parte sua aveva accostato la sua faccia alla mia. Intanto Ezio e Alfredo, uomini a mal più ch’a ben usi[2]  da dietro le spalle della francesina mi facevano segno di non lasciarmela sfuggire, tanto le donne tradiscono sempre, da cagne sfacciate quali sono e noi dobbiamo adeguarci.
Quindi i due compari,  ancora studenti un poco attempati, battevano i pugni sul tavolo piegando i colli e abbassando le teste, compiaciuti del ritmo, quasi certi  di rafforzare e coonestare la loro  proposta immorale tambureggiando ditirambi   diabolici con ghigni infernali. 
 Mentre mi domandavo se tradire Elena, posto che la fanciulla mi si fosse concessa, mi avrebbe procurato maggiori piaceri o rimorsi, a un tratto sulla terrazza del casinetto del tennis, sotto la luna incerta, nel fosco bagliore di una luce maligna, apparve la donna matura: aveva il volto stanco e l’aria infelice, come se fosse disgustata o davvero malata.        

Bologna 24 dicembre 2022 ore 18, 12
giovanni ghiselli

p. s.
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[1] Cfr. this fair defect  of Nature , Milton, Paradise lost, X, 888. 
[2] Cfr. Dante, Paradiso, III, 106.

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