La vidi nell’ombroso cortile dell’Università il giorno del ricevimento del rettore, giovedì 25 luglio, verso le quattro del pomeriggio.
Nell’estate del ’74 Fulvio, il fratello spirituale e compagno di contubernium delle estati passate, non c’era poiché stava vivendo la sua esperienza di marito e di padre a Parma da dove non poteva più muoversi; Claudio non c’era siccome in maggio l’avevano messo in galera, a San Vittore, incolpato di infamie su infamie; Luigino non c’era poiché aveva seguito su un traghetto, diretto chissà dove, un mozzo turco - cipriota, l’uomo e l’amore della sua vita.
Invece erano tornati là, nella puszta con me, oramai per la decima volta, Danilo, Ezio, Alfredo, Fausto, Silvano, e Bruno già sacro alla morte vicina [1]
Ora siamo nel dicembre del
2022 e nel frattempo sono morti anche Sandro, Alfredo, Silvano e Fulvio il più
caro di tutti. Rimangono Ezio e Danilo non senza il vostro narratore.
Quel pomeriggio di luglio, noi Italiani superstiti della Debrecen ’66, prossimi alla soglia dei trenta, cantavamo canzoni comuniste e partigiane come i reduci di una guerra perduta: la nostra rivoluzione giovanile era invecchiata, senza lasciare ai ventenni l’eredità di un ethos politico. Noi stessi eravamo variamente appassiti, quanto meno segnati da rughe evidenti nel volto e sul collo, mentre le mani erano percorse da grosse vene bluastre in rilievo. Alcuni avevano perduto i capelli, altri erano incanutiti, altri ingrassati; insomma noi eravamo ormai gli “ospiti antichi” dell’Università estiva di Debrecen, così ci salutò il rettore che ci aveva conosciuti ragazzi e battezzati quali matricole otto anni prima, così ci chiamavano anche i nuovi ventenni, poiché è proprio vero che noi mortali siamo come le foglie [2].
Il nostro gruppo di nati alla fine della seconda guerra mondiale, presentava personaggi ancora giovani, eppure avvizziti, piegati e ripiegati su se stessi, anche se non degradati proprio del tutto come sosteneva a gran voce il povero Bruno, del resto non senza qualche ragione. Si erano comunque già appesantiti gli arti di tutti noi, e nel frattempo il sogno di realizzare presto su questa terra la giustizia, l’eguaglianza, il comunismo, o cristianesimo vero , perdeva forza, forma e colore nei nostri cervelli. La borghesia affaristica e il suo dio, il denaro, la mercificazione universale che riduce tutto al lucro, compresi gli affetti, stava prendendo di nuovo il sopravvento. Da cinque anni oramai le stragi facevano i loro massacri di vite umane e di simpatia, di fiducia tra gli umani.
Non riconoscevamo nei nuovi giovani i nostri eredi spirituali.
Bologna 29 dicembre 2022 ore 16, 49 giovanni ghiselli
p. s
Ieri sera ho visto per la seconda volta il film Scompartimento n. 6
Ci sono tornato perché l’attrice, Seidi Haarla, mi ha fatto tornare in mente Päivi . Ebbene ho ritrovato, oltre il volto e lo stile della mia terza finlandese, l’atmosfera umana dei primi anni Settanta in Europa. Allora erano diffusa tra noi giovani la bene-volenza, la solidarietà, l’amicizia, l’amore.
I farabutti erano le eccezioni ed erano ributtanti. Adesso sono loro la maggioranza e sono quelli considerati normali, siccome usuali.
In questo film del regista finlandese Juho Kuosmanen c’è un solo profittatore ingrato e ladro, tutti gli altri sono buoni, generosi, ospitali, leali: pronti ad aiutarsi a vicenda per simpatia umana, senza calcolo di lucro.
Tale era la vita nell’Italia e nell’Europa dei miei ricordi negli anni compresi tra il 1968 e il 1972
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1 Cfr. Virgilio, Eneide I, 712
2 Cfr. Iliade VI, 146
Quel pomeriggio di luglio, noi Italiani superstiti della Debrecen ’66, prossimi alla soglia dei trenta, cantavamo canzoni comuniste e partigiane come i reduci di una guerra perduta: la nostra rivoluzione giovanile era invecchiata, senza lasciare ai ventenni l’eredità di un ethos politico. Noi stessi eravamo variamente appassiti, quanto meno segnati da rughe evidenti nel volto e sul collo, mentre le mani erano percorse da grosse vene bluastre in rilievo. Alcuni avevano perduto i capelli, altri erano incanutiti, altri ingrassati; insomma noi eravamo ormai gli “ospiti antichi” dell’Università estiva di Debrecen, così ci salutò il rettore che ci aveva conosciuti ragazzi e battezzati quali matricole otto anni prima, così ci chiamavano anche i nuovi ventenni, poiché è proprio vero che noi mortali siamo come le foglie [2].
Il nostro gruppo di nati alla fine della seconda guerra mondiale, presentava personaggi ancora giovani, eppure avvizziti, piegati e ripiegati su se stessi, anche se non degradati proprio del tutto come sosteneva a gran voce il povero Bruno, del resto non senza qualche ragione. Si erano comunque già appesantiti gli arti di tutti noi, e nel frattempo il sogno di realizzare presto su questa terra la giustizia, l’eguaglianza, il comunismo, o cristianesimo vero , perdeva forza, forma e colore nei nostri cervelli. La borghesia affaristica e il suo dio, il denaro, la mercificazione universale che riduce tutto al lucro, compresi gli affetti, stava prendendo di nuovo il sopravvento. Da cinque anni oramai le stragi facevano i loro massacri di vite umane e di simpatia, di fiducia tra gli umani.
Non riconoscevamo nei nuovi giovani i nostri eredi spirituali.
Bologna 29 dicembre 2022 ore 16, 49 giovanni ghiselli
p. s
Ieri sera ho visto per la seconda volta il film Scompartimento n. 6
Ci sono tornato perché l’attrice, Seidi Haarla, mi ha fatto tornare in mente Päivi . Ebbene ho ritrovato, oltre il volto e lo stile della mia terza finlandese, l’atmosfera umana dei primi anni Settanta in Europa. Allora erano diffusa tra noi giovani la bene-volenza, la solidarietà, l’amicizia, l’amore.
I farabutti erano le eccezioni ed erano ributtanti. Adesso sono loro la maggioranza e sono quelli considerati normali, siccome usuali.
In questo film del regista finlandese Juho Kuosmanen c’è un solo profittatore ingrato e ladro, tutti gli altri sono buoni, generosi, ospitali, leali: pronti ad aiutarsi a vicenda per simpatia umana, senza calcolo di lucro.
Tale era la vita nell’Italia e nell’Europa dei miei ricordi negli anni compresi tra il 1968 e il 1972
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1 Cfr. Virgilio, Eneide I, 712
2 Cfr. Iliade VI, 146
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